Il
Blocco sociale del neokeynesismo è destinato a soccombere o a un forte
ridimensionamento, a farne le spese saranno ben presto la istruzione e
la sanità pubblica (per come le abbiamo conosciute ) ma anche numerosi
ammortizzatori sociali. Non si tratta di una profezia ma di leggere
obiettivamente la realtà per quella che è a partire dai decreti
attuativi del Jobs act e guardando con distacco la esaltazione del
reddito minimo sociale da parte di quanti erroneamente pensano che la
fine del neokeynesismo determinerà la ridistribuzione del welfare e dei
redditi magari a favore dei precari, di chi sta nella gestione separata
dell'inps.
Sarebbe opportuno guardare alla Germania di inizio secolo e al
governo a guida socialdemocratica per cogliere le numerose, troppe ,
analogie e coincidenze con il Governo Renzi, dalla riforma del Lavoro
(abbattimento dei sussidi di disoccupazione, riduzione degli
ammortizzatori sociali mini job da 450 euro e medi job da 800 presentati
come aumento dei posti di lavoro) allo smantellamento di uno dei piu'
importanti e garantisti welfare mondiali con un drenaggio della
ricchezza prodotta dai redditi ai grandi capitali (con una revisione
delle aliquote che favorisce i redditi alti).
Senza entrare nel dettaglio (lo fa per noi Alessandro Somma in un bel
testo recentemente uscito "L'altra faccia della Germania Derive Approdi
2015) , il Governo Renzi si muove su una strada già battuta, dieci anni
fa il capitale europeo decise che per le riforme strutturali richieste
dal neoliberalismo e dal capitalismo europei fosse indispensabile un
governo di centro-sinistra
Con il pareggio di Bilancio in Costituzione, il Bilancio pubblico e
il controllo dell'economia è stato trasferito dai Parlamenti nazionali a
organismi sovranazionali, da qui nasce la continua riduzione della
spesa sociale, il ridimensionamento del welfare, l'aumento dei costi di
servizi sanitari accessibili per altro ad un numero sempre piu' limitato
di potenziali utenti con l'aumento delle malattie e in prospettiva la
riduzione stessa della speranza di vita.
L'euro è stato lo strumento con cui l'Europa a guida tedesca ha
costruito politiche neoliberiste di austerità da una parte e dall'altra
di espansione dei capitali evitando che i paesi piu' deboli usassero la
leva della svalutazione della moneta nazionale per riconquistare
competitività. Se la Grecia avesse avuto questo strumento oggi non
vedrebbe forse il suo patrimonio pubblico in svendita
Il nuovo secolo è a guida tedesca, decine di banche tedesche sono di
fatto pubbliche , di proprietà dello stato e dei lander, finanziano le
imprese pubbliche e private sostenendone la domanda ma poi pretendono
che nel resto d'Europa si applichino le regole neoliberiste, analogo
discorso vale per la moneta unica , l'euro , di cui il massimo
beneficiario è proprio la Germania. Dove finiscono nel resto d'Europa i
risparmi nazionali? Non a sostegno del reddito e della domanda, non a
supporto del debito statale, non ad allargare i beneficiari del welfare o
a investimenti nel settore pubblico, primo tra tutti nella ricerca, i
soldi prendono altre strade e a beneficiarne sono i capitali, le imprese
La sovraccumulazione di capitale non prende la strada del sostegno
alle politiche del lavoro, anzi l'ampliamento di alcuni ammortizzatori
sociali è finanziato con la contrazione degli stessi in termini di
durata il che si ripercuote negativamente sulla forza lavoro delle
imprese poco competitive e sancisce la espulsione dal mercato del lavoro
di una manodopera vicina alla pensione con ampio ricorso ai part time .
La circolazione dei capitali è indirizzata a politiche diametralmente
opposte a quelle Keynesiane, nella fase attuale i capitali sono
indirizzati prevalentemente alla costruzione di una area di mercato
transazionale e per questo sempre meno risorse sono indirizzate al
welfare e alle politiche attive del lavoro. Anzi, i settori pubblici o
sono privatizzati oppure subiscono linee guida che stravolgono il
carattere pubblico degli stessi servizi (esempio eloquente è la sanità)
In questo scenario, a livello nazionale, i vari Governi intraprendono
politiche dettate dalla riduzione del potere di acquisto, il
ridimensionamento del sindacato e la ridefinizione dei modelli di
welfare riducendo complessivamente i soldi destinati allo stesso ma
ridefiniscono al contempo la platea dei destinatari. Capiamo le ragioni
dei sostenitori del reddito minimo sociale ma non possiamo condividerne
l'entusiasmo, tuttavia pensiamo sia una mera follia rifiutare in toto la
revisione dell'attuale welfare . Senza cedere di un cm al governo Renzi
bisogna mettera all'ordine del giorno la cancellazione della Riforma
Fornero e del Jobs act ma anche l' aumento delle tutele a favore di
settori precari che pagano tasse senza ricevere in cambio trattamenti
previdenziali e ammortizzatori sociali degni di questo nome. Ma lo
ripetiamo ancora una volta per i novelli fautori del lavoro autonomo: i
soldi tolti al welfare keynesiano non andranno a precari e disoccupati
se non in minima parte, il 90% dei cosiddetti risparmi favorirà quei
soggetti che poi sono gli stessi sfruttatori dei precari di oggi e di
domani
Scrivere che va affermandosi un welfare realmente universalistico è
un nonsense soprattutto in una società dove si restringono gli spazi di
agibilità e di democrazia partecipativa. Gli ammortizzatori sociali oggi
sono inadeguati perchè non raggiungono tutti i soggetti sociali ma
non siamo convinti che di per sè il reddito minimo sociale (pagato con
la disoccupazione di massa, con il lavoro volontario e lo smantellamento
dei contratti nazionali) determini uno spazio di solidarietà collettiva
rivolto alle svariate forme di impiego e di lavoro. L'esperienza del
reddito minimo in Europa non ha dato vita ad un movimento di
disoccupati, piuttosto le mobilitazioni scaturiscono dalle decisioni dei
Governi miranti a ridurre sussidi e sovvenzioni e piu' in generale lo
stesso welfare.
Ci viene quindi il dubbio (o la certezza) che alcuni dei sostenitori
del reddito minimo siano piu' in linea con quella idea dello statuto dei
lavori (pensata di inizio secolo di Treu e di Amato) che con la difesa
delle tutele esistenti e la loro estensione a tutte le forme lavorative
dell'oggi. Da qui a negare la necessità del reddito minimo corre grande
differenza ma è troppo chiedere ai sostenitori di questa misura un po'
di attenzione alle ragioni e alle cause reali che porteranno alla sua
approvazione?
Ed è troppo pretendere che non si finisca ancora una volta nella rete
della Cgil che in crisi di rappresentanza si erge a tutela dei precari
che vivono in condizioni di miseria grazie anche alle politiche
sostenute da Cgil Cisl Uil?
Ovviamente diamo per scontato (a torto probabilmente) che il
sindacalismo di base, le realtà sociali vogliano mettersi in rete e
costruire dei percorsi alternativi e inclusivi a partire anche delle
modalità con cui si costruire oggi la pratica sindacale e
l'organizzazione della classe lavoratrice nelle sue molteplici realtà
Globalizzazione e finanziarizzazione dell'economia sono tra le cause
del ridimensionamento del welfare e della stessa compressione dei salari
(il potere di acquisto cala ogni anno , il lavoro dipendente perde
statisticamente terreno a favore solo dei profitti di impresa). L'euro è
lo strumento privilegiato con cui si riorganizza nel vecchio continente
non solo l'accumulazione capitalistica ma si eliminano al contempo le
anomalie nazionali, una sorta di conflitto inevitabile con il moderno
capitalismo transazionale che per affermarsi ha bisogno di cancellare
ogni forma di tutela collettiva, che riscrive le costituzioni e gli
statuti dei lavoratori eliminando ogni riferimento a un indirizzo, pur
vago, dell'economia a fini sociali (su questo rimandiamo a Vladimiro
Giacchè Costituzione italiana contro trattati europei e soprattutto a
Domenico Moro Globalizzazione e decadenza industriale entrambi editi da
Imprimatur)
Ridurre la spesa sociale significa anche evitare che i soldi pubblici
vadano a incrementare la domanda e le misure che determinano il welfare
perché il capitalismo di oggi non ha bisogno di queste misure per
affermare i suoi interessi, da qui la crisi del modello Keynesiano e del
blocco sociale di riferimento, da qui nasce l'elogio della precarietà
per affermare una nuova classe lavoratrice ricattabile, senza tutele e
senza sindacato. Una nuova idea di lavoro , di impresa e di cittadinanza
potrà nascere dalla derogalamentazione del diritto di lavoro e da una
democrazia bonapartista incarnata dal partito della nazione?
Contrariamente a quanto scrivevano alcuni (Negri in primis) non sono
scomparsi gli stati nazione che oggi sono impegnati soprattutto nel
promuovere politiche di deregolamentazione giuslavorista, quindi lungi
dallo scomparire gli stati nazionali hanno ridefinito ruoli e funzioni
nella fase di sovra accumulazione (di capitali e di merci).
Provare a dimostrare la ragionevolezza, anche in ambito
capitalistico, delle ricette neokeynesiane è un esercizio diffuso tra
gli intellettuali di sinistra, noi sappiamo che favorire la domanda
sarebbe sicuramente preferibile a politiche di austerità ma si dimentica
che in una certa fase storica è stato lo stesso capitalismo a sposare
queste teorie che oggi risultano inadeguate a superare le contraddizioni
sistemiche.
Numerosi intellettuali, invece di analizzare il modo di produzione
capitalista, si fermano solo alla fase distributiva e sognano i bei
tempi andati assumendo caratteristiche nostalgiche al pari di chi oggi
rimpiange la rivoluzione socialista e ritiene che la soluzione ad ogni
contraddizione sia la rinascita di un partito comunista senza prima
discutere di programmi, finalità dello strumento organizzativo.
Ma ancora piu' pericolose sono in realtà le fusioni a freddo di ceto
politico, esperienze come quelle di Sinistra Italiana sembrano essere
costruite per illudere sulla nascita di una nuova aggregazione di
sinistra che poi, forte di qualche consenso elettorale, andrà a mediare
con il Pd per costruire alleanze elettorali e di governo locale. Una
volta per tutte va detto che con il neoliberalismo del Pd non ci possono
essere alleanze e interlocuzioni, lo scriviamo alla vigilia di alcune
tornate elettorali che vedranno rompersi alleanze "a sinistra" a favore
della permanenza nelle coalizioni con il pd, del resto, come diceva un
ministro democristiano di lungo corso, il potere logora chi non lo
possiede....
Le fusioni di imprese, di cui accennavamo prima, hanno bisogno di una
deregolamentazione giuslavorista, di ridurre il potere di acquisto e di
contrattazione sindacale e parliamo di processi che avvengono a livello
europeo pur avendo alcune accelerazioni nei paesi meno competitivi del
vecchio continente dove l'austerità sta producendo danni sociali
incalcolabili, oltre a ridurre sul lastrico l'economia nazionale
regalando a prezzi di favore quote azionarie e aziende a multinazionali
dei paesi piu' avanzati.
I paesi europei ormai fanno a gara per favorire le condizioni
migliori per l'arrivo dei capitali, non importa ai governanti locali se
tutto cio' si tradurrà nella devastazione dei loro territori, nella
perdita di sovranità nazionale, nella desertificazione economica di
intere regioni, nello sfruttamento selvaggio delle locali risorse\forza
lavoro, nell'uso di una tecnologia sempre piu' esasperata dalla quale
dipende la tenuta futura del modello di produzione capitalista. Per
ripianare le contraddizioni sociali in ogni caso c'è sempre una
legislazione di emergenza utile a criminalizzare opposizione e dissenso,
del resto basterebbe guardare alle migliaia di condannati per reati che
vanno dai blocchi stradali alle occupazioni di casa.
Per queste ragioni, in ogni paese, troveremo interventi analoghi a
quelli del jobs act con politiche fiscali che gravano sui redditi da
lavoro dipendente a solo vantaggio della libera circolazione di
capitali. la Germania è partita in anticipo oltre un decennio prima con
le riforme sul lavoro della SPD. Analogo discorso va fatto per le
legislazioni che si accaniscono contro il diritto di sciopero e limitano
fortemente il diritto alla circolazione e a manifestare
Gli stati nazionali rinunciano alla loro tradizionale sovranità e
fanno a gara per offrire migliori condizioni alle imprese, da qui
nascono le cessioni di aziende e quote azionarie a capitalisti stranieri
(nel frattempo i capitali nazionali vanno verso l'acquisizione di
aziende straniere ritenute strategiche, nel controllo dei corridoi
energetici..) con l'inevitabile sequela di licenziamenti e fusioni, con
porzioni di territorio preda della disoccupazione di massa e della
desertificazione industriale . Ridurre la sovraccumulazione del resto è
vitale per superare la crisi del modello capitalistico anche se
determinerà la chiusura di tante fabbriche e la perdita di migliaia di
posti di lavoro.
In questo scenario anche rivendicare maggiori ammortizzatori sociali,
agli occhi degli apologeti del capitalismo, diventa un lusso
insostenibile, non perché non ci siano soldi ma perché questi capitali
vengono indirizzati ad altro scopo, al controllo delle aziende e allo
sviluppo delle stesse in ambito transazionale
Stato e collettività non sono sinonimi, lo Stato ha assunto decisioni
(vedi le privatizzazioni) che con gli interessi delle classi sociali
meno abbienti hanno poco a che vedere, non pensiamo quindi a riproporre
un intervento dello Stato che , come in passato, favorirebbe solo i
capitali privati, vogliamo invece pensare a ricondurre, come Moro scrive
a conclusione del suo libro, le forze di produzione sotto il controllo
della società e ci accontenteremmo intanto di costruire una nuova e
variegata alleanza sociale contro il neoliberalismo, una alleanza che
non si ponga per come obiettivo la scadenza elettorale che nel corso
degli ultimi 25 anni ha determinato solo sconfitte e arretramenti e la
perdita di un radicamento sociale ormai ridotto ai minimi termini. Come
dicevamo un tempo, fuori i contenuti e le pratiche comuni, non saranno
certo i programmi o le alleanze elettorali dell'ultima ora a
rappresentare quel blocco sociale che ha bisogno di coesione e di
pratiche sindacali, sociali e culturali comuni, insomma di sostanza che
stride con la semplice e riduttiva rappresentanza istituzionale.
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