Negli ultimi 5 anni il costo del denaro stabilito dalla Bce è crollato dal 4 allo 0,5%. Non i tetti agli interessi praticati ai clienti. Che continuano a pagare caro mentre crescono i margini degli istituti
di Eleonora Lavaggi, Il Fatto Quotidiano
Il diavolo si nasconde nei dettagli. Ne sa qualcosa chi ha periodicamente a che fare con prestiti, mutui e rate da pagare con i relativi (e salati) interessi. Ne sanno qualcosa anche le banche che proprio sui tassi applicati portano a casa lauti guadagni o, quanto meno, possono provare a compensare la diminuzione degli introiti dovuta al calo dei prestiti concessi. Tetto fissato dalla Banca d’Italia permettendo.
E’ via Nazionale, infatti, che stabilisce ogni tre mesi qual è la soglia dell’usura sugli interessi applicabili al credito. Si tratta di un traguardo che si sposta insieme al corridore: impossibile da raggiungere a meno di non essere dei veri e propri strozzini. Logica avrebbe voluto che negli ultimi cinque anni mentre i tassi praticati dalla Bce (che in pratica è quanto costa alle banche finanziarsi) crollavano dal 4 allo 0,5%, di pari passo si fossero abbassati anche i tetti agli interessi ai quali banche e finanziarie possono concedere credito.
Invece il confine tra quanto è legale pretendere da un debitore e l’usura è rimasto stabile o si è addirittura allontanato. Nel giugno 2007 con tassi Bce al 4%, Bankitalia fissava ad esempio il limite all’8,3% su base annua. Oggi, con il costo del denaro allo 0,5%, la soglia è salita all’8,6 per cento. Peggio ancora per i mutui a tasso fisso, dove il tetto antiusura è passato dal 7 al 10,3 per cento.
Le famigerate carte di credito revolving, che permettono di rateizzare gli acquisti ma caricano sul possessore interessi pesantissimi, hanno mantenuto il limite invariato al 25% annuo. Ancora, uno scoperto senza fido in conto corrente fino può costare interessi fino vicini al 24% mentre nel 2007 si rimaneva al di sotto del 20 per cento. Si è invece ridotto il prelievo massimo che si può caricare su un prestito fino a 5mila euro ottenuto con la cessione del quinto dello stipendio (dunque con prelievo automatico in busta paga) che può arrivare fino al 18,4% annuo contro il 23,7% del 2007 .
I tassi effettivamente praticati sono mediamente più bassi, la concorrenza tra istituti in alcuni casi fa da calmiere naturale, ma nessuno può impedire a un finanziatore di spremere fino a questi livelli un debitore. E’ tutto legittimo. Come è possibile? E’ vero che i costi di finanziamento per una banca sono influenzati anche da altri fattori, come il livello di fiducia tra istituti, ma questo non basta a spiegare l’assoluta indifferenza dei tassi anti-usura al costo del denaro deciso a Francoforte.
In realtà l’escamotage risale al 2011 quando è stato modificato il criterio di calcolo della soglia trimestrale. Prima si prendeva la media dei tassi praticati per un determinato tipo di finanziamento e lo si aumentava del 50 per cento. Ora la base di partenza è sempre il tasso medio praticato che però va aumentato del 25% e al quale va poi sommato un altro 4 per cento. In pratica con il vecchio metodo facendo base 10 il tasso sarebbe stato del 15%, mentre con quello nuovo partendo dalla stessa media si arriva al 16,5 per cento. Strutturato in questo modo, con una quota fissa, il risultato finale risente ovviamente di meno del miglioramento delle condizioni dei mercati monetari e garantisce alle banche un cuscinetto di profitti non scalfibile.
Del resto prima che il criterio fosse modificato le soglie antiusura stavano scendendo in linea con i tassi Bce. Nel giugno del 2011, con il costo del denaro fissato da Francoforte all’1,25%, la soglia su un mutuo a tasso fisso era ad esempio al 7% ed era al 4,1% per un variabile. Uno scoperto di conto senza fido poteva costare al massimo il 22,5% (oggi 24%). I banchieri hanno protestato e l’aiutino di via Nazionale non si è fatto attendere.
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