1- Che
la produzione sociale, nella società capitalista, prenda la forma della
produzione di merci, è opinione largamente condivisa. E' questo il
motivo per cui Marx considera la merce come la "forma elementare" della
ricchezza capitalista, e la sceglie come punto di partenza analitico per
la sua critica dell'economia politica. La teoria economica non ha
alcuna idea di cosa farsene di un tale approccio teorico. Essa tratta il
concetto per cui le persone mediano la loro socialità attraverso la
produzione e lo scambio di merci come se fosse un truismo antropologico.
Non considera mai un essere umano come qualcosa di diverso da un
potenziale produttore privato che fabbrica cose per poi poterle
scambiare con altri produttori privati, avendo sempre ben presente in
mente i propri particolari interessi.
La differenza fra produzione di
ricchezza nella società capitalista moderna e produzione di ricchezza
nelle comunità tradizionali viene quindi considerata come una mera
differenza di grado, con la puntualizzazione per cui sotto il
capitalismo la divisione sociale del lavoro è di gran lunga più
sviluppata, a causa dei progressi tecnologici e che le persone diventano
più produttive nella misura in cui divengono più specializzate.
Questa
opinione è una semplice proiezione che legittima intrinsecamente le
relazioni capitaliste come trans-storiche. Mentre le merci e la moneta
sono esistite in molte società pre-capitalistiche, la loro importanza
sociale è stata del tutto diversa da quella assunta sotto il
capitalismo. Le interazioni con le merci e la moneta erano sempre
incorporate in altre forme di dominio, e di configurazione sociale, al
tempo esistenti (dipendenza feudale, norme tradizionali, strutture
patriarcali, sistemi di credenze religiose, ecc.), come ha dimostrato
Karl Polanyi. Al contrario, nella società capitalista, merci e denaro
rappresentano la forma universale di ricchezza, nel mentre che,
simultaneamente, giocano il ruolo di mediatori sociali. Vale a dire che
gli individui stabiliscono le loro relazioni reciproche, e con la
ricchezza che producono, per mezzo delle merci e del denaro.
Ma
quando le cose vengono prodotte in forma di merce, le corrispondenti
attività produttive assumono una forma assai specifica. Esse vengono
svolte in una sfera a parte rispetto alle altre diverse attività sociali
e sono soggette ad una specifica logica strumentale, razionalità, e
disciplina temporale. Questa forma comune non ha niente a che fare con
il contenuto particolare delle diverse attività. Essa può essere
attribuita soltanto al fatto che queste attività vengono tutte svolte al
fine di produrre merci. Sulla base di questa struttura sociale, tutte
queste attività ricadono sotto un'unica categoria: il lavoro.
Come
la merce, il lavoro ha un duplice carattere. E' suddiviso in una parte
concreta, che produce valore d'uso, ed una parte astratta, che produce
valore. Il lavoro concreto è rilevante per il produttore di merci nella
misura in cui egli può vendere la merce prodotta soltanto se questa è di
qualche utilità per l'acquirente. Per il produttore, il valore d'uso è
solamente un mezzo per un fine estrinseco: la trasformazione di lavoro
astratto, incorporato dalla merce, in denaro. E' questo il motivo per
cui il denaro è la merce universale o, come la definiva Marx, la regina
delle merci, o la merce cui tutte le altre merci si riferiscono. In
altre parole, il denaro rappresenta la ricchezza astratta della società
capitalista, ovvero la sua ricchezza universalmente riconosciuta.
A
tal proposito, solo il lato astratto del lavoro viene, universalmente,
socialmente accettato, in quanto esso è il solo che entra, come valore
(rappresentato dalla moneta), nella circolazione sociale, e rimane tale.
Il lato concreto del lavoro, al contrario, termina con ogni vendita,
dal momento che il valore d'uso svanisce dalla circolazione sociale:
l'utilità di un oggetto diventa un affare privato di chi l'ha comprato.
La ricchezza materiale che prende la forma del valore d'uso, sotto forma
di produzione di merce, è perciò sempre particolare.
Quindi,
possiamo dire non solo che il lavoro è una forma di attività in cui la
ricchezza capitalista viene prodotta in una forma specificamente duale;
ma anche che esso, il lavoro, svolge la funzione centrale di mediazione
sociale. O, per dirla in maniera più precisa, è il lato astratto del
lavoro che svolge questa funzione, mentre il lato concreto rimane
subordinato.
2 - Questa
forma di mediazione da parte del lavoro astratto esprime una
contraddizione fondamentale fra quello che ciascuno produce, come
produttore privato, secondo i propri particolari interessi, ed il suo
essere socialmente attivo in quel preciso momento. La natura di questa
struttura è tale che questa mediazione non può essere conscia. Al
contrario, essa assume inevitabilmente una forma reificata di dominio.
Come scrive Marx, nel suo famoso passaggio nel capitolo sul feticismo
della merce:
"Gli oggetti d'uso
diventano merci, in genere, soltanto perché sono prodotti di lavori
privati, eseguiti indipendentemente l'uno dall'altro. Il complesso di
tali lavori privati costituisce il lavoro sociale complessivo. Poiché i
produttori entrano in contatto sociale soltanto mediante lo scambio dei
prodotti del loro lavoro, anche i caratteri specificamente sociali dei
loro lavori privati appaiono soltanto all'interno di tale scambio.
Ossia, i lavori privati effettuano di fatto la loro qualità di
articolazioni del lavoro complessivo sociale mediante le relazioni nelle
quali lo scambio pone i prodotti del lavoro e, attraverso i prodotti
stessi, i produttori. Quindi a questi ultimi le relazioni sociali dei
loro lavori privati appaiono come quel che sono, cioè, non come rapporti
immediatamente sociali fra persone nei loro stessi lavori, ma anzi,
come rapporti materiali fra persone e rapporti sociali fra le cose." (Karl Marx, Il Capitale, Volume I)
Parlare
di produttori privati non dev'essere inteso come riferimento a piccole
imprese o a persone singole che producono vari prodotti per poi
scambiarli con altri prodotti sul mercato. La maggior parte dei
produttori di merce, sotto il capitalismo, sono certamente imprese che
considerano la valorizzazione del capitale in cui investono come
obiettivo della vendita della produzione. Le merci che producono sono
semplicemente un trampolino per arrivare a questo fine.
Queste
imprese si trovano davanti a grandi masse di persone che hanno solo una
merce da vendere: la loro forza lavoro, che devono vendere in maniera
permanente per poter sopravvivere. E come possessori di merci, essi sono
anche socialmente impegnati in quanto produttori sociali che perseguono
il loro particolare scopo di vendere la propria forza lavoro al prezzo
più alto possibile, e di prevalere nella concorrenza con gli altri
venditori di forza lavoro. Ad ogni modo, dal punto di vista del
venditore di forza lavoro, la mediazione svolta dal lavoro non appare
propriamente la stessa cosa che viene vista dalla prospettiva
dell'impresa capitalista. Mentre la vendita della propria merce è anche
semplicemente un mezzo per raggiungere un fine esterno, per il venditore
di forza lavoro quel fine non consiste nel valorizzare una particolare
somma di denaro, ma nel garantirsi la propria sussistenza.
La
mediazione sociale svolta dal lavoro ha quindi una diversa apparenza
per ciascuno di questi punti di vista. Mentre per il capitale essa
appare direttamente nella forma del movimento auto-referenziale del
capitale, che Marx riassume nella ben nota formula D-M-D', dal punto di
vista del venditore di forza lavoro essa appare come un movimento di
scambio M-D-M. La merce forza lavoro è un oggetto di scambio che
ciascuno scarica sul mercato per poter ottenere in cambio altre merci.
In questo processo, il denaro è solo un mezzo per questo fine, mentre
nel primo caso esso è un fine in sé stesso. A prima vista, questo
secondo movimento corrisponde a quello che Marx descrive come semplice
scambio di merce, ma c'è tuttavia un'importante differenza. Anche se il
venditore individuale di forza lavoro usa la propria merce soltanto allo
scopo di scambiarla con articoli di consumo, ed anche se non avviene
alcuna valorizzazione del valore iniziale, quest'atto di scambio è
nondimeno componente integrante del movimento globale di valorizzazione
del capitale, il quale comincia e finisce sempre con il valore nella sua
forma tangibile: il denaro. Solo nelle condizioni di un ciclo infinito
che continua ad alimentare sé stesso, può esserci domanda di forza
lavoro, la quale è la sola merce che può creare più valore di quanto ne
abbia bisogno per la sua propria (ri)produzione.
3- Allo
stesso tempo, questa diversa posizione dentro il processo di mediazione
sociale svolto dal lavoro costituisce il conflitto di interessi fra
capitale e quelli che vendono la propria forza lavoro. Questo conflitto
non è, come ha sempre sostenuto il marxismo tradizionale,
intrinsecamente antagonistico in quanto è basato su un processo di
mediazione sociale condiviso. Tuttavia, è stato spesso combattuto
ferocemente dal momento che, in definitiva, la sopravvivenza stessa dei
possessori di forza lavoro dipende dalle condizioni in cui, e dal prezzo
a cui, possono vendere la loro merce, mentre, dall'altra parte, meno
capitale si deve spendere per la merce forza lavoro, tanto meglio si può
raggiungere il fine in sé della valorizzazione.
Fino
agli anni 1970, questo conflitto di interessi (e di conseguenza la
mediazione sociale svolta dal lavoro) era caratterizzato da una mutua
dipendenza irrisolvibile: il capitale aveva bisogno del lavoro per poter
essere in grado di valorizzare sé stesso ed i venditori di forza lavoro
avevano bisogno che la valorizzazione del capitale funzionasse per
poter vendere la loro merce.
Questo tipo di
rapporto è cambiato con la fine del boom fordista del dopoguerra e con
l'inizio della terza rivoluzione industriale.
Un massiccio dislocamento
del lavoro dai settori centrali industriali, in seguito alla travolgente
automazione, si è accompagnato ad una riorganizzazione trans-nazionale
dei processi di produzione e dei flussi di merce, indebolendo
fondamentalmente ed irreversibilmente la posizione di negoziazione dei
venditori di forza lavoro. In altre parole, con l'implementazione e
l'universalizzazione delle nuove tecnologie basate sulla
microelettronica, la principale forza produttiva è diventata
l'applicazione della conoscenza alla produzione, dando al capitale più
mano libera di prima rispetto al lavoro salariato. Ma aver reso
superflui un grande numero di venditori di forza lavoro, ha avuto delle
conseguenze anche per il capitale. Dato che la valorizzazione del
capitale è basata solamente sullo sfruttamento della forza lavoro nella
produzione di merce su vasta scala, l'inizio della terza rivoluzione
industriale ha segnato anche l'inizio di una crisi fondamentale.
Questa
crisi si distingue da tutte le precedenti crisi capitaliste su grande
scala per il fatto che non può più essere superata accelerando
l'espansione della base industriale. All'attuale, e continuamente
crescente, livello di produttività, anche sviluppando nuovi settori di
produzione (televisori a schermo piatto o smartphone, ad esempio) non si
crea alcun bisogno addizionale di nuova forza lavoro. Tutt'al più si
può rallentare l'espulsione di massa di lavoro vivente dalla produzione.
Ma
tutte le volte che le dinamiche capitalistiche hanno saputo
riguadagnare slancio, questo è avvenuto solamente creando nuove basi per
l'accumulazione del capitale. La produzione di valore per mezzo dello
sfruttamento del lavoro è stata sostituita dal sistematico anticipo di
valore futuro sotto forma di capitale fittizio. Il capitale ha avuto
un'altra enorme espansione su tali basi - un'espansione che ora si sta
ancora incrementando, raggiungendo i suoi limiti, e che soprattutto è
collegata a costi significativi per la società e per i venditori di
forza lavoro.
Per comprendere questa connessione, dobbiamo. per prima cosa, guardare più da vicino la logica interna del capitale fittizio.
4 - Come
detto in precedenza, il capitale fittizio è un anticipazione di valore
futuro. Ma cosa significa esattamente? E quali sono le conseguenze per
l'accumulazione di capitale? Cominciamo dalla prima domanda.
In
sostanza, il capitale fittizio emerge ogni volta che qualcuno dà dei
soldi a qualcun altro in cambio di un titolo di proprietà (un'azione, la
quota di una società, ecc.) che rappresenta un diritto a quei soldi ed
al loro aumento (sotto forma di interessi o di dividendi, ad esempio).
Questo processo raddoppia la somma originale. Adesso essa esiste due
volte e può essere usata da entrambe le parti. Il beneficiario può
usare il denaro per comprare cose, per fare investimenti, o per
acquisire attività finanziarie, e allo stesso tempo la somma è diventata
capitale monetario che produce un regolare profitto per chi tale somma
l'ha pagata.
Ma questo capitale monetario
consiste di nient'altro che di un diritto documentato che rappresenta
l'anticipazione di valore futuro. A prescindere dal fatto che
l'anticipazione sia coperta, o che non lo sia, la cosa diventa chiara
solo col senno di poi. Se la somma in questione viene investita in un
impianto di produzione, e se un tale investimento ha successo, il suo
valore si realizzerà sotto forma di capitale funzionante e crescerà per
mezzo dell'utilizzo della forza lavoro nel processo di produzione di
merci. Ma se l'investimento fallisse, o se il denaro prestato venisse
speso per il consumo privato o per il consumo di Stato, allora il
diritto al valore iniziale rimarrà (ad esempio sotto forma di titolo)
anche se il valore stesso è stato dissipato. In questo caso, il capitale
fittizio non è coperto e dev'essere rimpiazzato creando nuovi diritti
ad un valore futuro (emettendo nuovi titoli, per esempio) cosicché il
diritto monetario possa essere rimborsato.
Anticipazione
di valore futuro sotto forma di capitale fittizio, è una caratteristica
standard del capitalismo. Ma nel corso della crisi conseguente alla
terza rivoluzione industriale, ha assunto un significato del tutto
differente. Se la creazione di capitale fittizio una volta serviva ad
affiancare e sostenere il processo della valorizzazione del capitale (ad
esempio, finanziando grossi investimenti), ora quei ruoli si sono
invertiti, in quanto le basi di questo processo sono crollate.
L'accumulazione di capitale non si basa più in maniera significativa
sullo sfruttamento del lavoro nella produzione di merci quali
automobili, hamburger e smartphone, ma sull'emissione massiccia di
titoli di proprietà come obbligazioni, azioni, e derivati finanziari che
rappresentano diritti a valori futuri. Come risultato, il capitale
fittizio stesso è diventato il motore dell'accumulazione di capitale,
mentre la produzione di merci si è ridotta ad una variabile dipendente.
Naturalmente,
c'è da fare una distinzione critica fra questa forma di accumulazione
di capitale e la precedente forma di movimento capitalista. Dal momento
che si basa sull'anticipazione di valore che dev'essere creato in
futuro, è un processo di accumulazione di capitale senza valorizzazione
del capitale. Non si basa sullo sfruttamento presente di forza lavoro
nel processo di produzione di valore, ma sulle aspettative di profitti
futuri, che, in ultima analisi, dovrebbero derivare da uno sfruttamento
aggiuntivo di lavoro.
Ma poiché quest'anticipazione, alla luce dello
sviluppo della forza produttiva, non può essere rimborsata, questi
diritti devono essere rinnovati di nuovo e ancora di nuovo, e
l'anticipazione di valore futuro dev'essere rimandata sempre più nel
tempo.
Come risultato, la maggior parte dei titoli finanziari sono
soggetti all'imperativo di una crescita esponenziale. Ciò perché il
valore del capitale costituito dagli asset finanziari ha sorpassato
quello delle merci prodotte e scambiate già da molto tempo. Questi
"mercati finanziari in fuga" vengono spesso criticati, per l'opinione
pubblica, in quanto avrebbero presumibilmente causato la crisi, ma in
realtà, una volte che sono andate perdute le basi per la valorizzazione,
questa era la sola via rimasta per continuare l'accumulazione di
capitale.
Tuttavia, l'imperativo della crescita
esponenziale segna un limite logico all'accumulazione di capitale
fittizio: le attività economiche cui si riferiscono le aspettative di
futuri profitti non possono essere moltiplicate in maniera arbitraria e,
l'una dopo l'altra, si sono dimostrate una chimera (la new economy, il
boom immobiliare, ecc.). Questo limite non può esser differito in
maniera significativa, come dimostra uno sguardo retrospettivo agli
ultimi 35 anni di capitale fittizio, anche perché questa rinvio si
accompagna ad una costante crescita dei costi sociali che aumentano in
maniera sempre più insopportabile. Guadagni e ricchezza si concentrano
in sempre meno mani, le condizioni di lavoro e di vita diventano sempre
più precarie in tutto il mondo, e le risorse naturali che rimangono
vengono sperperate senza alcuna pietà - soltanto per mantenere in moto
l'accumulazione di capitale.
5- A
prima vista, questo potrebbe sembrare come niente di nuovo per il
capitalismo. In effetti, un atteggiamento incurante delle condizioni
materiali di vita e del mondo fisico è una caratteristica essenziale di
un modo di produzione che è orientato a valorizzare il valore, cioè ad
aumentare la ricchezza astratta. Ma anche in tal senso la transizione
verso l'epoca del capitale fittizio è un salto di qualità (in senso
negativo).
Per una migliore comprensione delle
ragioni di tutto questo, per prima cosa dobbiamo guardare alle
conseguenze, dovute allo spostamento dell'accumulazione del capitale
verso la sfera del capitale fittizio, sulla soggiacente forma di
relazioni sociali: mediazione per mezzo del lavoro. In relazione a
questo, dobbiamo chiederci come il rapporto fra le due forme di
ricchezza capitalista - ricchezza astratta e ricchezza materiale - siano
cambiate nel corso del medesimo processo.
In
precedenza, ho sostenuto che fino agli anni 1970 la mediazione sociale
per mezzo del lavoro era caratterizzata da una reciproca dipendenza di
capitale e lavoro. Questo perché il capitale, nella sua compulsione alla
valorizzazione, era dipendente dal lavoro vivo mentre i possessori
della merce forza lavoro dipendevano dal riuscire a vendere con successo
quella stessa merce ai fini della loro sopravvivenza. Ma questo
rapporto è cambiato drasticamente nell'epoca del capitale fittizio. Non
solo la terza rivoluzione industriale ha reso ridondante il lavoro vivo
su larga scala, ma quello che è ancora più decisivo è il fatto che
l'enfasi dell'accumulazione del capitale si è spostata dallo
sfruttamento del lavoro nel processo di produzione di merci
all'anticipazione di valore futuro. Di conseguenza, il movimento fine a
sé stesso del capitale è diventato auto-referenziale in un modo del
tutto nuovo. L'anticipazione del valore futuro che viene capitalizzato
ed accumulato nel presente, rimane immanente alla logica ed alla forma
della produzione di merci; essa viene ottenuta per mezzo della vendita
di una merce, vale a dire di un titolo di proprietà che certifica il
diritto ad una specifica somma di denaro ed al suo aumento. Comunque, i
venditori di questi titoli di proprietà non sono lavoratori che vendono
la promessa di restituire il lavoro fra dieci o vent'anni. Si tratta
invece di strutture del capitale stesso (principalmente banche ed altre
istituzioni finanziarie) che si vendono l'un l'altro questi diritti
certificati ad un valore futuro, e quindi generano ed accumulano
capitale fittizio. In questo senso, perciò, il capitale è diventato del
tutto auto-referenziale; la merce che aveva la qualità magica di
aumentare il capitale ora avviene dentro la sfera del capitale stesso.
Di
converso, questo però significa che i venditori di forza lavoro stano
perdendo in larga misura la loro capacità contrattuale. A fronte dei
progressi nella produttività e nella globalizzazione, non solo possono
essere rimpiazzati in qualsiasi momento da delle macchine o da una
competizione più a buon mercato. dappertutto nel mondo, ma assai più
criticamente la loro merce non è più la merce base dell'accumulazione
capitalista. Questo ci lascia con uno squilibrio strutturale. Per la
grande maggioranza delle popolazioni del mondo, la mediazione sociale
svolta dal lavoro rimane di cruciale importanza dal momento che essi
debbono vendere la loro forza lavoro o i prodotti del loro lavoro come
una merce, qui ed ora, per essere in grado di partecipare alla ricchezza
della società - ossia per poter comprare gli articoli di consumo di cui
necessitano. Anche il capitale continua ad essere basato sulla
mediazione sociale svolta dal lavoro in quanto esso non abbandonato in
alcun modo il mondo della produzione di merci. Tuttavia, nella misura in
cui i capitali accumulati per mezzo dell'anticipazione di produzione di
valore futuro (come a dire che essi usano i risultati di potenziale
lavoro futuro in eccesso), essi si liberano dalla dipendenza dallo
sfruttamento di lavoro presente e dalla dipendenza dai venditori di
forza lavoro.
6- Naturalmente,
questo non significa che il capitale non viene più valorizzato nel
processo di produzione di merci. Assumerlo, sarebbe ovviamente falso,
alla luce dell'enorme volume di beni che scorre nei supermercati e nei
grandi magazzini. Nondimeno, il rapporto fra il settore della produzione
di merci ed il processo globale di accumulazione del capitale è
cambiato. Dove, in passato, la produzione di beni materiali sotto forma
di merci era il mezzo decisivo per aumentare il capitale, ora essa si è
trasformata in una variabile dipendente dentro la dinamica del capitale
fittizio. E' dipendente in quanto una dinamica autosufficiente della
valorizzazione del capitale non può più essere incrementata nei settori
della produzione di valore per mezzo di un sempre crescente movimento
del lavoro. Piuttosto, la produzione di merci (nel senso di beni
materiali per la vendita) può continuare solamente se il valore
equivalente alla realizzazione del valore rappresentato da queste merci
viene in larga misura creato altrove, cioè, nella sfera del capitale
fittizio. Questo meccanismo è alla base di tutto il boom industriale in
Cina ed in altri "paesi in via di sviluppo", così come della
corrispondente attività di esportazione della Germania. Potremmo quindi
definirlo "produzione di valore indotto". In effetti, questo ha indotto
la produzione di valore a svolgere un'importante funzione sistemica. Ma
questa funzione non consiste nel valorizzare il capitale, ma piuttosto
nel fornire il materiale immaginario che sostiene le future aspettative
dei mercati finanziari. Ciò perché, anche se l'anticipazione del valore
futuro non dipende dallo sfruttamento del lavoro presente, essa è
nondimeno basata sulla generazione costante di aspettative di produzione
materiale redditizia, in un secondo momento. Per poter supportare tale
aspettativa. l'attività nella presente economia reale è indispensabile.
Se dovesse fermarsi, le promesse di un profitto futuro diverrebbero non
plausibili e la vendita dei titoli di proprietà si bloccherebbe.
Possiamo vedere questo abbastanza chiaramente nelle cadute che ricorrono
continuamente durante i periodi di crisi, quando gli Stati e le loro
banche centrali devono intervenire per ripristinare la fiducia nel
futuro (ad un costo sempre più alto).
Per inciso,
non fa alcuna differenza che l'attività indotta nell'economia reale
produca o no valore in senso stretto - che è come dire che non fa alcuna
differenza, sia che l'attuale applicazione di forza lavoro crei
plusvalore (come nella produzione industriale, ad esempio) o che il
valore che è già stato prodotto venga semplicemente riallocato o
riciclato (come in gran parte del settore dei servizi). In quanto questa
distinzione non esiste affatto nell'attuale, superficiale percezione
della circolazione economica, questo non è un fattore nella generazione,
o meno, di aspettative. L'unico fattore decisivo è il fatto che la
promessa di successivi profitti ha bisogno di avere qualche punto di
riferimento nell'economia reale. Ciò spiega come un settore dei servizi
così grande sia stato capace di emergere in tutto il mondo senza
generare alcun plusvalore, rendendolo del tutto inadatto a formare una
base per la valorizzazione capitalista. Ma per la produzione di
"fantasie di mercato", come le chiama candidamente il gergo borsistico,
la crescita dei ricavi pubblicitari per Google o per Facebook non è
meglio della fabbricazione di automobili elettriche o di turbine
eoliche. La capitalizzazione del suolo o dei diritti di proprietà sulla
conoscenza (sotto forma di brevetti e di licenze) su vasta scala è
possibile solo grazie al continuo afflusso di capitale fittizio, e
rappresenta simultaneamente il punto centrale di riferimento per
l'anticipazione di profitti perpetuamente effervescenti.
In
ogni caso, i mezzi per "fare soldi" sono irrilevanti visti dalla
prospettiva dei capitali individuali. Ecco perché ci sono sempre in giro
abbastanza investitori che dirigono il loro denaro verso l'economia
reale, alla sola condizione che i rendimenti si accumulino. Tuttavia,
questa clausola esprime la dipendenza diretta dalle dinamiche del
capitale fittizio perché un investimento può essere redditizio solo se
produce più o meno lo stesso profitto che produrrebbe un corrispondente
investimento sui mercati finanziari con i loro target enormemente
elevati. Gli investimenti nell'economia reale sono quindi soggetti al
dominio del capitale fittizio e, naturalmente, la pressione che ne
risulta si trasmette in maniera massiccia verso il basso, il che
significa innanzi tutto su coloro che vendono la loro forza lavoro e
sulle molte piccole imprese indipendenti, ma anche sugli attori statali
che competono per ridurre le tasse per attrarre investimenti.
7- Siamo
ora in una posizione migliore per capire perché la sconsideratezza per
le condizioni di lavoro e di vita nell'epoca del capitale fittizio sta
assumendo una nuova (negativa) qualità. Mentre la produzione di
ricchezza materiale fino alla fine del fordismo era meramente un mezzo
intrinseco all'aumento della ricchezza astratta, esso implicava quanto
meno un rapporto diretto (strumentale). Le merci sul mercato
rappresentavano inevitabilmente lavoro astratto passato e quindi valore e
plusvalore. Ma quando la funzione sistemica della ricchezza materiale
viene ridotta a fornire materiale immaginario per l'anticipazione di
valore futuro, subentra indifferenza verso il contenuto, le condizioni, e
le conseguenze di quello che tale produzione intensifica fino
all'estremo. L'accumulazione di ricchezza astratta viene slegata dal suo
lato materiale quanto più possibile.
La continua
distruzione sia delle basi naturali della vita che delle condizioni
sociali e culturali della coesistenza sociale, non è più semplicemente
un genere di danno collaterale nel movimento fine a sé stesso del
capitalismo. Ne diventa, piuttosto, il suo contenuto essenziale. Nella
sua più visibile espressione di tale dinamica, paesi in crisi come la
Grecia, la Spagna ed il Portogallo sono stati costretti a chiudere ampi
segmenti dei loro sistemi sociali e sanitari insieme ad altri servizi
pubblici, nel nome della (notoriamente illusoria) aspettativa che lo
Stato sia capace, ad un certo punto, di pagare i suoi debiti. In questi
casi, la completa distruzione della ricchezza materiale diventa il punto
di riferimento per un'ulteriore accumulazione di capitale fittizio.
Similmente, il boom attuale delle materie prime si basa fondamentalmente
sull'anticipazione di una scarsità futura. L'aspettativa dell'aumento
dei prezzi permette che un'enorme quantità di capitale fittizio scorra
verso quei settori che fanno occasionalmente utilizzo di tecnologie
molto costose (ed estremamente pericolose), in quanto redditizi.
La
distribuzione degli utili e della ricchezza è sempre più polarizzata su
scala globale peri medesimi motivi strutturali. Poiché la forza lavoro
ha perso il suo significato centrale in quanto merce fondamentale nel
movimento fine in sé stesso del capitale, le condizioni della sua
vendita si stanno sempre più deteriorando. Nel frattempo, il capitale si
trova nella confortevole posizione di essere in grado di "produrre" in
maniera indipendente, sotto forma di diritti al valore futuro, la merce
necessaria all'accumulazione di capitale. In questo processo, può
contare solamente sul supporto attivo dei governi e delle banche
centrali.
8- Queste
ed altre insopportabili conseguenze delle dinamiche della crisi
capitalista hanno reso di nuovo alla moda la critica del capitalismo. Ma
molto di questa critica inverte il problema, di solito insistendo che
la moneta dovrebbe "ancora una volta" servire il popolo come semplice
mezzo di scambio invece di essere un fine in sé stesso. Da tale
prospettiva, il movimento fine a sé stesso del capitalismo appare come
un semplice vezzo di un mondo autonomo ed auto-alimentato di mercati
finanziari che si impadronisce della società e che dovrebbe quindi
essere abolito o al quale quanto meno andrebbero imposte delle severe
restrizioni.
Questa "critica" si basa su
un'inversione del concetto del modo capitalista di produzione menzionato
all'inizio. Essa sostiene che, "per sua natura", questo modo di
produzione è un modo altamente differenziato di produrre beni a
beneficio dell'umanità, nel quale il denaro in realtà non è altro che
uno strumento per facilitare innumerevoli scambi. Questo concetto, che
fa parte dell'hardware ideologico di base della visione del mondo
moderno, non solo viene presentato nei capitoli di apertura dei libri di
testo di economia, i quali pretendono sempre che l'economia moderna non
sia niente di più che una variante globalizzata di un idilliaca
comunità di un villaggio, dove macellai, fornai e sarti scambiano i loro
prodotti l'uno con l'altro. Inoltre attua anche una svolta pericolosa,
sotto forma di delusione antisemita nei confronti del capitale
monetario. Ed è il leitmotiv di una presunta critica del capitalismo"
che sogna un ritorno ad un idealizzato, regolato mercato economico del
dopoguerra che in primo luogo non è mai esistito. Ignora deliberatamente
il fatto che una tale regressione è assolutamente impossibile dal
momento che le basi strutturali per la valorizzazione del capitale non
esistono più. Questo punto di vista pretende anche che il capitalismo
fordista non era basato sul principi della valorizzazione del capitale,
ma che fosse invece regolato dallo Stato, e basato su un mercato
regolamentato per rifornire la società di prodotti utili.
Un
altro motivo per cui questa pseudo-critica ha così tanta risonanza oggi
è perché la mediazione sociale svolta dal lavoro si è diffusa ovunque,
in tutto il mondo, e, come ho già spiegato, dalla prospettiva del
venditore di forza lavoro, appare come nient'altro che una relazione di
scambio in cui una merce viene data via per poter procurarsene un'altra.
In una maniera o nell'altra, il fatto che questo modo di esistenza
presupponga il movimento fine a sé stesso del capitale viene sempre
omesso. Perciò, la sinistra tradizionale ha sempre predicato la
liberazione del lavoro invece che la liberazione dal lavoro. Ma dal
momento che il capitale è essenzialmente diventato più preoccupato per
il lavoro futuro e si è in gran parte scollegato dai venditori di forza
lavoro e dalla produzione materiale di ricchezza, l'utopia di
un'economia di scambio universale o di un'economia di mercato regolata
senza il peso del capitale sembra essere diventata più che mai un
modello di liberazione sociale.
Tuttavia, il
perseguimento di un simile modello non solo significa restare
intrappolato in una chimera ideologica ma anche sbattere inevitabilmente
contro un muro, in termini di pratica politica. "La mera negazione
della dipendenza dal movimento fine in sé stesso del capitale significa
garantire che esso risorgerà con tutta la forza della sua soppressione."
Così,
invece di romanticizzare in maniera regressiva la mediazione sociale
esistente, bisognerebbe contestarla categoricamente. Fino a quando gli
esseri umani si relazioneranno gli uni agli altri attraverso le merci ed
il lavoro astratto, essi non potranno padroneggiare liberamente le loro
condizioni sociali. Al contrario, saranno governati in forma reificata
da quelle condizioni. Ciò ha sempre significato violenza, miseria e
dominio, ma nel bel mezzo della crisi del capitale fittizio questo
significa che il mondo diverrà un deserto nel prossimo futuro.
La
sola prospettiva per l'emancipazione sociale è allora l'abolizione di
questa forma di mediazione. Il primo passo verso quest'obiettivo può e
deve essere fatto oggi. Nel momento in cui si affronta la gestione della
crisi e la furia folle del capitale, le conquiste sociali devono essere
preservate e, ove possibile, la produzione di ricchezza materiale deve
essere liberata dalla sua dipendenza dall'accumulazione del capitale.
L'obiettivo dev'essere costruire un nuovo ampio settore di
auto-organizzazione sociale che attinga a tutta la forza produttiva
potenziale disponibile (ovvero, tecnologia) per stabilire strutture
decentralizzate, messe in rete a livello globale. Ma soprattutto, devono
essere sviluppate tutte le nuove forme di mediazione sociale in cui
individui liberamente associati decidono coscientemente i loro affari
- Norbert Trenkle - Never Work Conference - Cardiff, 10 Luglio 2015 -
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