L’Italia non si sblocca dalla recessione mentre gli altri paesi,
stando ai numeri, sembra abbiano imboccato una strada per uscire. Quali
conseguenze?
Più ancora della differenza tra noi e gli altri è imporante vedere la differenza tra noi oggi e come eravamo qualche anno fa. A fine anno avremo perso 8,5 punti di prodotto rispetto a prima della crisi. E’ un risultato peggiore rispetto alla crisi del ‘29, dove dopo sei anni si era agli stessi livelli dell’anno di partenza. La produzione ha perso il 23%, e c’è stata una caduta degli investimenti catastrofica, con 31% in meno nel settore industria e -28% nelle costruzioni. Intanto, per i consumi arriviamo a un meno sette e mezzo. Questa è la situazione, tutto il resto sono chiacchiere. Tutto questo, a valle di una situazione in cui, per esempio, i redditi non crescevano già prima. In termini reali, la stagnazione dei redditi è dal ’92 ma con la crisi anche in termini nominali. Prima ancora di vedere come stanno gli altri, quindi, che stanno quasi tutti meglio, si tratta di capire noi cosa facciamo.
Ma paghiamo o no una tassa in più per come stiamo affrontando la crisi rispetto agli altri?
C’è una ristrutturazione pesante nel settore manifatturiero ma nel nostro caso la distruzione di capitale è stata più forte di quanto era necesario. A causa delle manovre di austerity lo stabilizzatore keynesiano ha girato nella parte sbaglata peggiorando la crescita reale e anche quella potenziale. Ed è qui che dobbiamo riflettere a fondo. Noi stiamo certamente distruggendo capacità produttiva con gioia di qualche concorrente europeo. E la capacità produttiva non è facile riscostruirla.
E per questo che la crescita anche fosse dell’1% non avrà alcun effetto sulla disoccupazione?
La caduta dell’occupazione rispetto ai dati che ho citato prima è probabilmente più bassa. C’è addirittura margine per altra caduta dell’occuapzione. E’ evidente, che quando si è perso l’8,5% che poi si riprenad a lo 0.5% non si recupera certo sul piano occupazionale. E poi c’è un problema di struttura. Non puoi lavorare su questi dati con aggiustamenti di piccola portata. Non puoi pensare che con le limate su Irpef e Imu vai da qualche parte. Siamo di fronte a un delirio surrealistico. L’idea che levi la micropatrimoniale e la trasformi in una tassa per gli inquilini è una follia. Rispetto a questo stiamo parlando di un altro tema.
E invece qual è il tema?
Abbiamo vissuto con la cessione del debito pubblico che è una derivata di tutto il discorso sull’economia e la ripresa, e non certamente un tema di politica economica. Stiamo andando a sbattere contro gli scogli mentre guardiamo da un’altra parte.
E cosa servirebbe invece?
Politiche molto energiche per salvaguardare i settori industriali fondamentali. Non posiamo perdere l’acciaio e altri settori importnati. E’ del tutto evidente che il mercato da solo ha dinamiche distruttive. Un forte e qualificato intervento pubblico e quando serve anche la requisizione, consentita da codici e costituzione. Più in generale, un’idea della programmazione dello sviluppo. Far ripartire il credito alle imprese, per esempio, con una banca pubblica per il credito a medio e lungo termine. A quel punto si possono usare anche i risparmi dei cittadini.
Volevo tornare alla domanda iniziale per capire se questo scarto di cui dicevamo ha una qualche attinenza con la divisione internazionale della produzione.
La distruzione di capacità produttiva è pilotata da una parte dell’Europa, la stessa che, in questo modo, tutela la propria capacità produttiva. Qui in Europa è successo che, complici le questioni valutarie e la deflazione salariale tedesca, la Germania sia diventata una macchina mercantilista perfetta non per esportare in Cina ma dentro l’Europa. Questa dinamica ci costringe alla deflazione salariale che di fatto comprime la crescita attraverso la mancata ripresa dei consumi. L’agenda la dobbiamo decidere noi e non qualcun altro. Tema degli interessi nazionali e dei ceti più deboli. Chiudere quindi la fase dei compiti a casa. Erano quelli sbagliati e ora è venuto il momento di decidere il nostro destino cominciando con il salvaguardare l’occupazione.
Più ancora della differenza tra noi e gli altri è imporante vedere la differenza tra noi oggi e come eravamo qualche anno fa. A fine anno avremo perso 8,5 punti di prodotto rispetto a prima della crisi. E’ un risultato peggiore rispetto alla crisi del ‘29, dove dopo sei anni si era agli stessi livelli dell’anno di partenza. La produzione ha perso il 23%, e c’è stata una caduta degli investimenti catastrofica, con 31% in meno nel settore industria e -28% nelle costruzioni. Intanto, per i consumi arriviamo a un meno sette e mezzo. Questa è la situazione, tutto il resto sono chiacchiere. Tutto questo, a valle di una situazione in cui, per esempio, i redditi non crescevano già prima. In termini reali, la stagnazione dei redditi è dal ’92 ma con la crisi anche in termini nominali. Prima ancora di vedere come stanno gli altri, quindi, che stanno quasi tutti meglio, si tratta di capire noi cosa facciamo.
Ma paghiamo o no una tassa in più per come stiamo affrontando la crisi rispetto agli altri?
C’è una ristrutturazione pesante nel settore manifatturiero ma nel nostro caso la distruzione di capitale è stata più forte di quanto era necesario. A causa delle manovre di austerity lo stabilizzatore keynesiano ha girato nella parte sbaglata peggiorando la crescita reale e anche quella potenziale. Ed è qui che dobbiamo riflettere a fondo. Noi stiamo certamente distruggendo capacità produttiva con gioia di qualche concorrente europeo. E la capacità produttiva non è facile riscostruirla.
E per questo che la crescita anche fosse dell’1% non avrà alcun effetto sulla disoccupazione?
La caduta dell’occupazione rispetto ai dati che ho citato prima è probabilmente più bassa. C’è addirittura margine per altra caduta dell’occuapzione. E’ evidente, che quando si è perso l’8,5% che poi si riprenad a lo 0.5% non si recupera certo sul piano occupazionale. E poi c’è un problema di struttura. Non puoi lavorare su questi dati con aggiustamenti di piccola portata. Non puoi pensare che con le limate su Irpef e Imu vai da qualche parte. Siamo di fronte a un delirio surrealistico. L’idea che levi la micropatrimoniale e la trasformi in una tassa per gli inquilini è una follia. Rispetto a questo stiamo parlando di un altro tema.
E invece qual è il tema?
Abbiamo vissuto con la cessione del debito pubblico che è una derivata di tutto il discorso sull’economia e la ripresa, e non certamente un tema di politica economica. Stiamo andando a sbattere contro gli scogli mentre guardiamo da un’altra parte.
E cosa servirebbe invece?
Politiche molto energiche per salvaguardare i settori industriali fondamentali. Non posiamo perdere l’acciaio e altri settori importnati. E’ del tutto evidente che il mercato da solo ha dinamiche distruttive. Un forte e qualificato intervento pubblico e quando serve anche la requisizione, consentita da codici e costituzione. Più in generale, un’idea della programmazione dello sviluppo. Far ripartire il credito alle imprese, per esempio, con una banca pubblica per il credito a medio e lungo termine. A quel punto si possono usare anche i risparmi dei cittadini.
Volevo tornare alla domanda iniziale per capire se questo scarto di cui dicevamo ha una qualche attinenza con la divisione internazionale della produzione.
La distruzione di capacità produttiva è pilotata da una parte dell’Europa, la stessa che, in questo modo, tutela la propria capacità produttiva. Qui in Europa è successo che, complici le questioni valutarie e la deflazione salariale tedesca, la Germania sia diventata una macchina mercantilista perfetta non per esportare in Cina ma dentro l’Europa. Questa dinamica ci costringe alla deflazione salariale che di fatto comprime la crescita attraverso la mancata ripresa dei consumi. L’agenda la dobbiamo decidere noi e non qualcun altro. Tema degli interessi nazionali e dei ceti più deboli. Chiudere quindi la fase dei compiti a casa. Erano quelli sbagliati e ora è venuto il momento di decidere il nostro destino cominciando con il salvaguardare l’occupazione.
di Fabio sebastiani, Liberazione.it
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