martedì 1 settembre 2015

L’iniezione che serve a Pechino di Tonino Perna

 
Il crollo della Borsa di Shan­gai non è stato un inci­dente di per­corso, ma il segno tan­gi­bile che anche il modello di accu­mu­la­zione cinese è ormai subal­terno alle dina­mi­che della finanza glo­ba­liz­zata. Nel modo di pro­du­zione capi­ta­li­stico i crolli finan­ziari sono fisio­lo­gici e ser­vono a redi­stri­buire la ric­chezza finan­zia­ria dal basso verso l’alto, a con­tri­buire deci­sa­mente a quel pro­cesso di concentrazione/centralizzazione del capi­tale che a metà del XIX secolo Marx aveva genial­mente intuito.
Nel caso cinese, per spie­garci meglio, sono i novanta milioni di pic­coli e medi rispar­mia­tori che ave­vano inve­stito nella Borsa di Shan­ghai ad averci rimesso le penne: colti dal panico hanno sven­duto i titoli su cui ave­vano inve­stito i pro­pri risparmi. Di con­tro, i grandi gruppi finan­ziari, cinesi e non, hanno avuto l’opportunità di com­prare que­ste azioni a prezzi strac­ciati e lucrare sulla loro risa­lita, come pun­tual­mente si è veri­fi­cato in que­sti ultimi giorni. Ma, la crisi finan­zia­ria non si è chiusa e il mondo trema per­ché l’economia cinese ha avuto finora un ruolo di loco­mo­tiva rispetto al resto dell’economia-mondo.
I mass media occi­den­tali hanno molto apprez­zato l’intervento della Banca Cen­trale cinese che ha abbas­sato i tassi d’interesse e le riserve obbli­ga­to­rie delle ban­che ed immesso una liqui­dità di circa 20 miliardi di dol­lari. Alcuni ana­li­sti hanno usato l’espressione di Quan­ti­ta­tive Easing (Q.E.) alla cinese per indi­care la scelta del governo di Pechino di aumen­tare la liqui­dità del sistema, evi­tando che si inne­sti un pro­cesso defla­zio­ni­stico che por­te­rebbe ad una bru­sca fre­nata dell’economia reale. Ed è qui la que­stione di fondo: il capi­ta­li­smo glo­ba­liz­zato non può sop­por­tare una cre­scita lenta o addi­rit­tura la reces­sione. Secondo David Har­vey, noto geo­grafo ed eco­no­mi­sta inglese, per man­te­nere un livello accet­ta­bile del tasso di pro­fitto medio la cre­scita eco­no­mica glo­bale deve viag­giare ad un tasso medio di almeno il 3 per cento l’anno. E gli Usa da soli non bastano: il ruolo della Cina è cen­trale per il sistema capi­ta­li­stico su scala mon­dialeinsieme ad India, Bra­sile e Rus­sia — per man­te­nere alto il livello della domanda aggre­gata a livello globale.
Ma, la Cina per man­te­nere ele­vato il suo tasso di cre­scita avrebbe biso­gno di rilan­ciare la domanda interna, e que­sto richiede una redi­stri­bu­zione della ric­chezza e quindi un altro modello sociale e poli­tico. E’ quello auspi­cato da Jeremy Cor­byn, lea­der emer­gente del par­tito labu­ri­sta inglese, che ha messo al cen­tro del suo pro­gramma elet­to­rale il Q.E. for the peo­ple. Que­stione cen­trale, ine­lu­di­bile, se si vuole affron­tare seria­mente la crisi in corso. La sola immis­sione di liqui­dità in grande quan­tità decisa prima dalla Fed e poi dalla Bce non risolve la crisi da domanda o meglio da sovra­pro­du­zione di cui sof­fre l’economia-mondo. Solo una grande redi­stri­bu­zione della ric­chezza potrebbe risol­le­vare le sorti dell’economia mon­diale, dando la pos­si­bi­lità a cen­ti­naia di milioni di per­sone di acce­dere a beni e ser­vizi essenziali.
Basti pen­sare che 1,2 miliardi di per­sone sono prive di acqua pota­bile e oltre 1,5 miliardi vivono in zone urbane o rurali senza fogne e cana­liz­za­zione delle acque, con con­se­guenti malat­tie (come la dis­sen­te­ria, il colera, il tifo, ecc,) causa prima della mor­ta­lità infan­tile in que­ste aree. Senza con­tare l’alimentazione e i far­maci essen­ziali di cui sono pri­vati circa un quinto degli abi­tanti del nostro pianeta.
Ma, una grande inie­zione di liqui­dità mone­ta­ria a favore delle fasce più deboli della popo­la­zione, clas­sica ricetta key­ne­siana, non può avve­nire pun­tando sola­mente sull’aumento quan­ti­ta­tivo di moneta in cir­co­la­zione. Il motivo è noto: il debito mon­diale — pub­blico e pri­vato — vale più di tre volte il Pil ed in molti paesi indu­stria­liz­zati ha rag­giunto livelli di inso­ste­ni­bi­lità. E la Cina non fa ecce­zione: il solo inde­bi­ta­mento delle imprese pri­vate è pari al 200 per cento del Pil, men­tre quello pub­blico, pur miglio­rando nell’ultimo decen­nio, è pari ad oltre il 120 per cento. In breve, la Cina sof­fre di tutti i mali dell’Occidente con un’aggravante: il modello di neo­li­be­ri­smo auto­ri­ta­rio (spesso con­fuso con il capi­ta­li­smo di Stato) è gui­dato dal più grande par­tito comu­ni­sta del mondo, che ha impe­dito finora l’emergere di una alternativa.
Un modello di svi­luppo che ha por­tato la Cina ad un tasso di cre­scita che non ha uguali nella sto­ria dello svi­luppo eco­no­mico: negli ultimi quin­dici anni il Pil cinese è cre­sciuto del 300 per cento, con un tasso medio annuo di oltre il 10 per cento. E que­sta inso­ste­ni­bile acce­le­ra­zione, come è noto, ha pro­dotto gua­sti sul piano sociale ed ambien­tale che sono stati coperti dalla pol­vere del tasso di cre­scita dell’economia reale.
Come Simone Pie­ranni ed altri hanno spie­gato più volte su que­sto gior­nale, il gruppo diri­gente del Pcc ha un biso­gno vitale di un tasso di cre­scita soste­nuto per man­te­nere il con­senso. Ma, il modello di svi­luppo export orien­ted non basta più: la crisi delle eco­no­mie mature dell’Occidente lo impe­di­sce. Solo la cre­scita del mer­cato interno — che avrebbe un bacino di circa 600 milioni tra con­ta­dini ed ope­rai che vivono sotto la soglia di povertà — potrebbe ancora per­met­tere alla Cina di cre­scere, ma richie­de­rebbe una redi­stri­bu­zione del red­dito che col­pi­rebbe la «classe agiata» cinese che ha un peso rile­vante nello stesso par­tito comunista.
Insomma, per far ripar­tire il paese la Cina avrebbe biso­gno di una inie­zione di socia­li­smo più che di liqui­dità mone­ta­ria. Né più né meno che noi euro­pei. Ormai i prin­ci­pali feno­meni eco­no­mici, sociali ed ambien­tali si pre­sen­tano allo stesso modo in tutti i paesi del mondo: il pro­cesso di glo­ba­liz­za­zione capi­ta­li­stica si è com­piuto. Il che signi­fica che non è più pos­si­bile spo­stare sulle future gene­ra­zioni il peso della crisi eco­no­mica ed eco­lo­gica. Signi­fica altresì che dob­biamo pun­tare ad un Q.E. for the Peo­ple, ma nel rispetto degli equi­li­bri ambien­tali se non vogliamo cadere in una trap­pola peg­giore. Que­sta potrebbe essere la nuova ban­diera della Sini­stra Europea.

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