martedì 8 settembre 2015

Fortune

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"Noi non la paghiamo la vostra crisi", è stato lo slogan urlato con determinazione e sfida durante le prime proteste di sinistra contro la politica di crisi, in Germania e nell'Unione Europea. L'idea, di cosa e di quanto dev'essere "pagato per la crisi" - come se si trattasse di un acquisto costoso, ma pur sempre necessario - ha potuto nascere in seguito alle misure governative il cui obiettivo era quello di evitare il collasso del sistema bancario e monetario. La pressione della svalorizzazione è stata in questo modo trasferita, provvisoriamente, per mezzo di garanzie ed appoggi da parte del sistema politico, dal sistema finanziario al debito pubblico, ed è avvenuto in ordini di grandezza difficilmente immaginabili, che si aggirano sulle decine di miliardi. Lo Stato - così lo hanno criticato i partiti della sinistra, e non solo - ha usato i "nostri soldi" per garantire profitti privati; denaro che, si suppone, avrebbe dovuto essere risparmiato, considerato che secondo l'Agenda 2010 i benefici sociali sono stati ridotti e le spese per l'istruzione e la cultura sono state tagliate.
Il crollo finanziario non è stato percepito come manifestazione di una crisi sociale generale dell'accumulazione capitalista, ma soltanto come problema di una piccola élite di speculatori, in qualche maniera moralmente depravati, che hanno usato la loro iniqua influenza politica per nazionalizzare le perdite, dopo che avevano privatamente intascato i profitti dei "redditi senza lavorare" delle loro azioni nocive per il bene comune. Le implicazioni, strutturalmente antisemite, di una simile interpretazione del processo di crisi, saltano agli occhi. Anche oggi, le risposte alla crisi propagandate dalla sinistra non sono esenti da tali implicazioni, né appaiono impregnate di un'analisi sociale che sia critica dell'ideologia ed all'altezza degli avvenimenti.
I tentativi, tutt'altro che sistematicamente pianificati , di dominare politicamente i sempre nuovi focolai della svalorizzazione, in Europa, sono visti dalle sinistre vicine a partiti come un'ovvia azione statale sovrana, cui deve esser conferito soltanto un contenuto differente, più sociale: "Ma la questione di chi paga la crisi avrebbe potuto essere risolta in maniera diversa. Invece di salvare le banche e proteggere le grandi fortune, avrebbero dovuto essere proprio queste a dover essere chiamate a pagare". Così scrive, ad esempio, l'associazione studentesca "DIE LINKE.SDS" in un volantino per la campagna "Blockupy" del 2013. L'obiettivo di "Blockcupy" era quello di bloccare (di nuovo) alla fine di Maggio, a Francoforte, la BCE (Banca Centrale Europea) e le sedi delle grandi banche commerciali tedesche, insieme con il SDS "profittatori della crisi", dando così un segnale contro la politica europea e tedesca rispetto alla crisi ed ai suoi effetti catastrofici sulle condizioni di vita, in particolare per le popolazioni del Sud dell'Europa.
Che le banche e le "grandi fortune" siano state finora protette (da Cipro in poi) - non perché la politica serva intenzionalmente gli interessi delle persone sbagliate, ma perché soltanto mantenere a tutti i costi la circolazione e la (pseudo)valorizzazione del capitale finanziario può impedire il collasso immediato della riproduzione sociale nella forma della dissociazione-valore - è un'idea che a quanto pare non salta proprio in mente alla nuova generazione studentesca di sinistra, nonostante tutti i circoli di lettura del Capitale di Marx. Così come non viene loro l'idea della necessità per cui i programmi pubblici per salvare le banche o, come in Eurolandia, interi bilanci statali, devono essere finanziati a scapito dei lavoratori, dei disoccupati e dei pensionati. La ricchezza capitalista non è una "fortuna" di cui si possa disporre, o della quale lo Stato possa disporre liberamente mediante un atto sovrano di dispotismo al fine di metterla al servizio di buone finalità. Al contrario, è la contraddizione in processo di un aumento permanente del denaro come fine in sé stesso, che simultaneamente mina le sue stesse condizioni storiche. Dal momento che la sua sostanza feticista è quella che Marx ha chiamato "lavoro astratto", essa esiste e si mantiene solamente in quanto rende possibile generare uso produttivo del valore. La coscienza reificata della sinistra, che solleva esigenze politiche come quelle citate, ricade perfino dietro quella che è la limitata comprensione del senso comune di coloro che vorrebbe espropriare. La maggioranza dei proprietari di azioni almeno sa che la sua "fortuna" conserva un valore solamente se viene investita con successo, per quanto siano sprovvisti di qualsiasi conoscenza delle categorie di Marx, e dei complessi processi di mediazione da queste determinate.
Anche ai manifestanti di sinistra, contro la crisi, dell'attuale alleanza "Blockcupy" manca una valutazione adeguata degli avvenimenti europei che sia critica dell'economia e della politica. Da un lato, sembra che sia stato dimenticato, in accordo con la percezione generale, almeno da parte di alcuni gruppi dell'alleanza, quali l'SDS, che i focolai di svalorizzazione - i quali da molti mesi vengono dibattuti e trattati come se fossero una "crisi del debito sovrano" accompagnati da rigorosi programmi di austerità - sono innanzitutto il risultato delle prime misure politiche anti-crisi, e proprio per questo non possono essere affrontati per mezzo dell'espropriazione o della liquidazione delle banche private precedentemente "salvate". La base della crescita economica, come quella del finanziamento pubblico basato sul debito, è stata una valorizzazione capitalista apparente a livello finanziario, nel corso di decenni, a partire dagli anni 1980. Perciò, questa crescita viene mantenuta attraversi misure quali tagli dei tassi di interesse e, allo stesso tempo, ai suoi attori di tutte le posizioni politiche vengono fatte accuse morali e si esige da loro una rigorosa "regolamentazione" del settore bancario - nella speranza di riuscire così ad evitare una nuova crisi finanziaria, senza dover rimuovere le sue cause profonde.
In secondo luogo, gli attivisti di "Blockcupy" sono caduti d'un tratto nel politicismo di sinistra. Nel loro appello, probabilmente riferendosi al concetto di accumulazione della teoria della regolamentazione, parlano continuamente di "regime europeo di crisi" che pretendono di affrontare nel suo "cuore" (Francoforte sul Meno). Le differenze fra crisi ed accumulazione del capitale vengono in tal modo cancellate, nella misura in cui entrambe le situazioni sono presentate come suscettibili di moderazione politica e, di conseguenza, come una questione di calcolo razionale di interessi. Inoltre, non è chiaro se sia la crisi a governare, o se essa sia gestita o amministrata, o se costituisca il mezzo per governare. Forse perfino tutte queste cose insieme ed allo stesso tempo. In ogni caso, il discorso sul regime di crisi è stato impostato, in quanto la crisi nell'Unione Europea - a causa della moneta comune instabile e degli squilibri nella sua area economica integrata - assume forme di sviluppo politicamente mediate in misura maggiore di quanto avvenga altrove. La pressione della svalorizzazione, nella zona euro si fa sentire immediatamente a livello economico, ma non si può affrontarla, come negli altri paesi, attraverso la svalutazione della moneta nazionale. Invece di far questo, la Troika, giustamente odiata in Europa, e dominata dalla Germania, impone ai paesi - il cui finanziamento, attraverso l'emissione di debito pubblico, va a sbattere contro i limiti imposti dalla crisi - programmi di impoverimento, che ovviamente rovinano anche l'ultima crescita economica, e con essa i presupposti del boom dell'esportazione tedesca. In queste contraddizioni, si rende manifesta l'insufficienza di analisi sulla quale si basano campagne come quella di "Blockcupy". La Germania e le sue banche non "beneficiano" della crisi, al contrario essi sono stati i beneficiari di una situazione che è entrata in crisi a causa del crollo finanziario. Essi sono riusciti finora tutt'al più a limitare i danni e a continuare ad esportare verso la periferia dello spazio europeo, come facevano prima, i beni industriali sovvenzionati dalle misure di Agenda 2010. Ma, nella misura in cui il potere d'acquisto dei compratori abituali precedenti si è ridotto a causa del risparmio forzato e dell'impoverimento, anche il modello di esportazione tedesco affonderà.
L'unico aspetto simpatico di "Blockcupy", al di là dell'impegno esplicitamente previsto contro la disumana politica tedesco-europea nei confronti dei rifugiati, è il tentativo di far vedere in Germania un segno della solidarietà verso le persone vittime della politica di austerità, e la contrapposizione alla spudorata arroganza tedesca, della quale è tanto impregnata sia la politica del governo federale che la coscienza domestica di gran parte della popolazione, la quale non vuole riconoscere come propria la "miseria greca", in quanto tutto quello che la minaccia per essa proviene sempre da fuori (si pensi, a tal proposito, anche ai terribili discorsi sulla "immigrazione della povertà" e sullo "abuso di asilo"). Le prese di posizione che si possono trovare nell'appello di "Blockcupy", "contro qualsiasi interpretazione reazionaria o razzista della crisi - sia che vengano 'dal basso o dall'alto' - che siano in forma antisemita, antimusulmana o antiziganista", al contrario, lasciano il tempo che trovano. In fin dei conti, si continua ad usare ancora, come riferimento positivo, il nome del movimento "Occupy", strutturalmente, e forse perfino manifestatamente, antisemita. Si continua anche ad intendere il nazionalismo, principalmente come una tattica "per mettere gli uni contro gli altri" in vari paesi "i lavoratori, i disoccupati ed i precari" e "per dividerci". Anche il riferimento al peggioramento della disuguaglianza fra i sessi, nell'appello, viene fatta solo di passaggio e senza mediazione con le altre prese di posizione ed esigenze.
La mancanza di profondità dell'analisi, in termini di teoria della crisi sulla base di una critica categoriale della socializzazione patriarcale capitalista, nella sinistra che supporta il "Blockcupy", corrisponde, alla flagrante ed indubbiamente devastante mancanza di comprensione per quel che riguarda il legame interno con le ideologie generalizzate del quotidiano e della crisi. Sia alla crisi che alle forme regressive da digerire, la  sinistra del partito e del movimento non ha più nient'altro da opporre che formule vuote in termini di pseudo-critica dell'ideologia e la noiosa domanda di "democratizzazione di tutti i settori della vita". In queste condizioni, difficilmente ci si può aspettare da essa niente di meglio che l'auto-amministrazione (chiaramente "solidale") della miseria capitalista di crisi, anche se i "rapporti di forza" politici le dovessero essere più favorevoli. Al contrario, c'è da temere che le lotte difensive che continuano disordinate ed immanenti, così come l'agitazione sociale in Europa ed in tutto il mondo, con cui l'alleanza "Blockcupy" solidarizza, soccombano alle ideologie attualmente in espansione, come in Ungheria, dove attacchi assassini contro gli zingari e campagne antisemite si integrano in forma perversa, completando così l'orientamento nazionalista autoritario al vertice con "l'impegno" popolare alla base.
Tutto questo dimostra ancora una volta quanto sia importante non lasciar degenerare nell'anticapitalismo di moda, la critica del patriarcato feticista produttore di merci, ora nella sua crisi fondamentale. La prospettiva di trasformazione della situazione che diventa sempre più insostenibile, al di là delle benintenzionate pseudo-alternative e delle ricette autoritarie, si apre solo sulla base di una teoria critica di questa società. Allo stesso modo, si può far fronte alle molteplici varianti della degradazione ideologica solo se la connessione interna fra le diverse forme di falsa coscienza è stata compresa e se le loro mutazioni storiche, e dei cicli economici, sono state mediate con i processi di crisi della totalità sociale spezzata.

Editoriale di EXIT! n° 11 del Luglio 2013
fonte: EXIT!

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