I paradossi di Atene. Nonostante
tutto c’è la possibilità di operare una progressiva resistenza
all’applicazione delle parti più regressive del Memorandum. È una sfida
disperata ma non impossibile
Dall’altro dalle minacce, che parrebbero ormai un processo
semiconcluso, di scissione di Syriza. Il che ci porta al primo dei
tanti paradossi. Le scelte del governo greco, la sua resistenza al
tentativo di Schauble di fare passare la tesi della Grexit avevano
aperto un varco nel fronte degli avversari.
La stessa troika appare spaccata visto il differente giudizio
del Fmi, favorevole a un taglio nominale del debito greco essendo
convinto della sua insostenibilità. Negli ultimi giorni, falchi
fedelissimi alla Germania si sono vestiti da colombe, almeno per
l’occasione, mandando in soffitta il tentativo della Merkel di
proporre un prestito ponte per tenere al laccio i greci
e allontanare l’operazione degli 85 miliardi. Olanda e Finlandia per
la prima volta hanno preso le distanze dal gigante teutonico.
Persino la stampa europea più mainstream ha parlato di un
isolamento della Merkel e della Germania, anche se qualcuno lo ha
fatto per sottolineare che questo potrebbe essere il prezzo
necessario dell’egemonia. Ovvero “molti nemici, molto onore” ,
vecchia formula riciclata.
In questo quadro acquistano ancora più pregnanza e significato
le accorate parole di Pablo Iglesias a Tsipras che lo invitavano
a mantenere la propria presenza conflittuale nella Ue, in attesa
che le imminente elezioni in Spagna e altrove potessero mutare le
condizioni geopolitiche dentro l’Europa stessa. Ma se in Grecia
dovessero restare solo macerie, l’effetto sarebbe capovolto. E anche
questo a suo modo è un paradosso.
Da ultimo poi, le tre fulminee svalutazioni dello yuan operate
da Bank of China stanno delineando un quadro mondiale assai diverso
e mosso. Le Borse di tutto il mondo hanno accusato il colpo, pur
riprendendosi di lì a poco. Ma soprattutto strategie economiche
e geopolitiche vengono rimesse in discussione. Non ultime le
stesse prospettive della Germania che tanto poggiava sul mercato
asiatico per implementare oltre i confini della Ue la sua politica
mercantilista e giocare così, praticamente per proprio conto,
la sfida della globalizzazione. E questo è un altro paradosso che
deve esplicitare ancora tutte le sue conseguenze.
Quindi il contesto era ed è assai meglio del testo dell’accordo con
cui si era conclusa la drammatica maratona negoziale tra la
Grecia e tutto il resto della Ue. Questo fa sì che quanto ha detto
Tsipras nel Parlamento greco e ripetuto da Pappàs nella già
richiamata intervista, ossia della possibilità malgrado tutto di
difendere i redditi più bassi e di operare nel paese una
progressiva resistenza alla applicazione delle parti più
regressive (per usare l’aggettivo ripetuto dal premier greco) del
Memorandum e riproporre condizioni per un diverso sviluppo, non
appare una sfida del tutto disperata, per quanto difficile.
Ma la condizione affinché essa possa essere condotta è senza
dubbio la sostanziale coesione interna al popolo greco e alla sua
rappresentanza politica maggioritaria. Ma proprio questa
è messa in discussione in queste ore. L’intero capolavoro politico
di Syriza, di riunificare le diverse anime della sinistra e di
costruire le condizioni per una clamorosa vittoria, nelle
elezioni e nel referendum, che ha riaperto le speranze e le
concrete possibilità per un’Europa diversa, rischia di franare. Se
tra gli avversari della Grecia si è aperta una breccia, per la
seconda si profila un burrone. Il paradosso è evidente. Chiedersi
se tale disastrosa soluzione sia proprio inevitabile è doveroso.
Per queste ragioni il nostro sostegno a Tsipras, o meglio a ciò che
rappresenta, non deve venire meno, tanto più che il momento
è difficilissimo. In fondo è il primo tentativo, in questo
millennio, di verticalizzazione di un processo di
politicizzazione dei conflitti sociali.
So bene che non spetta a noi italiani dire cosa i greci devono fare.
Del resto temo che non ne saremmo capaci. Soprattutto vista la
frammentazione a sinistra di cui siamo impenitenti e pervicaci
protagonisti. Da che pulpito la predica, si direbbe subito. Ma
forse proprio per questo siamo tra i primi ad essere interessati
all’evoluzione del quadro politico greco e del suo principale
soggetto politico.
Eppure, ma questo più che un paradosso è una triste conferma, si sente ancora dire che Tsipras avrebbe sperato lui stesso che il pronunciamento popolare dicesse sì al piano dei creditori per consegnarsi a questi ultimi come novello Cristo. Oppure che il referendum avrebbe dimostrato che il popolo greco era disposto a tutto, compresa la Grexit e l’uscita definitiva dall’euro, mentre il suo governo no (naturalmente tutti sondaggi sulla volontà di restare nell’euro sarebbero stati spudoratamente mentitori, secondo le solite dietrologie). Che Schauble sarebbe la mente più lucida nella partita e che quindi alla Grecia ( e all’Italia) conviene fare quanto lui dice: ridurre la Ue a un protettorato tedesco, togliendo il disturbo il più in fretta possibile andandosene dall’euro. Non mancano neppure voci disperate che assicurano che proprio la vicenda di Syriza dimostrerebbe l’inanità di qualunque progetto di alternativa e persino di resistenza attiva.
Eppure, ma questo più che un paradosso è una triste conferma, si sente ancora dire che Tsipras avrebbe sperato lui stesso che il pronunciamento popolare dicesse sì al piano dei creditori per consegnarsi a questi ultimi come novello Cristo. Oppure che il referendum avrebbe dimostrato che il popolo greco era disposto a tutto, compresa la Grexit e l’uscita definitiva dall’euro, mentre il suo governo no (naturalmente tutti sondaggi sulla volontà di restare nell’euro sarebbero stati spudoratamente mentitori, secondo le solite dietrologie). Che Schauble sarebbe la mente più lucida nella partita e che quindi alla Grecia ( e all’Italia) conviene fare quanto lui dice: ridurre la Ue a un protettorato tedesco, togliendo il disturbo il più in fretta possibile andandosene dall’euro. Non mancano neppure voci disperate che assicurano che proprio la vicenda di Syriza dimostrerebbe l’inanità di qualunque progetto di alternativa e persino di resistenza attiva.
E’ il principio di realtà quello che manca. Si badi bene, non la
vecchia questione dei “rapporti di forza”, che ha paralizzato
a sinistra, lungo i decenni, più di un’iniziativa trasformatrice
o insorgente e ridotto il pensiero critico nella camicia di forza di
quello dominante, fino a soffocarlo del tutto. Quello che difetta –
o così almeno mi pare – è il concreto senso processuale degli
avvenimenti sociali e politici. In questi non vi è alcuna
linearità, né tantomeno predeterminazione, in senso positivo –
e su questo è assai facile essere d’accordo -, ma neppure in quello
negativo. Un improvviso rovesciamento del quadro da positivo
a negativo non indica affatto di per sé una inversione di tendenza
definitiva. La partita greca, come quella del sud dell’Europa, di
un’Europa mediterranea (ma non dimentichiamo lassù la piccola
Irlanda) è tutt’altro che chiusa. Il governo greco non ha presentato
al parlamento e al paese l’accordo come una vittoria. Ed è una
novità rispetto alle modalità comunicative dei governi europei. Ha
piuttosto indicato gli spazi e gli spiragli per forzare i nuovi
vincoli imposti.
Decretarne la sconfitta è incauto. Del resto non tutte le
sconfitte sono uguali. Ce ne sono alcune che aprono nuove prospettive
, innanzitutto nelle coscienze di milioni di donne e uomini, che fino
a prova contraria sono il vero soggetto trasformativo. Altre
invece sono gelidamente mute, perché sono maturate nella
disperazione del potere fare. Spesso neppure avvertite come tali.
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