sabato 12 settembre 2015

Enti locali, la tornata elettorale dei "sindaci arancioni". Gli stretti margini per la sinistra d'alternativa di franco Astengo



Al netto della possibilità concreta di elezioni legislative generali anticipate nella Primavera del 2016 dovrebbe comunque svolgersi un’importante tornata elettorale che vedrà coinvolti molti Comuni di grande importanza: Milano, Cagliari, Torino, Napoli, Genova tra gli altri, proprio quei comuni nei quali cinque anni fa si affermarono i cosiddetti “sindaci arancioni”.
Su questo tema emerge già grande agitazione a sinistra: il tema delle alleanze appare sempre più scottante e c’è la questione della conservazione del posto per tutta una serie di personaggi che hanno già assunto la veste di “notabili” (con annessi e connessi come ben si è visto a Roma in questi ultimi tempi).
Sel appare sicuramente la forza politica più “agitata” in questa direzione perché emerge una grande voglia di star dentro il gioco orchestrato dal PD e, d’altro canto, si è proclamata solennemente “il centrosinistra è finito, lo ha ucciso Renzi” come ha dichiarato, in questi giorni, lo stesso Vendola.
Infatti, sarà proprio il PD “renziano”, quello che Diamanti definisce PdR, il grande protagonista del tentativo di spostamento delle pedine nella propria direzione e quindi sarà con il PdR che si dovrà fare i conti fino in fondo in vista della prossima primavera.
E’ il caso, quindi, di fissare alcuni punti molto precisi per quella sinistra d’alternativa che intendesse misurarsi con il tema di una proposta elettorale da presentare in questa prossima tornata:
1) Non ci sono spazi per poter pensare a una qualche strategia di alleanze sul piano elettorale;
2) Il giudizio sulle amministrazioni uscenti, arancione o non arancione, non può che essere complessivamente negativo anche cercando di esaminare situazione per situazione. Anzi, in questo caso (pensiamo alla gestione dell’Expo a Milano o a quella del territorio a Genova, soltanto per fare degli esempi) il giudizio non potrà che essere ancora più negativo di quello già espresso sul piano complessivo;
3) La sola strada possibile per un’eventuale presenza elettorale è quella dell’autonomia politica e programmatica collegando proprio l’autonomia a un progetto di opposizione radicale che rappresenti i tanti settori sociali maggiormente disagiati nelle realtà urbane;
4) La capacità progettuale da sottoporre eventualmente al giudizio delle elettrici e degli elettori deve corrispondere a contenuti molto “alti” sui terreni delle prospettive occupazionali, della gestione e della programmazione degli spazi urbanistici, della gestione dei servizi sociali e delle utilities senza concessioni a improvvide, più o meno mascherate, privatizzazioni, del richiamare con grande forza la “questione morale”, del combattere fino in fondo qualsivoglia logica speculativa. Tutti elementi di progetto incompatibili con un sistema delle alleanze interno al perimetro tracciato dal PD;
5) Ci sarà chi accuserà l’espressione di questi principi come quella di una vocazione al minoritarismo. Un’accusa che deve essere seccamente respinta. Il tracollo dell’identità della sinistra è avvenuto, in larga parte, proprio sul terreno della “governabilità locale” laddove si è verificata la costruzione di un ceto politico che attuando una logica opportunistica di alleanze ad hoc ha snaturato la propria funzione di rappresentanza politica:
6) Per ripartire è dunque necessario, se lo si ritiene concretamente possibile (e in questo caso il giudizio non può che essere lasciato ai singoli territori, pur cercando di definire un quadro strategico generale) il recupero di un’identità sul piano della rappresentanza che deve realizzarsi politicamente attraverso un progetto di opposizione collegato a una precisa qualità di espressione programmatica e di coerente presentazione elettorale sul piano della soggettività.

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