Gli
infelici esiti della vicenda greca hanno reso più evidente l’esistenza
di due punti di vista nella sinistra italiana (“sinistra” senza
aggettivi poiché il PD non è più un partito di sinistra) che per
comodità potete identificare col meno e col più Europa, rispettivamente.
Il primo fronte ritiene che una prospettiva politica dentro un quadro
europeo considerato irriformabile non possa che risolversi, contro ogni
buona volontà, in una forma di renzismo se non peggio. Dall’altro fronte
si ribatte tacitando di infantilismo e avventurismo ogni prospettiva di
rottura con quel quadro. Sgombrando il campo dalle goffe coperture di
una tragica débâcle, per cui l’aggravamento dei destini greci diventa un
frivolo “pericolo recessivo” mentre la Troika si sarebbe addirittura
“spaccata”, come sostenuto da un esponente del “più Europa” su il
manifesto, domandiamoci se v’è spazio per una ragionevole comprensione
fra le parti?
Intanto gli esponenti del primo fronte hanno per primi messo in
evidenza le difficoltà geopolitiche di una Grexit tanto più che, almeno a
sentire Tsipras, il governo greco non avrebbe trovato sponde
finanziarie e incoraggiamento politico né da Russia né dalla Cina.
Quindi nessun facile processo a Tsipras. Semmai colpisce una certa
credulità della maggioranza di Syriza nell’andare alle trattative con
l’Europa pensando che davvero quest’ultima potesse cambiare. Questo è il
vero tema del contendere. La storia ha certamente i suoi tempi, e così
la consapevolezza politica. È molto probabile che non solo nei
drammatici giorni a cavallo fra fine giugno e inizio luglio, ma sin
dall’inizio Syriza non avesse alternative alla carta della trattativa.Se
il sacrificio non è servito al popolo greco, destinato a una manovra
atroce su un corpo mutilato (altro che “pericolo recessivo”!), esso è
almeno servito a disvelare il vero volto dell’Europa di entità
sovra-nazionale e ordo-liberista, dominata dagli interessi mercantilisti
del paese più potente. Il primo fronte ne conclude che quel quadro vada
rotto. Il secondo replica che non v’è alternativa a battersi con
perseveranza per modificarlo, ma senza romperlo. Il primo fronte ribatte
che in quel quadro l’unica politica possibile è quella che decidono gli
altri. E la direzione scelta dalla Germania è quella di un’Europa
ancora più invasiva e autoritaria.
Una convergenza fra i due fronti v’è naturalmente nel tratteggiare
quale potrebbe essere un’Europa diversa pur nel quadro dato. Senza
cadere in voli pindarici che anche c’è toccato leggere sempre su il
manifesto – “Europe dei popoli”, le “economia solidali” e “nuove
Ventotene” – gli scorsi anni hanno visto una sequela di proposte per una
Europa più keynesiana, inclusi innumerevoli Piani Marshall. Il primo
fronte mantiene tuttavia uno scetticismo circa l’efficacia di tali piani
a ripianare i disastri dell’euro, in particolare la
mezzogiornificazione della periferia. Ma, soprattutto, ritiene che gli
interessi mercantilisti della Germania siano incompatibili con il ruolo
di traino che il mercato intero di quel paese dovrebbe svolgere. Al
contempo denuncia come difficilmente i paesi più ricchi vorrebbero
contribuire al cospicuo bilancio federale, necessario a ripianare gli
squilibri. In definitiva ritiene che un completamento dell’Europa
monetaria con una più piena Europa politica e redistributiva pecchi di
velleitarismo. L’unica Europa possibile sarebbe la presente, costruita
scientemente allo scopo di privare le classi lavoratrici nazionali
dell’interlocuzione col proprio Stato sovrano, dopo che anche il
capitale si fa evanescente con le delocalizzazioni. Dunque
fondamentalmente autoritaria.
Ma se il primo fronte considera velleitaria “l’altra Europa”, il
secondo fronte restituisce pan per focaccia circa il famoso Piano B. A
ben vedere, tuttavia, le questioni poste dal primo fronte sono più
profonde di un più o meno meticoloso Piano B. Se e quando l’euro entrerà
in crisi non sarà per l’agitazione di un dettagliato Piano B, bensì
quando verranno a mancare le condizioni politiche per la sua
sopravvivenza. Quando ciò accadrà, certamente ci sarà vita anche dopo, e
sarà interesse internazionale di trovare nuovi equilibri – una nuova
Vestfalia che restituisca la sovranità democratica agli Stati in un
quadro di cooperazione, più che una nuova Ventotene È naturalmente
compito importante delineare degli scenari alternativi per l’Europa, che
tengano anche conto degli effetti geopolitici, dato che gli USA hanno
precise preferenze geostrategiche mentre il nodo tedesco, il vero cancro
europeo, sarà ancora lì. Ma accanto al necessario lavoro di
approfondimento degli scenari, mi sembra ora urgente trarre beneficio
dalle incrinature che la vicenda greca ha apportato alla costruzione
europea, per accelerarne la crisi politica e impedirne la possibile
degenerazione in forme ancor più autoritarie. Su questo presupposto può
nascere un nuovo soggetto politico capace di suggerire alle nuove
generazioni un terreno di lotta in cui tradurre in politica il dramma
esistenziale del proprio futuro.
Un’unità fra le due sinistre può dunque realizzarsi nell’obiettivo di
una crisi di quest’Europa e delle sue derive autoritarie attraverso una
vasta opposizione sociale. Poi ciascuno avrà in tasca un esito
possibile, tenendo a mente con onestà intellettuale che la storia potrà
dimostrare che è l’altra opzione quella con più filo da tessere, e che
comunque può per certi versi essere utile agitarle entrambe (o si cambia
o si rompe).
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