La crisi cambia il volto del nostro Paese: meno vacanze, si resta in città. Boom del Viagra. Pochi pasti proteici, molti si fanno l’orto in casa
Da
buon reggiano, senza troppo infierire, quasi con simpatia, Marco
Pedroni, il nuovo presidente di Coop Italia – dopo un quarto di secolo
di «regno» di Vincenzo Tassinari – ha qualcosa da dire al presidente del
Consiglio. A questo, il nipote di Gianni, e a quelli che verranno dopo
di lui. «L’Italia è in recessione – sorride bonariamente – checché ne
dica Enrico Letta che mi è anche simpatico. Le cifre in nostro possesso
non autorizzano nessun ottimismo per il prossimo futuro. Restano i dati
duri della riduzione del potere d’acquisto, della contrazione
dell’occupazione, di una distribuzione del reddito sfavorevole per i
ceti popolari e per una parte importante delle classi medie. Infatti,
nonostante veniamo da anni di flessioni molto elevate, la ripresa dei
consumi alimentari e non alimentari non ci sarà: la stima Coop per il
prossimo anno è di un ulteriore -0,5% nel food e -6,1% nel non food su
base 2013 già in significativa contrazione».
Insomma, chi vede la luce fuori dal tunnel o ha le allucinazioni o sta barando. «Senza un’azione di governo a sostegno della domanda interna – dice Pedroni – e un forte impegno degli operatori economici più importanti, a partire dalle banche, chiamati a sostenere le famiglie, non ci sarà una ripresa significativa del paese. Aumentare l’Iva, come realizzare qualsiasi altro provvedimento fiscale non selettivo, sarebbe un errore molto grave». Non per sostituirsi all’illustre nipote, ma la ricetta del presidente di Coop Italia sembra un programma di governo: redistribuzione a favore dei più deboli, taglio delle spese militari, lotta all’evasione e rilancio delle liberalizzazioni (farmaci e benzina).
Insomma, chi vede la luce fuori dal tunnel o ha le allucinazioni o sta barando. «Senza un’azione di governo a sostegno della domanda interna – dice Pedroni – e un forte impegno degli operatori economici più importanti, a partire dalle banche, chiamati a sostenere le famiglie, non ci sarà una ripresa significativa del paese. Aumentare l’Iva, come realizzare qualsiasi altro provvedimento fiscale non selettivo, sarebbe un errore molto grave». Non per sostituirsi all’illustre nipote, ma la ricetta del presidente di Coop Italia sembra un programma di governo: redistribuzione a favore dei più deboli, taglio delle spese militari, lotta all’evasione e rilancio delle liberalizzazioni (farmaci e benzina).
Consumo ergo sum
L’ennesima analisi di economia politica (o viceversa), in questi tempi di crisi strutturale e forse irreversibile, di solito viene suffragata da una serie di cifre piuttosto fredde che possono anche dire molto – come la disoccupazione al 12% – ma che non rendono l’idea di come siano cambiate le vite delle persone in carne e ossa. Potrà anche dispiacere a qualche anticapitalista dall’approccio un po’ vintage, ma è solo sbirciando tra i nostri consumi che si riesce a cogliere la portata di questa recessione che nel giro di pochi anni ha sconvolto le abitudini – forse anche l’aspetto e la testa – della popolazione italiana. Ecco perché è straordinariamente interessante il Rapporto Coop 2013: più che il lamento interessato di un colosso della grande distribuzione (leader sul mercato con una quota del 18,5%, 109 cooperative, 1.467 punti vendita, 55.857 dipendenti, 24,6 miliardi di fatturato e quasi 8 milioni di soci) si tratta di una delle più nitide e drammatiche fotografie della realtà. Tenuto conto che la crisi ha anche provocato qualche risvolto positivo: se consumare meno può essere la spia di un forte disagio, a volte è indice di ritrovata saggezza.
L’ennesima analisi di economia politica (o viceversa), in questi tempi di crisi strutturale e forse irreversibile, di solito viene suffragata da una serie di cifre piuttosto fredde che possono anche dire molto – come la disoccupazione al 12% – ma che non rendono l’idea di come siano cambiate le vite delle persone in carne e ossa. Potrà anche dispiacere a qualche anticapitalista dall’approccio un po’ vintage, ma è solo sbirciando tra i nostri consumi che si riesce a cogliere la portata di questa recessione che nel giro di pochi anni ha sconvolto le abitudini – forse anche l’aspetto e la testa – della popolazione italiana. Ecco perché è straordinariamente interessante il Rapporto Coop 2013: più che il lamento interessato di un colosso della grande distribuzione (leader sul mercato con una quota del 18,5%, 109 cooperative, 1.467 punti vendita, 55.857 dipendenti, 24,6 miliardi di fatturato e quasi 8 milioni di soci) si tratta di una delle più nitide e drammatiche fotografie della realtà. Tenuto conto che la crisi ha anche provocato qualche risvolto positivo: se consumare meno può essere la spia di un forte disagio, a volte è indice di ritrovata saggezza.
Meno alcolici, fumo e condom
Si potrebbe cominciare col dire che gli italiani si fanno meno, o peggio, la barba (nel 2013 sono crollate del 22,7% le vendite di lamette) oppure sogghignare sottolineando l’unico dato in controtendenza insieme alla vendita degli smartphone: +6,4% per il «sexual entertainment» e +8% per il Viagra (si sbircia nel carrello della spesa e ci si accorge che si fa l’amore diversamente: in due anni sono stati venduti 3,6 milioni di preservativi in meno). E continuare con la débacle del vino: -4% nell’ultimo anno (-5% per i superalcolici). O delle sigarette: -14%, come si fumava nel 1973. E aggiungere che gli italiani stanno rinunciando anche a piccoli e più salutari piaceri: il comparto caffè-the-cacao in sei anni è crollato del 21%. Meglio andare con ordine, perché il rapporto è una miniera di piccole e grandi informazioni che andrebbero indagate una per una.
Se la contrazione della capacità di consumo è stata violenta, in Italia ormai ci sono persone che non ce la fanno proprio più: 3 milioni di famiglie (12,3% della popolazione) «non riescono a permettersi un pasto proteico ogni due giorni». E ci sono 9 milioni di italiani, aggiunge Enrico Migliavacca, vicepresidente Ancc-Coop, «che non possono sostenere una spesa imprevista di 800 euro». Rinunce scontate a parte – il 25% della popolazione fa spesso a meno dell’automobile, il 23% non compra abiti nuovi e 4 milioni di persone in meno sono partite per le vacanze – la nuova povertà ha spinto la spesa alimentare ai livelli degli anni Sessanta (-14% negli ultimi sei anni). La spesa pro capite in euro per nutrirsi si attesta sui 2.400 euro (nel 1971 si spendeva di più). Segno meno per tutti i prodotti freschi tranne che per la carne di pollo (+14%), con un clamoroso boom di «prodotti benessere» nel comparto degli alimentari confezionati (+18,6%). Tendenza che forse spiega anche la virtuosa crescita del biologico (+17% rispetto al 2011) e il «ritorno alla terra»: 1,3 milioni di italiani hanno cominciato a piantarsi zucchine e melanzane sul balcone. Vegetariani ma per forza. È in crescita anche il cibo etnico (+6,4%).
Si potrebbe cominciare col dire che gli italiani si fanno meno, o peggio, la barba (nel 2013 sono crollate del 22,7% le vendite di lamette) oppure sogghignare sottolineando l’unico dato in controtendenza insieme alla vendita degli smartphone: +6,4% per il «sexual entertainment» e +8% per il Viagra (si sbircia nel carrello della spesa e ci si accorge che si fa l’amore diversamente: in due anni sono stati venduti 3,6 milioni di preservativi in meno). E continuare con la débacle del vino: -4% nell’ultimo anno (-5% per i superalcolici). O delle sigarette: -14%, come si fumava nel 1973. E aggiungere che gli italiani stanno rinunciando anche a piccoli e più salutari piaceri: il comparto caffè-the-cacao in sei anni è crollato del 21%. Meglio andare con ordine, perché il rapporto è una miniera di piccole e grandi informazioni che andrebbero indagate una per una.
Se la contrazione della capacità di consumo è stata violenta, in Italia ormai ci sono persone che non ce la fanno proprio più: 3 milioni di famiglie (12,3% della popolazione) «non riescono a permettersi un pasto proteico ogni due giorni». E ci sono 9 milioni di italiani, aggiunge Enrico Migliavacca, vicepresidente Ancc-Coop, «che non possono sostenere una spesa imprevista di 800 euro». Rinunce scontate a parte – il 25% della popolazione fa spesso a meno dell’automobile, il 23% non compra abiti nuovi e 4 milioni di persone in meno sono partite per le vacanze – la nuova povertà ha spinto la spesa alimentare ai livelli degli anni Sessanta (-14% negli ultimi sei anni). La spesa pro capite in euro per nutrirsi si attesta sui 2.400 euro (nel 1971 si spendeva di più). Segno meno per tutti i prodotti freschi tranne che per la carne di pollo (+14%), con un clamoroso boom di «prodotti benessere» nel comparto degli alimentari confezionati (+18,6%). Tendenza che forse spiega anche la virtuosa crescita del biologico (+17% rispetto al 2011) e il «ritorno alla terra»: 1,3 milioni di italiani hanno cominciato a piantarsi zucchine e melanzane sul balcone. Vegetariani ma per forza. È in crescita anche il cibo etnico (+6,4%).
L’ansia da risparmio
La crisi non risparmia neppure i più piccoli, è la fine della retorica secondo cui ai bambini non si fa mancare nulla: -4% nel comparto pannolini, biberon, ciucci, alimenti e creme, e addirittura -11% in biscotti e cereali. È la spia del fatto che le famiglie concentrano l’ansia da risparmio soprattutto nell’ambito privato (lavande vaginali -18,1% e carta igienica -9,3%). Eccezioni a parte, insieme all’alimentare crolla tutto: è una tragedia per l’abbigliamento e le calzature, così come per i giornali e i libri. Delle automobili già si sa: -10% nel 2013 ma -50% rispetto al 2007.
«Immobili ma iperconnessi», sintetizza il rapporto: ci si sposta, si esce e si viaggia sempre meno (meno vacanze, meno cinema, meno ristoranti e più televisione) ma si resta sempre più incollati alla rete, con una enorme crescita delle vendite on line: +41% solo per l’abbigliamento. Solo in un terreno gli italiani non retrocedono di un euro, i giochi: scommesse e lotterie varie hanno succhiato 100 miliardi di euro solo nel 2013.
In questo contesto i numeri di Coop Italia non possono che essere negativi, anche per le previsioni sul 2014. La versione integrale del Rapporto Coop 2013 è scaricabile sul sito www-e-coop.it.
La crisi non risparmia neppure i più piccoli, è la fine della retorica secondo cui ai bambini non si fa mancare nulla: -4% nel comparto pannolini, biberon, ciucci, alimenti e creme, e addirittura -11% in biscotti e cereali. È la spia del fatto che le famiglie concentrano l’ansia da risparmio soprattutto nell’ambito privato (lavande vaginali -18,1% e carta igienica -9,3%). Eccezioni a parte, insieme all’alimentare crolla tutto: è una tragedia per l’abbigliamento e le calzature, così come per i giornali e i libri. Delle automobili già si sa: -10% nel 2013 ma -50% rispetto al 2007.
«Immobili ma iperconnessi», sintetizza il rapporto: ci si sposta, si esce e si viaggia sempre meno (meno vacanze, meno cinema, meno ristoranti e più televisione) ma si resta sempre più incollati alla rete, con una enorme crescita delle vendite on line: +41% solo per l’abbigliamento. Solo in un terreno gli italiani non retrocedono di un euro, i giochi: scommesse e lotterie varie hanno succhiato 100 miliardi di euro solo nel 2013.
In questo contesto i numeri di Coop Italia non possono che essere negativi, anche per le previsioni sul 2014. La versione integrale del Rapporto Coop 2013 è scaricabile sul sito www-e-coop.it.
Nessun commento:
Posta un commento