Mannaggia alla bomba atomica! Senza questo piccolo particolare, la
recessione mondiale sarebbe già alle nostre spalle. Infatti le altre
crisi gravi sono state sanate solo quando è scoppiata una bella guerra:
l'esempio più indiscutibile è la Grande Depressione degli anni '30
superata solo grazie alla Seconda guerra mondiale.
La ragione è semplice: di solito della guerra percepiamo solo la
messe umana che miete, ma dal punto di vista economico i milioni di
morti sono marginali; quel che conta è che la guerra distrugge un'immane
quantità di edifici, prodotti, macchinari, in definitiva di capitale; e
quindi crea la necessità di una nuova accumulazione, grazie alla
ricostruzione materiale. Tanto che, dopo la guerra, a vivere i miracoli
economici più rigogliosi di solito sono proprio i paesi più rasi al
suolo, perché i nuovi impianti sono più moderni mentre gli stati più
risparmiati si tengono anche le fabbriche più desuete e vengono
scavalcati. Joseph Schumpeter aveva in mente proprio la guerra quando
parlava della «distruzione creatrice» come caratteristica essenziale del
capitalismo.
Però non tutte le guerre vanno bene. Quella in Iraq è sì costata agli
Usa migliaia di miliardi di dollari senza apportare alcun beneficio
all'economia statunitense, proprio perché non ha richiesto un massiccio
aumento della produzione, non ha mobilitato la popolazione, non ha messo
in campo quel connubio di spesa illimitata (per armi e materiale
bellico) da un lato e razionamento (dei consumi privati) dall'altro che
costituisce tutto l'appeal dell'economia di guerra. La guerra consente
infatti ai governi di mandare a quel paese i diktat dei "mercati", rende
non solo lecito, ma necessario spendere ed espandere il debito pubblico
in nome di una causa superiore. Nessuno criticherà un governo se sfora
per difendere la patria.Le guerre locali e a questo scopo non servono,
ci vogliono vere e proprie guerre mondiali. E' col capitalismo che nasce
la nozione di "guerra mondiale": la prima fu quella dei Sette anni
(1756-1763) che decise il destino coloniale di interi continenti, dal
Canada all'India; mondiali furono le guerre napoleoniche (anche
Bonaparte, come Rommel, pensò di andare a fiaccare la potenza inglese in
Egitto, e come Von Paulus finì impantanato in Russia); mondiali furono
le due grandi guerre del secolo scorso.
Sono proprio queste guerre mondiali - conflitti totali tra grandi potenze - che l'arma atomica ha reso impossibili. Il capitalismo si trova così prigioniero dell'impossibilità di ricorrere alla soluzione bellica. Una prigionia tanto più asfissiante quanto più è totalitaria la dittatura dei mercati e quanto più risulta incrollabile la fede superstiziosa negli effetti salvifici dell'austerità. Durante la guerra fredda i propagandisti occidentali coniarono un'immagine assai efficace per descrivere la dittatura materiale e ideologica cui erano sottoposti i paesi del Patto di Varsavia: "socialismo reale" fu chiamata. Termine di straordinaria comunicativa perché diceva tutto senza dire: di fronte alle promesse di un "radioso sol dell'avvenire", nella sua realtà attuale e quotidiana il socialismo era solo sorveglianza del Kgb o della Stasi, penuria materiale, censura, file davanti ai negozi di generi di prima necessità, oppressione totale (o totalitaria) sotto un tallone nello stesso tempo poliziesco e ideologico (un pensiero unico sovietico diremmo oggi). Quel che caratterizzava il socialismo reale era che non potevi sfuggire, non potevi andartene, non potevi né cambiarlo, né ricusarlo. Ci pensavano i carri armati dei "paesi fratelli" a ricordarlo.
Sono proprio queste guerre mondiali - conflitti totali tra grandi potenze - che l'arma atomica ha reso impossibili. Il capitalismo si trova così prigioniero dell'impossibilità di ricorrere alla soluzione bellica. Una prigionia tanto più asfissiante quanto più è totalitaria la dittatura dei mercati e quanto più risulta incrollabile la fede superstiziosa negli effetti salvifici dell'austerità. Durante la guerra fredda i propagandisti occidentali coniarono un'immagine assai efficace per descrivere la dittatura materiale e ideologica cui erano sottoposti i paesi del Patto di Varsavia: "socialismo reale" fu chiamata. Termine di straordinaria comunicativa perché diceva tutto senza dire: di fronte alle promesse di un "radioso sol dell'avvenire", nella sua realtà attuale e quotidiana il socialismo era solo sorveglianza del Kgb o della Stasi, penuria materiale, censura, file davanti ai negozi di generi di prima necessità, oppressione totale (o totalitaria) sotto un tallone nello stesso tempo poliziesco e ideologico (un pensiero unico sovietico diremmo oggi). Quel che caratterizzava il socialismo reale era che non potevi sfuggire, non potevi andartene, non potevi né cambiarlo, né ricusarlo. Ci pensavano i carri armati dei "paesi fratelli" a ricordarlo.
Una volta spazzato via il socialismo reale e delegittimato il
socialismo immaginato, l'ironia della storia vuole che oggi ci
accorgiamo di vivere nel "capitalismo reale". Anche noi siamo topi in
gabbia che non possiamo sfuggire né allo spread né agli interessi del
debito; anche per noi non c'è rifugio per quanto lontano dove non ci
raggiungano gli esattori del nostro debito: ci rincorrerebbero anche su
Marte. Anche noi dobbiamo vivere nella penuria: i greci anziani devono
privarsi della sanità e gli spagnoli giovani del lavoro, per ottemperare
agli ordini dei nostri "banchieri fratelli", cui per imporre i diktat
non servono più carri armati, ma ispettori finanziari. Anche noi siamo
strangolati dall'ideologia.
Ed è straordinario come tutti facciano finta di credere all'idea che l'austerità serva a qualcosa mentre invece è solo la corda a cui impiccarci. Perché, se superstizione è una fede immotivata, anzi contraddetta nell'esperienza, allora la fiducia nel potere terapeutico dell'austerity (come è più bello dirlo in inglese!) è una superstizione che non ha niente a invidiare a San Gennaro. Le ricette prescritte oggi da Bruxelles e da Francoforte ai paesi "sviluppati" del sud Europa sono identiche a quelle che per decenni il Fondo monetario internazionale (Fmi) e la Banca mondiale hanno imposto agli stati del Terzo mondo: decenni di austere terapie monetariste non hanno mai fatto prosperare nessun paese, ma tutti li hanno lasciati stremati, impoveriti, socialmente più feroci.
Ed è straordinario come tutti facciano finta di credere all'idea che l'austerità serva a qualcosa mentre invece è solo la corda a cui impiccarci. Perché, se superstizione è una fede immotivata, anzi contraddetta nell'esperienza, allora la fiducia nel potere terapeutico dell'austerity (come è più bello dirlo in inglese!) è una superstizione che non ha niente a invidiare a San Gennaro. Le ricette prescritte oggi da Bruxelles e da Francoforte ai paesi "sviluppati" del sud Europa sono identiche a quelle che per decenni il Fondo monetario internazionale (Fmi) e la Banca mondiale hanno imposto agli stati del Terzo mondo: decenni di austere terapie monetariste non hanno mai fatto prosperare nessun paese, ma tutti li hanno lasciati stremati, impoveriti, socialmente più feroci.
D'altra parte anche un bambino capirebbe che uno stato NON è una
famiglia: una famiglia in difficoltà stringe la cinta e forse ne esce;
ma se in uno stato tutti stringono la cinta, nessuno consuma più, le
industrie non hanno più clienti, la produzione e le vendite crollano, le
tasse che lo stato percepisce precipitano, tanto che in questi anni di
lacrime e sangue il debito greco è aumentato, non diminuito, e anche
quello italiano si è avviato sulla stessa china.
Nell'ultimo numero di Harper's Magazine, in un articolo intitolato
The Austerity Myth, Jeff Madrick scrive che l'ideologia dell'austerità
«va considerata una superstizione tanto quanto una teoria economica...
Dall'Odissea al Vecchio Testamento, l'abnegazione è stata la reazione
tradizionale a circostanze difficili. Sacrificio è la parola d'ordine
che mobilita in guerra, come digiunare è la pratica centrale in molte
religioni. L'auto-sacrificio è anche, triste a dirsi, profondamente
attraente come risposta ai problemi economici. Suona giusto - una forma
di penitenza e di machismo... Il problema è che anche se l'austerità può
funzionare per gli individui raramente funziona per le economie».
I riti dell'austerità inflittici dalla Germania e dalle Borse
diventano allora l'equivalente mercantile delle processioni
autoflagellanti del Medioevo, delle penitenze cui si sottoponevano i
pietisti per salvarsi l'anima. Con la differenza che magari i
flagellanti il paradiso lo trovarono (il contrario non è dimostrabile),
mentre noi la ripresa economica ce la possiamo sognare. Da ex consulente
di Goldman Sachs (la più potente banca mondiale) è normale che Monti
sia un piazzista di questa superstizione. Più problematico è che la
stessa fede cieca animi molti esponenti del Partito democratico. Forse
il dirigente che più somiglia al moschettiere Aramis (non solo per i
baffetti) è stato per una volta nel giusto quando ha detto che costoro
«si faranno male». Il guaio è che lo fanno
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