Mentre da Cernobbio il premier Letta mandava a dire che tutti coloro che difendono il testo costituzionale sono dei conservatori,
si teneva a Roma un'affollatissima assemblea per denunciare il
carattere anticostituzionale delle modalità con le quali la maggioranza
di governo si appresta a modificare la Costituzione in punti
delicatissimi.
Letta dice che chi non vuole modificare nulla è contro la riduzione
dei parlamentari e la revisione del bicameralismo perfetto. Bugia
grossolana. Le forze che hanno organizzato l'assemblea romana da tempo
si sono pronunciate a favore di quello che un famoso costituzionalista
definì "una manutenzione intelligente della Costituzione".
Fanno testo dichiarazioni e atti parlamentari da almeno trenta anni a
questa parte. Personalmente feci parte della commissione diretta da
Aldo Bozzi agli inizi degli anni Ottanta (gli atti sono a disposizione
di tutti): si possono trovare miei interventi e di altri ben più
autorevoli parlamentari a favore del monocameralismo e quindi della
riduzione del numero dei parlamentari.
In realtà oggi la posta in gioco è tutt'altra, come Letta ben sa.
L'attuale maggioranza vuole una svolta in senso presidenzialista della
forma di stato e quindi intende procedere in fretta e furia, calpestando
i tempi previsti dall'attuale articolo 138. Si tratta del più grave e
ambizioso attacco ai fondamenti della nostra Costituzione. Non è vero
che non verrebbero toccati i principi fondamentali contenuti nella prima
parte. Non solo il Partito democratico si è dimostrato già disponibile
in questa direzione, ma in ogni caso è inevitabile che i diritti
contenuti nella prima parte vengano compressi o del tutto pregiudicati
da modifiche degli istituti previsti nella seconda parte, che li
dovrebbero attuare.
Per questo l'appuntamento che l'assemblea si è data - una grande
manifestazione popolare a Roma il 12 ottobre - diventa un punto di
riferimento per tutte le forze democratiche. Nelle sue conclusioni
Landini ha fatto una dichiarazione impegnativa: la manifestazione si
terrà in ogni caso. In altri termini non saranno eventuali crisi di
governo o altre vicende connesse all'attuale quadro politico a fermare
l'iniziativa.
Comincia a prendere corpo nel nostro paese un vero e proprio
sommovimento democratico che fa della difesa della Costituzione il
proprio perno. Non è la prima volta. Già nel 2006 i cittadini italiani,
superando persino un quorum che in quel caso non è richiesto, bocciarono
il premierato voluto dalle destre sul finire della legislatura. Ma la
cosa rimase lì, anche perché ci si illuse che la risicata vittoria
elettorale di Prodi potesse seppellire ogni tentativo di quel tipo.
Non è stato così, anche per l'attiva partecipazione del Partito
democratico a modifiche regressive del testo costituzionale, come si è
già visto nel caso della costituzionalizzazione del pareggio di bilancio
ottenuta durante il governo Monti con la modifica dell'articolo 81
della Costituzione.
Né si può pensare che la attuale Presidenza della Repubblica, come
hanno detto diversi interventi nell'assemblea, possa essere considerata
un valido baluardo contro modifiche negative del testo costituzionale.
La parola torna ai cittadini quindi.
Tra il 2 giugno, giorno della riuscita manifestazione bolognese e la
grande assemblea odierna, sono apparsi diversi articoli e prese di
posizione. Ne voglio ricordare in particolare uno di Stefano Rodotà
comparso su Repubblica. In quell'articolo agostano il giurista inseriva
un elemento nuovo e importante nella discussione. Pur respingendo
l'interpretazione che l'insieme delle forze che hanno dato vita a quegli
appuntamenti vogliano creare un nuovo partito - semplificazione
giornalistica molto in voga - affermava che bisogna dare vita a un nuovo
spazio politico.
Il che implica, in primo luogo, che gli spazi politici finora
esistenti sono o chiusi o insufficienti ad accogliere istanze di
cambiamento nelle politiche istituzionali e sociali che si inseriscano
nel solco costituzionale. Conseguentemente, e in secondo luogo, non si
può ridurre la discussione a una cassa di risonanza del congresso del
Partito democratico. In terzo luogo che non basta pensare di unire i
movimenti che si sviluppano nel sociale, anche perché questi sono spesso
giustamente gelosi della loro parzialità, ma che la dimensione politica
è indispensabile.
Su queste tematiche c'è molto da lavorare a sinistra. Non basta
qualche autocritica sul passato da parte di gruppi dirigenti della
sinistra antagonista. Né la corsa a salire sul carro del vincitore Renzi
da parte di altri (il trasformismo in un partito o in una coalizione
sola, si potrebbe dire rubando l'efficace definizione a Marco Revelli).
Bisogna invece dare voce e forza a quella sinistra diffusa che, oltre a
essere protagonista quotidiana di tante lotte sul piano sociale e
democratico, è anche produttrice di un pensiero alternativo a quello
dominante su come affrontare da ogni versante la grave crisi che
l'Italia e l'Europa stanno vivendo. Il 12 ottobre significherà anche
questo.
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