sabato 4 luglio 2015

La forca e il Partenone di Paolo Favilli


La forca e il Partenone
di Paolo Favilli*
 
Contro Atene, la coerenza del Pd
«Grande è la confusione sotto il cielo», ma la situazione è tutt’altro che eccellente. Stiamo assistendo ad una forma di impazzimento del frullato politico, proprio come avviene con la proliferazione incontrollata di grumi e di scollamenti nel connettivo della maionese. Il fenomeno, però, non è indicatore di mutamenti importanti negli equilibri tra i poteri economici davvero dominanti, ma solo della progressiva decomposizione del tessuto sociale e delle sue proiezioni politiche. Anzi il fenomeno rafforza la stabilizzazione del «paradiso dei padroni», così qualche anno fa Serge Halimi ha chiamato lo stato di cose presente. E l’espressione non potrebbe essere maggiormente aderente alla realtà.
Seppure nella salsa italiana che da più di vent’anni caratterizza i “capi” emersi nel paese (una mistura di ignoranza, arroganza, interesse privato, tratti macchiettistici, impermeabilità al senso del ridicolo, estraneità sostanziale allo stato di diritto), il frullato politico nazionale non si differenzia dalle leadership internazionali consustanziali ai nuovi e vecchi padroni del mondo. Comune è l’impegno per la distruzione progressiva del compromesso tra «capitalismo civilizzato» (costretto alla civilizzazione) e società democratica. Comune è l’applicazione della «nuova razionalità» e dunque del rigore, della dura e giusta legge nei confronti dei lavoratori dipendenti protetti da garanzie inammissibili, durate per troppo tempo. Ora bisogna pagare. Pagherete caro, pagherete tutto! Come recitava un antico slogan della protesta oggi passibile di uso rovesciato.
Il problema principale del frullato politico riguarda solo la capacità di controllo degli effetti degli squilibri provocati dalle varie forme del rigore. Tutte i meccanismi in atto di progressivo ed ormai avanzato svuotamento della democrazia stanno producendo effetti di controllo piuttosto efficaci. Naturalmente in presenza di ogni genere di tensioni: immiserimento progressivo e miseria cronica, disaffezione, quando non odio, nei confronti della politica, guerre tra poveri, etc. Contraddizioni che, per ora, non sembrano in grado di toccare il centro da cui scaturiscono. Anzi le forme dell’impazzimento del frullato sono diventate il catalizzatore dello spettacolo politico, il simbolo stesso di quell’universo. L’universo dei padroni del mondo, invece, sembra situarsi in una dimensione inaccessibile e inconoscibile.
 
Questo è lo stato delle cose e continuare a dibattere sulla possibilità di recupero a «sinistra» del PD, magari legata al successo della proposta Barca di «rifondazione» democratica dal basso del partito, non ha alcun fondamento reale. Riguarda il «sogno di una vita più bella», secondo l’espressione, più volte citata, del grande storico Johan Huizinga. Riguarda la sfera del desiderio, non quella dell’analisi.
La «cosa» che nel 2008 si è chiamata Pd, e che oggi è il partito di Renzi, ha una storia che, misurata in termini politici, risulta essere piuttosto lunga. Una storia in cui progressivamente si sono solidificati nuovi assetti ormai diventati strutturali. Strutture relative sia alla cultura politica (la mancanza di cultura non ne è la negazione), sia ai meccanismi di formazione e di funzionamento dei gruppi dirigenti ad ogni livello. Legame solidissimo tra le due dimensioni strutturali è stato, già a partire dalla metà degli anni Novanta, l’accettazione nella sostanza, e poi la convinta assimilazione, del tipo di razionalità che i vincitori della fase di accumulazione capitalistica in corso hanno posto come base della loro egemonia.
È su questa base che è avvenuto lo spostamento del sistema di riferimento sociale. C’è un filo diretto tra la predilezione di D’Alema nel 1999 per i «capitani coraggiosi» Colaninno e Gnutti che scalano la Telecom Italia privatizzata e l’orizzonte di riferimento dell’attuale presidente Giuseppe Recchi. Un presidente che «è un ex consigliere di Blackstone e manager della Genaral Electric, il quale, infischiandosene apertamente del nome della sua azienda, ha dichiarato con soddisfazione: “Il capitale non ha bandiera e le compagnie finiranno per non avere una bandiera che non sia la loro” [Financial Times, 4 agosto 2014] (Perry Anderson)». C’è un filo diretto tra le varie «cose» ante Pd e il complesso di relazioni industrial-finanziarie di cui Renzi è al centro.
 
Di ciò dobbiamo ragionare quando ci si pone il problema del «che fare» e non delle sfumature di colore della «sinistra» del frullato politico del Pd.
È l’insieme strutturale frutto di una storia più che ventennale, delle scelte che al suo inizio hanno prefigurato tanto una direzione che una collocazione sociale, che fa di quel partito un pilastro dello «stato di cose esistenti». Da questo insieme derivano le scelte in ambito economico, sociale, istituzionale, scelte dirimenti, scelte di campo.
L’ultima, particolarmente probante, è di questi giorni e riguarda la scelta di campo relativa alla crisi greca. Sulla questione è intervenuto in maniera assai pertinente Marco Revelli («il manifesto» 27/6/2015). Egli cita Ambrose Evans-Pritchard «un commentatore conservatore, ma non accecato dall’odio». Evans-Pritchard, business editor del Daily Telegraph, scrive che «i creditori vogliono vedere questi Kleft ribelli (…) pendere impiccati dalle colonne del Partenone». Revelli ci ha risparmiato la variante dell’impalamento cui pure il giornalista inglese fa diretto riferimento. Evans-Pritchard, inoltre, definisce «incredibile» la posizione della troika comunque mascherata e paragona la crisi sul debito greco ad una sorta di guerra irakena scatenata dalla finanza («The Telegraph», 19/6/2015).
«Non è l’Europa che sta facendo fallire la Grecia, ma caso mai sono le scelte del governo greco»: così il ministro Padoan. Renzi, lo statista, si è mosso all’interno dell’unico orizzonte che frequenta davvero: la furbizia. E coerentemente ha dato del «furbo» a Tsipras; nella sostanza lo ha trattato da «levantino» Il governo del Pd, dunque, rifugge certo dalla pratica barbara dello «impalamento», ma regge volentieri una parte della corda per impiccare i ribelli al Partenone.
 
* storico, Università di Genova

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