domenica 27 settembre 2015

All’ultimo congresso del Pci: «Sono per una rifondazione comunista, non si può restare in mezzo al guado»

 
di Pietro Ingrao, Rimini 1991
Io parto dalla que­stione che mi sem­bra cen­trale nella rela­zione di Occhetto: siamo a una svolta della situa­zione mon­diale. La svolta si mate­ria­lizza nella vicenda del Golfo. Per­ché una guerra tutto som­mato con­cen­trata in un’area ristretta e finora durata poche set­ti­mane, sta assu­mendo signi­fi­cato gene­rale? La que­stione del petro­lio non basta a spie­gare tutto. E nem­meno la paz­zia di Sad­dam o la volontà di Bush di far fronte a un declino eco­no­mico ame­ri­cano. L’unica spie­ga­zione che rie­sco a tro­vare è che la vicenda squa­derna dinanzi a noi l’immagine scon­vol­gente che è o può essere la scienza della guerra moderna. Que­sto emerge da ambe­due i fronti della vicenda.
Dal lato dell’aggressore ira­cheno: vediamo un pic­colo tiranno di un paese a eco­no­mia subal­terna, di pochis­simi milioni di abi­tanti che può lan­ciare mis­sili su Israele e minac­ciare la guerra chi­mica e bat­te­rio­lo­gica. Con­tro que­sto pic­colo despota i più pos­senti paesi dell’Occidente indu­stria­liz­zato dichia­rano di non avere altri mezzi che una guerra senza pietà, con­dotta con i loro più sofi­sti­cati stru­menti di ster­mi­nio. Quanto più mi dicono che que­sta guerra è neces­sa­ria, tanto più mi spavento.
C’è un’altra strada? Io vedo qui il grande valore della scelta che sta dinanzi a que­sto con­gresso. Noi stiamo dicendo qui che per risol­vere i con­flitti tra gli Stati e bloc­care l’aggressore ci può essere un’altra via. E dinanzi all’orrore della guerra del Due­mila stiamo cer­cando, pro­vando, lot­tando per una nuova, grande strada pacifica.
La Costi­tu­zione ita­liana dichiara che l’Italia rifiuta la guerra. Invece per la prima volta in quarant’anni l’Italia è di nuovo in guerra. Que­sta è la scelta che ci sta dinanzi: se quel ripu­dio scritto nella Costi­tu­zione è solo una frase, o invece qui deve diven­tare realtà. Per­ciò la lotta per il ritiro delle navi dal Golfo non è supe­rata o mar­gi­nale o acces­so­ria. È coe­renza con ciò che diciamo: atto signi­fi­ca­tivo e neces­sa­rio di una strategia.
È pos­si­bile un’altra strada? Noi stiamo pro­po­nendo e cer­cando una lotta con­tro l’aggressione e una via per la rego­la­zione dei con­flitti che siano paci­fi­che. Oggi cer­chiamo di agire con­cre­ta­mente per met­tere in pra­tica, qui e ora dinanzi a que­sta crisi, a que­sta guerra del Due­mila, la via della pace. Non è una via rinun­cia­ta­ria. Anzi è quanto mai ambi­ziosa. Discu­tiamo tanto della nostra iden­tità. Se sce­gliamo dav­vero, se ten­tiamo dav­vero que­sta strada, que­sta è una straor­di­na­ria assun­zione di identità.
Que­sta strada chiede una forte coe­renza. Una con­fe­renza sul Medio Oriente non può essere affi­data a un impe­gno gene­rico, su un impre­ci­sato domani, come era ancora anche in quel comu­ni­cato del segre­ta­rio di Stato Usa e del mini­stro degli Esteri sovie­tico, che pure giorni fa è stato rifiu­tato da Bush. E non fer­marsi ai pale­sti­nesi e alla sicu­rezza di Israele ma deve riguar­dare anche il Libano e non solo l’indipendenza, ma la libertà del Kuwait. Cioè dob­biamo lavo­rare per­ché si affermi una auto­no­mia e libertà dei popoli arabi come coes­sen­ziale obiet­tivo della pace. Que­sta via ha impli­ca­zioni poli­ti­che subito: vuol dire che noi lot­tiamo con­tro Sad­dam, ma anche con­tro il despota siriano Assad, di cui nes­suno parla e che oggi è l’amico di Bush e di Gor­ba­ciov; e con­tro i satrapi miliar­dari degli emirati.
Ho apprez­zato che il segre­ta­rio del par­tito abbia detto che biso­gna allar­gare il Con­si­glio di sicu­rezza dell’Onu e abo­lire (ho capito bene?) il diritto di veto. Que­sto signi­fica dire oggi che 1’Onu non è un orga­ni­smo demo­cra­tico ma è con­trol­lato e mano­vrato dalle grandi potenze, sino alla cla­mo­rosa vio­la­zione del suo Sta­tuto com­piuta con la riso­lu­zione 678.
Quanto ci vorrà per rom­pere que­sta oli­gar­chia? Ci vorrà mol­tis­simo se noi già da ora non comin­ciamo ad aprire que­sto ter­reno di lotta. E su ciò, invece, in que­sti mesi abbiamo con­sen­tito una misti­fi­ca­zione. Par­lai al con­gresso di Bolo­gna degli F16. Non mi ver­go­gno di tor­nare a par­larne dopo un anno. Oggi lo vediamo: non si tratta di una base qua­lun­que. Si tratta del fianco sud del sistema mili­tare atlan­tico sul Medi­ter­ra­neo. Il mini­stro De Miche­lis dichiara let­te­ral­mente che «il peri­colo viene da Sud e non più da Est» e che è neces­sa­ria una forza mili­tare capace di inter­ve­nire non solo fuori dai con­fini nazio­nali, ma «a distanza». Gioia del Colle, Cro­tone, Taranto, Sigo­nella, sono solo l’anticipo di una stra­te­gia: apriamo final­mente una lotta reale e di massa per un Mez­zo­giorno di pace? Apriamo final­mente una con­tro­ver­sia per il rifiuto uni­la­te­rale degli F16?
Alle parole deve cor­ri­spon­dere la lotta. Tutti, più o meno, abbiamo cri­ti­cato qui il pesante defi­cit di ini­zia­tiva della Cee nel con­flitto medio­rien­tale. Ma c’è una base, o almeno un primo ter­reno reale di parti nella Cee? No. E non solo per l’egemonia finan­zia­ria tede­sca, ma per­ché ci sono nella Cee due potenze ato­mi­che: Fran­cia e Inghil­terra. Que­sto dato non è mai con­te­stato o fatto oggetto di reale nego­ziato. Su que­sto punto non è esi­stita nem­meno una lotta.
Voglio dire che la grande, enorme, scom­messa sulla pace come rego­la­trice dei con­flitti, come base di un primo germe di governo mon­diale, ha biso­gno di una rigo­rosa coe­renza. Non si può fare a spicchi.
Non si può restare in mezzo al guado. E ha biso­gno di costruire nuovi sog­getti reali. Que­sto con­gresso invece è ancora con­trad­dit­to­rio. Per un verso spinge a una scelta di pace che sem­bra allu­dere ad una nuova idea della poli­tica; e per un altro verso è monco nell’autocritica sul limite grave che la sini­stra euro­pea, ma anche noi, ha avuto nella lotta per il disarmo e per il Sud del mondo. E io stesso qui tac­cio sulla posi­zione assunta dal sindacati.
Sostengo che sce­gliere la via della pace per affron­tare que­sto con­flitto è un modo forte di assol­vere ad una fun­zione nazio­nale e inter­na­zio­nale. Il ritiro delle navi dal Golfo non è trarsi fuori, un rim­pic­cio­lirsi oppure l’Italietta che si sot­trae a un ruolo inter­na­zio­nale. È un’altra stra­te­gia. E anche la pro­po­sta di una tre­gua uni­la­te­rale riceve così una moti­va­zione di fondo, non solo tat­tica. Una simile strada sarebbe un grande atto verso il Sud del mondo: un cam­bia­mento nella sto­ria stessa dell’Occidente cattolico-cristiano. Anche per que­sto parla Woj­tyla. E io non ho per nulla in testa lo schema di una Ame­rica spo­sata alla causa o alla fun­zione di gen­darme mon­diale. Tanta Ame­rica di oggi discute più lai­ca­mente che in Ita­lia della guerra del Golfo. Noi, sini­stra euro­pea, pun­tiamo su que­sta Ame­rica o su Bush? Ecco un nodo essen­ziale su cui si misura e si costrui­sce l’alternativa. Fac­ciamo l’ipotesi che si possa comin­ciare a cam­mi­nare su que­sta strada paci­fica, io credo che man mano che avanzi una tale pra­tica di pace essa si river­be­re­rebbe su tutto il pano­rama sociale. Anche la pre­po­tenza di Romiti sarebbe più debole.
E que­sta stra­te­gia di pace sarebbe un potente anti­corpo con­tro i reami della vio­lenza e le fonti del domi­nio sociale. Sarebbe anche una rot­tura con­tro l’etica maschi­li­sta del possesso.
Io sono comu­ni­sta e sono sceso in campo per una rifon­da­zione comu­ni­sta. E vedo quale novità, e arric­chi­mento que­sto affron­tare con­cre­ta­mente la vio­lenza con la pace intro­duce anche nella tra­di­zione alta del comu­ni­smo ita­liano; e quale ter­reno straor­di­na­rio esso può aprire con altre cul­ture e civiltà. Altro che il ghetto in cui ci vede chiusi Craxi. Ma lo sa Craxi che in Fran­cia si è dimesso il mini­stro socia­li­sta della Difesa?
Se siamo coe­renti, se non arre­triamo spa­ven­tati, assume un forte signi­fi­cato che que­sto par­tito, dato per defunto, si cimenti in una tale inno­va­zione paci­fica e con que­sto tema grande e ine­dito dav­vero il peg­gio sarebbe restare in mezzo al guado.
Allora, su la schiena. E attenti al rischio della sepa­ra­zione. Voi che siete la mag­gio­ranza avete ogget­ti­va­mente il potere più forte per evitarla.
Per­ciò provo a fare un appello a me stesso. Non credo alle con­fu­sioni e ai pasticci, e forse ne ho dato qual­che prova. Credo alla fecon­dità delle dif­fe­renze che si dicono alla luce del sole. Ma se in qual­che modo siamo dav­vero al cimento di cui ho par­lato, e a que­sto punto di svolta della vita mon­diale, tutti dob­biamo par­lare in modo diverso. Tutti dob­biamo cam­biare qual­cosa fra di noi e soprat­tutto fra noi e gli altri. Spe­riamo dav­vero di farcela.

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