I
numeri hanno un senso, definiscono la lunghezza del tempo, dello
spazio; ci fanno contare le pagine di un libro, ci dicono cos’è l’uno e
cos’è il molteplice. E ci dicono, in 186 pagine, scritte dalla Corte di
Cassazione che nel 2001 a Genova la polizia di Stato mise in atto «un
puro esercizio di violenza di una gravità inusitata» quando entrò nella
Scuola Diaz e prese a manganellate, calci, pugni e schiaffi tutti coloro
che vi erano accampati per la notte.
Una notte grigia, triste, anche se d’estate, perché segnata dagli avvenimenti di piazza Alimonda e di via Tolemaide. Una notte sempre più grigia e buia che si tinse del rosso del sangue delle teste fracassate, delle milze spaccate e delle ossa che scricchiolavano davanti ad una gestione dell’ordine che tutto era tranne che gestione e tranne che ordine.
Questa condotta violenta della polizia di Stato, scrivono i giudici della Cassazione, ha «gettato discredito sulla Nazione agli occhi del mondo intero». L’Italia è divenuta sinonimo, in quei giorni, di autoritarismo, di luogo dove non esisteva nessuno Stato di diritto e nessuna legge era invocabile per avere garantito un diritto.
C’era solo l’arbitrio e la violenza a farla da padroni con i mille misteri dei cortei del G8, anche il giorno dopo, con la comparsa e la ricomparsa della pattuglietta dei black block e del loro strano rapporto con la polizia. C’era non la sensazione, ma l’aperta constatazione che nulla poteva ostacolare la furia di chi aveva deciso di picchiare e nulla poteva fermare quella “catena di comando” che aveva permesso tutto questo fanatizzando la truppa e riportandola indietro di cinquant’anni quando in giro per l’Italia facevano tetra mostra di sé i gagliardetti del duce e le acquile nere o i teschi col gladio fra i denti.
Chi avrebbe potuto proteggere quei giovani alla Diaz da chi aveva stabilito che il teorema dei manifestanti violenti era geniale per spostare l’attenzione dai temi che quegli stessi ragazzi volevano opporre ai grandi della terra? Nessuno. Nemmeno la Costituzione è servita. E per la prima volta nella storia repubblicana d’Italia, il potere politico del governo e quello militare delle forze dell’ordine si è unito in un colpo di Stato bianco, del tutto mostratosi alla Città e al Mondo nella tre giorni di cortei e di massacri sotto le telecamere, i videofonini e gli scatti che diventano purtroppo, celebrità artistiche.
Ci sono immagini di qualcosa di più dei pestaggi, di veri e propri tentativi di massacri. Riguardate la foto di quell’avvocato del Genoa Social Forum a testa in giù e gambe divaricate sull’angolo di un muretto: tutto coperto di sangue… Quello non è un pestaggio, è un tentato omicidio.
Scrivono i giudici della Cassazione: «L’assoluta gravità sta nel fatto che le violenze, generalizzate in tutti gli ambienti della scuola, si sono scatenate contro persone all’evidenza inermi, alcune dormienti, altre già in atteggiamento di sottomissione con le mani alzate e, spesso, con la loro posizione seduta in manifesta attesa di disposizioni, così da potersi dire che s’era trattato di violenza non giustificata e punitiva, vendicativa e diretta all’umiliazione e alla sofferenza fisica e mentale delle vittime»
Non c’è interpretazione alcuna nelle parole di questa sentenza. E’ tutto talmente chiaro che, nelle parole della sentenza, sembra di vedere proprio le immagini dei corridoi della Diaz con i caloriferi sporchi di sangue, i computer rotti e i ragazzi terrorizzati dalle botte, dalla violenza anche verbale, dagli insulti ripetuti e scanditi nel classico crescendo intimidatorio di chi sa di avere dalla sua, in quel momento, il controllo psicologico della situazione oltre che materiale.
Ma il peggio viene ancora dopo queste parole. Perché manca la motivazione per cui la polizia avrebbe scatenato questa violenta reazione alla Diaz. Per quale motivo? Indubbiamente per screditare il movimento. E questo sembra evidente. Ma se si scredita qualcuno si deve per forza, di contrappeso, accreditare qualcun altro.
I giudici rispondono: «L’immagine della polizia doveva essere riscattata, essendo apparsa inerte di fronte ai gravissimi fatti di devastazione e saccheggio che avevano riguardato la città di Genova, e il riscatto sarebbe dovuto avvenire mediante l’effettuazione di arresti, ovviamente dove sussistenti i presupposti di legge».
Due, tre piccioni con una fava: distruggere i materiali audiovisivi fatti dalle varie componenti del Social Forum durante i fatti di piazza Alimonda e dei cortei; riscattare l’immagine della polizia con gli arresti; quindi screditare completamente quel movimento mostrando senza dimostrarlo, se non con le prove false delle due bottiglie molotov collocate ad arte nella Diaz nottetempo, che tutti quei giovani erano dei pericolosi sovversivi.
L’illegalità voleva mostrare illegali gli innocenti. Abuso di potere è dir poco. Quando si scredita una Nazione, come scrivono i giudici, si va nel tradimento dei valori costituzionali; si sorpassa la linea del giuramento di fedeltà alla Repubblica.
La sentenza numero 38085 rimarrà nella storia del nostro Paese. Va letta, diffusa, riprodotta e consegnata alle memorie giovani affinchè facciano tesoro del fatto che a volte il potere non ha scrupoli, che si rifiuta di autogestirsi e si scatena oltre le leggi che prevede di far rispettare e di rispettare. Non si può, dunque, obbedire sempre e ciecamente. Si finisce per servire il contrario della legge, il contrario della Repubblica e della democrazia.
Del resto, lo diceva don Lorenzo Milani già da Barbiana ai suoi scolari dell’anno intero: “L’obbedienza non è più una virtù”. Disobbedire alle leggi ingiuste e ai poteri che diventano abuso, violenza e discriminazione, non è giusto. E’ sacrosanto.
Una notte grigia, triste, anche se d’estate, perché segnata dagli avvenimenti di piazza Alimonda e di via Tolemaide. Una notte sempre più grigia e buia che si tinse del rosso del sangue delle teste fracassate, delle milze spaccate e delle ossa che scricchiolavano davanti ad una gestione dell’ordine che tutto era tranne che gestione e tranne che ordine.
Questa condotta violenta della polizia di Stato, scrivono i giudici della Cassazione, ha «gettato discredito sulla Nazione agli occhi del mondo intero». L’Italia è divenuta sinonimo, in quei giorni, di autoritarismo, di luogo dove non esisteva nessuno Stato di diritto e nessuna legge era invocabile per avere garantito un diritto.
C’era solo l’arbitrio e la violenza a farla da padroni con i mille misteri dei cortei del G8, anche il giorno dopo, con la comparsa e la ricomparsa della pattuglietta dei black block e del loro strano rapporto con la polizia. C’era non la sensazione, ma l’aperta constatazione che nulla poteva ostacolare la furia di chi aveva deciso di picchiare e nulla poteva fermare quella “catena di comando” che aveva permesso tutto questo fanatizzando la truppa e riportandola indietro di cinquant’anni quando in giro per l’Italia facevano tetra mostra di sé i gagliardetti del duce e le acquile nere o i teschi col gladio fra i denti.
Chi avrebbe potuto proteggere quei giovani alla Diaz da chi aveva stabilito che il teorema dei manifestanti violenti era geniale per spostare l’attenzione dai temi che quegli stessi ragazzi volevano opporre ai grandi della terra? Nessuno. Nemmeno la Costituzione è servita. E per la prima volta nella storia repubblicana d’Italia, il potere politico del governo e quello militare delle forze dell’ordine si è unito in un colpo di Stato bianco, del tutto mostratosi alla Città e al Mondo nella tre giorni di cortei e di massacri sotto le telecamere, i videofonini e gli scatti che diventano purtroppo, celebrità artistiche.
Ci sono immagini di qualcosa di più dei pestaggi, di veri e propri tentativi di massacri. Riguardate la foto di quell’avvocato del Genoa Social Forum a testa in giù e gambe divaricate sull’angolo di un muretto: tutto coperto di sangue… Quello non è un pestaggio, è un tentato omicidio.
Scrivono i giudici della Cassazione: «L’assoluta gravità sta nel fatto che le violenze, generalizzate in tutti gli ambienti della scuola, si sono scatenate contro persone all’evidenza inermi, alcune dormienti, altre già in atteggiamento di sottomissione con le mani alzate e, spesso, con la loro posizione seduta in manifesta attesa di disposizioni, così da potersi dire che s’era trattato di violenza non giustificata e punitiva, vendicativa e diretta all’umiliazione e alla sofferenza fisica e mentale delle vittime»
Non c’è interpretazione alcuna nelle parole di questa sentenza. E’ tutto talmente chiaro che, nelle parole della sentenza, sembra di vedere proprio le immagini dei corridoi della Diaz con i caloriferi sporchi di sangue, i computer rotti e i ragazzi terrorizzati dalle botte, dalla violenza anche verbale, dagli insulti ripetuti e scanditi nel classico crescendo intimidatorio di chi sa di avere dalla sua, in quel momento, il controllo psicologico della situazione oltre che materiale.
Ma il peggio viene ancora dopo queste parole. Perché manca la motivazione per cui la polizia avrebbe scatenato questa violenta reazione alla Diaz. Per quale motivo? Indubbiamente per screditare il movimento. E questo sembra evidente. Ma se si scredita qualcuno si deve per forza, di contrappeso, accreditare qualcun altro.
I giudici rispondono: «L’immagine della polizia doveva essere riscattata, essendo apparsa inerte di fronte ai gravissimi fatti di devastazione e saccheggio che avevano riguardato la città di Genova, e il riscatto sarebbe dovuto avvenire mediante l’effettuazione di arresti, ovviamente dove sussistenti i presupposti di legge».
Due, tre piccioni con una fava: distruggere i materiali audiovisivi fatti dalle varie componenti del Social Forum durante i fatti di piazza Alimonda e dei cortei; riscattare l’immagine della polizia con gli arresti; quindi screditare completamente quel movimento mostrando senza dimostrarlo, se non con le prove false delle due bottiglie molotov collocate ad arte nella Diaz nottetempo, che tutti quei giovani erano dei pericolosi sovversivi.
L’illegalità voleva mostrare illegali gli innocenti. Abuso di potere è dir poco. Quando si scredita una Nazione, come scrivono i giudici, si va nel tradimento dei valori costituzionali; si sorpassa la linea del giuramento di fedeltà alla Repubblica.
La sentenza numero 38085 rimarrà nella storia del nostro Paese. Va letta, diffusa, riprodotta e consegnata alle memorie giovani affinchè facciano tesoro del fatto che a volte il potere non ha scrupoli, che si rifiuta di autogestirsi e si scatena oltre le leggi che prevede di far rispettare e di rispettare. Non si può, dunque, obbedire sempre e ciecamente. Si finisce per servire il contrario della legge, il contrario della Repubblica e della democrazia.
Del resto, lo diceva don Lorenzo Milani già da Barbiana ai suoi scolari dell’anno intero: “L’obbedienza non è più una virtù”. Disobbedire alle leggi ingiuste e ai poteri che diventano abuso, violenza e discriminazione, non è giusto. E’ sacrosanto.
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