Distorsioni
Ho letto in queste settimane i numerosi contributi pubblicati non solo da “il manifesto” ma anche da quotidiani telematici in merito all’appello lanciato da Marco Revelli e Argiris Panagopoulos sull’avvio di un processo di rilancio della soggettività politica a sinistra.
Un dibattito come questo meriterebbe molto tempo. Ma tempo non ne abbiamo e forse, oggi, è uno dei nostri peggiori nemici nella riconversione sociale di un disagio che si espre sempre troppo spesso in consensi che vanno a destra e che seguono l’onda perversa della mutazione di problemi sociali – come quello delle migrazioni da un continente all’altro – in problemi di mero carattere di ordine pubblico.
Abbiamo avuto ancora una volta la prova che una crisi economica viene circondata da una sapiente manovra di anestetizzazione delle coscienze, per cui invece di prendercela con chi l’ha causata e con chi la continua ad alimentare (ossia banche, speculatori, capitalisti di ogni risma), rivolgiamo gli strali contro coloro che sono più poveri e disagiati di noi e che, in quanto tali, ci vengono mostrati come le belve assetate di sopravvivenza che vengono sulle nostre coste pronti a sottrarci quanto ci resta del misero salario, della misera esistenza che svogliamo quotidianamente.
Una misera esistenza che il mercato, tuttavia, ci consente di portare avanti con i beni illusori, con le necessità che non sono tali, con una sostanziale vita di benessere apparente che nasconde dietro il disagio più profondo dell’incertezza completa del futuro tra precarietà, disoccupazione e sfruttamento a livelli indicibili.
In Italia i sacerdoti politici di queste mistificazioni sono le forze che governano il Paese, prima fra tutte quella di cui è segretario e plenipotenziario Matteo Renzi.
A discendere da lui, fino alle dirigenze locali del PD, la macchina di distribuzione della percezione distorta ma felice di una economia in ripresa e di un miglioramento delle condizioni sociali su vasta scala funziona che è una meraviglia. L’Unità lo dice! E, molto sinceramente, viene una gran pena a leggere sulle pagine del quotidiano fondato da Gramsci dei viaggi del ministro Boschi tra le feste di partito per dare rassicurazioni a tutte e tutti sullo stato di efficienza del governo
Ho letto in queste settimane i numerosi contributi pubblicati non solo da “il manifesto” ma anche da quotidiani telematici in merito all’appello lanciato da Marco Revelli e Argiris Panagopoulos sull’avvio di un processo di rilancio della soggettività politica a sinistra.
Un dibattito come questo meriterebbe molto tempo. Ma tempo non ne abbiamo e forse, oggi, è uno dei nostri peggiori nemici nella riconversione sociale di un disagio che si espre sempre troppo spesso in consensi che vanno a destra e che seguono l’onda perversa della mutazione di problemi sociali – come quello delle migrazioni da un continente all’altro – in problemi di mero carattere di ordine pubblico.
Abbiamo avuto ancora una volta la prova che una crisi economica viene circondata da una sapiente manovra di anestetizzazione delle coscienze, per cui invece di prendercela con chi l’ha causata e con chi la continua ad alimentare (ossia banche, speculatori, capitalisti di ogni risma), rivolgiamo gli strali contro coloro che sono più poveri e disagiati di noi e che, in quanto tali, ci vengono mostrati come le belve assetate di sopravvivenza che vengono sulle nostre coste pronti a sottrarci quanto ci resta del misero salario, della misera esistenza che svogliamo quotidianamente.
Una misera esistenza che il mercato, tuttavia, ci consente di portare avanti con i beni illusori, con le necessità che non sono tali, con una sostanziale vita di benessere apparente che nasconde dietro il disagio più profondo dell’incertezza completa del futuro tra precarietà, disoccupazione e sfruttamento a livelli indicibili.
In Italia i sacerdoti politici di queste mistificazioni sono le forze che governano il Paese, prima fra tutte quella di cui è segretario e plenipotenziario Matteo Renzi.
A discendere da lui, fino alle dirigenze locali del PD, la macchina di distribuzione della percezione distorta ma felice di una economia in ripresa e di un miglioramento delle condizioni sociali su vasta scala funziona che è una meraviglia. L’Unità lo dice! E, molto sinceramente, viene una gran pena a leggere sulle pagine del quotidiano fondato da Gramsci dei viaggi del ministro Boschi tra le feste di partito per dare rassicurazioni a tutte e tutti sullo stato di efficienza del governo
In mezzo al guado
La percezione. E’ lei la vera protagonista della connessione empatica tra notizie, verità e sensazioni singole e collettive. E ciò che si percepisce viene deciso dai direttori dei telegiornali, dei canali di notizie 24 ore su 24, delle radio e dei siti Internet a questo preposti.
C’è poi tutto un sottobosco di commenti e commentarii tipici di chi rincorre la notizia e vuole infarcirla di enfasi così da corroborare la percezione già alterata che si trovava in partenza.
Così la percezione delle cause della crisi economica, come dicevo poche righe sopra, è da tempo mutata in una utile conversione di odio e disprezzo verso i migranti, verso coloro che – poveri tra i poveri – ci minacciano direttamente.
Del resto la presenza dei migranti è tangibile ogni giorno, per strada, sugli autobus, nei condomini. E così vale per la percezione del “pericolo rom”. Avete notato? Non li chiamano più “zingari”. Anche i termini dispregiativi si evolvono e le mode cambiano: rom è più moderno, meno legato all’otto-novecentesco “zingaro”.
I problemi sociali si fanno risalire a cause di ancestrale e genetica delinquenza: una lombrosiana propensione a non rispettare quelle belle regole che si chiamano legge e che se infrante da un italiano vengono chiamate “violazione”, se infrante da un migrante o da un rom sono la dimostrazione ennesima del loro “essere”, della loro incancellabile e irrimediabile vocazione al crimine.
La sinistra italiana si trova a ripensarsi e a ripensare un cammino di ricostruzione di sè stessa in questo marasma antisociale, anticivile, anzi decisamente “incivile” e quindi si trova a ridefinirsi in un contesto di grande assenza di una coscienza critica, di una propensione alla solidarietà sociale tra uguali in disgrazia.
Qui gli uguali in disgrazia si odiano, si fanno la guerra, agitati ed esagitati da forze di destra dal colore verde padano, dal colore giallo pentastellato e dal classico colore nero fascista.
La percezione. E’ lei la vera protagonista della connessione empatica tra notizie, verità e sensazioni singole e collettive. E ciò che si percepisce viene deciso dai direttori dei telegiornali, dei canali di notizie 24 ore su 24, delle radio e dei siti Internet a questo preposti.
C’è poi tutto un sottobosco di commenti e commentarii tipici di chi rincorre la notizia e vuole infarcirla di enfasi così da corroborare la percezione già alterata che si trovava in partenza.
Così la percezione delle cause della crisi economica, come dicevo poche righe sopra, è da tempo mutata in una utile conversione di odio e disprezzo verso i migranti, verso coloro che – poveri tra i poveri – ci minacciano direttamente.
Del resto la presenza dei migranti è tangibile ogni giorno, per strada, sugli autobus, nei condomini. E così vale per la percezione del “pericolo rom”. Avete notato? Non li chiamano più “zingari”. Anche i termini dispregiativi si evolvono e le mode cambiano: rom è più moderno, meno legato all’otto-novecentesco “zingaro”.
I problemi sociali si fanno risalire a cause di ancestrale e genetica delinquenza: una lombrosiana propensione a non rispettare quelle belle regole che si chiamano legge e che se infrante da un italiano vengono chiamate “violazione”, se infrante da un migrante o da un rom sono la dimostrazione ennesima del loro “essere”, della loro incancellabile e irrimediabile vocazione al crimine.
La sinistra italiana si trova a ripensarsi e a ripensare un cammino di ricostruzione di sè stessa in questo marasma antisociale, anticivile, anzi decisamente “incivile” e quindi si trova a ridefinirsi in un contesto di grande assenza di una coscienza critica, di una propensione alla solidarietà sociale tra uguali in disgrazia.
Qui gli uguali in disgrazia si odiano, si fanno la guerra, agitati ed esagitati da forze di destra dal colore verde padano, dal colore giallo pentastellato e dal classico colore nero fascista.
Sinistra di classe o sinistra elettorale?
Marco Revelli e Argiris Panagopoulos ci suggeriscono una palingenesi che è forse il miglior modo, l’approccio meno cruento possibile per arrivare ad una distensione tra le litigiose forze politiche e sociali che costituiscono, lo si voglia o no, la galassia frammentata della sinistra di alternativa, comunista, socialista, ecologista e movimentista italiana.
Bisogna partire da un concetto fondamentale: non è possibile ridurre ad unicità tutte queste culture. Vanno rispettate e tutelate e possono soltanto così concorrere alla formazione di una vera unità che rispetti le autonomie singole, le differenze di impostazione e anche gli obiettivi finali.
Sarebbe infatti impensabile ridurre a sintesi estrema, quindi unica, i propositi anticapitalisti di Rifondazione Comunista con il programma riformista di Pippo Civati o di Sinistra Ecologia Libertà.
Così come sarebbe fare un altro torto cercare di includere battaglie singole come la “No Tav” in Val di Susa in un generico calderone ecologista. La lotta della Valle politicamente e socialmente più famosa d’Italia è qualcosa che fuoriesce dai canoni del semplice ambientalismo: vuole difendere una comunità intera da una speculazione dei poteri economici che prescindono da qualunque rispetto dell’ambiente e della salute.
Per questo una lotta come quella “No Tav” è una lotta che investe ambiente, società, cultura, economia, lavoro, scuola. Tutto ciò di cui ci occupiamo anche noi che facciamo politica in partiti o associazioni.
Premesso che non è possibile creare un nuovo soggetto della sinistra partendo dalla riduzione degli spazi attualmente esistenti, occorre individuare prima del contenitore i tanto celebri contenuti.
Su cosa questa sinistra italiana dovrebbe distinguersi dal PD, dalle destre e dai mille rivoli del centro?
Secondo me la risposta è più semplice di quello che si creda: sulla concezione tra lavoro e capitale, tra sfruttati e sfruttatori, tra lavoratori e padroni.
Certo, bisogna già da ora anche intendersi sui concetti: se il padrone non lo si considera uno sfruttatore, e quindi un padrone, ma un “datore di lavoro”, un “imprenditore”, allora non c’è nemmeno partenza che tenga nella costruzione di un percorso comune.
Per sviluppare una nuova dialettica politica sullo sfruttamento capitalistico bisogna che questa forza di sinistra sia anticapitalista e quindi che faccia della lotta al padronato una sua caratteristica essenziale.
Non so se Pippo Civati si possa riconoscere in questa impostazione. So che non mi interessa far parte di una sinistra che fa del raggiungimento del governo l’unico suo obiettivo e che non vuole arrivare a Palazzo Chigi per “prendere il potere”, ma per gestirlo nelle consuete compatibilità riformiste.
Una sinistra di questo tipo l’abbiamo già vista e si era messa un trattino davanti accompagnata da “centro” e ha fallito più volte.
Il nuovo soggetto della sinistra italiana o è anticapitalista o sposa il punto di vista comune dei moderati che vanno da Bersani a Renzi: il mercato si può gestire, riformare, temperare nei suoi “eccessi”.
E’ una tesi socialdemocratica che non porta alcuna distinzione dal PD o dalle altre forze.
Se vogliamo essere (e non apparire) diversi da tutte le altre forze sociali e politiche, dobbiamo rilanciare con forza un processo di rielaborazione e riconsiderazione fondato su una classe, su una “coscienza di classe”.
Solo dalla consapevolezza (e non dalla mera percezione dei fatti) di ciò che si è in questa società può nascere un istinto di lotta e una voglia nuovamente di sinistra e di politica di sinistra.
Ma forse tutto questo è troppo per il nuovo soggetto della sinistra: forse si limiterà a gestire alcune fasi elettorali e noi delegheremo un po’ di “sovranità” in tal senso. Rinunceremo a presentarci col simbolo di Rifondazione Comunista e sceglieremo una unità che creerà un po’ di consenso elettorale. E niente più.
Marco Revelli e Argiris Panagopoulos ci suggeriscono una palingenesi che è forse il miglior modo, l’approccio meno cruento possibile per arrivare ad una distensione tra le litigiose forze politiche e sociali che costituiscono, lo si voglia o no, la galassia frammentata della sinistra di alternativa, comunista, socialista, ecologista e movimentista italiana.
Bisogna partire da un concetto fondamentale: non è possibile ridurre ad unicità tutte queste culture. Vanno rispettate e tutelate e possono soltanto così concorrere alla formazione di una vera unità che rispetti le autonomie singole, le differenze di impostazione e anche gli obiettivi finali.
Sarebbe infatti impensabile ridurre a sintesi estrema, quindi unica, i propositi anticapitalisti di Rifondazione Comunista con il programma riformista di Pippo Civati o di Sinistra Ecologia Libertà.
Così come sarebbe fare un altro torto cercare di includere battaglie singole come la “No Tav” in Val di Susa in un generico calderone ecologista. La lotta della Valle politicamente e socialmente più famosa d’Italia è qualcosa che fuoriesce dai canoni del semplice ambientalismo: vuole difendere una comunità intera da una speculazione dei poteri economici che prescindono da qualunque rispetto dell’ambiente e della salute.
Per questo una lotta come quella “No Tav” è una lotta che investe ambiente, società, cultura, economia, lavoro, scuola. Tutto ciò di cui ci occupiamo anche noi che facciamo politica in partiti o associazioni.
Premesso che non è possibile creare un nuovo soggetto della sinistra partendo dalla riduzione degli spazi attualmente esistenti, occorre individuare prima del contenitore i tanto celebri contenuti.
Su cosa questa sinistra italiana dovrebbe distinguersi dal PD, dalle destre e dai mille rivoli del centro?
Secondo me la risposta è più semplice di quello che si creda: sulla concezione tra lavoro e capitale, tra sfruttati e sfruttatori, tra lavoratori e padroni.
Certo, bisogna già da ora anche intendersi sui concetti: se il padrone non lo si considera uno sfruttatore, e quindi un padrone, ma un “datore di lavoro”, un “imprenditore”, allora non c’è nemmeno partenza che tenga nella costruzione di un percorso comune.
Per sviluppare una nuova dialettica politica sullo sfruttamento capitalistico bisogna che questa forza di sinistra sia anticapitalista e quindi che faccia della lotta al padronato una sua caratteristica essenziale.
Non so se Pippo Civati si possa riconoscere in questa impostazione. So che non mi interessa far parte di una sinistra che fa del raggiungimento del governo l’unico suo obiettivo e che non vuole arrivare a Palazzo Chigi per “prendere il potere”, ma per gestirlo nelle consuete compatibilità riformiste.
Una sinistra di questo tipo l’abbiamo già vista e si era messa un trattino davanti accompagnata da “centro” e ha fallito più volte.
Il nuovo soggetto della sinistra italiana o è anticapitalista o sposa il punto di vista comune dei moderati che vanno da Bersani a Renzi: il mercato si può gestire, riformare, temperare nei suoi “eccessi”.
E’ una tesi socialdemocratica che non porta alcuna distinzione dal PD o dalle altre forze.
Se vogliamo essere (e non apparire) diversi da tutte le altre forze sociali e politiche, dobbiamo rilanciare con forza un processo di rielaborazione e riconsiderazione fondato su una classe, su una “coscienza di classe”.
Solo dalla consapevolezza (e non dalla mera percezione dei fatti) di ciò che si è in questa società può nascere un istinto di lotta e una voglia nuovamente di sinistra e di politica di sinistra.
Ma forse tutto questo è troppo per il nuovo soggetto della sinistra: forse si limiterà a gestire alcune fasi elettorali e noi delegheremo un po’ di “sovranità” in tal senso. Rinunceremo a presentarci col simbolo di Rifondazione Comunista e sceglieremo una unità che creerà un po’ di consenso elettorale. E niente più.
“Partito comunista” e “Partito elettoralista”
I miei dubbi sono tanti, come quelli di molti di voi. Forse sarà impossibile arrivare ad una maggiore diffusione dell’anticapitalismo come valore e programma fondante di una nuova sinistra italiana. Essere anticapitalisti non significa meccanicisticamente essere comunisti. Quello è un salto ulteriore.
Ma o ci si schiera apertamente contro il liberismo e il mercato, contro il capitalismo, o rimane davvero difficile poter trovare delle intese su programmi che mettano il lavoro e lo sfruttamento del lavoro al centro dell’esistenza della nuova sinistra italiana.
La crisi greca e il cedimento del governo Tsipras nei confronti della Troika (con uno spostamento dell’asse politico del governo meno a sinistra di quanto non fosse prima, con meno “intransigenza”, con meno dissenso) ci hanno messo davanti una dura realtà: le forze economiche, bancarie e i poteri cosiddetti “forti” hanno un potere di ricatto immenso. Syriza si è battuta tenacemente, questo glielo dobbiamo. E ha mostato a tutte e tutti noi che si può ricreare una coscienza popolare fondata sul sociale, sulla collaborazione fattiva, sul mutuo soccorso, sull’assistenza fatta quartiere per quartiere.
Sono d’accordo con Paolo Ferrero quando afferma che Rifondazione Comunista deve fare il “partito comunista” nella società e che può delegare l’aspetto elettoralistico al più ampio contenitore della sinistra.
Non so quanto una dualità di questo tipo possa reggere nel tempo.
Ma, indubbiamente, rispetto a quello che ci troviamo oggi a vivere, al deserto che traversiamo da molto, troppo tempo, sarebbe un tentativo.
Stiamo solo attenti a non avere fretta pur non avendo tempo. Stiamo attenti a non fare una delle fini che si dice abbia fatto Simon Mago: sepolti vivi dalla nostra stessa terra o precipitati da una altezza che pensavamo di raggiungere e che ci ha fatto sfracellare. Sarebbe veramente l’ultima volta. E non ce lo dobbiamo permettere.
I miei dubbi sono tanti, come quelli di molti di voi. Forse sarà impossibile arrivare ad una maggiore diffusione dell’anticapitalismo come valore e programma fondante di una nuova sinistra italiana. Essere anticapitalisti non significa meccanicisticamente essere comunisti. Quello è un salto ulteriore.
Ma o ci si schiera apertamente contro il liberismo e il mercato, contro il capitalismo, o rimane davvero difficile poter trovare delle intese su programmi che mettano il lavoro e lo sfruttamento del lavoro al centro dell’esistenza della nuova sinistra italiana.
La crisi greca e il cedimento del governo Tsipras nei confronti della Troika (con uno spostamento dell’asse politico del governo meno a sinistra di quanto non fosse prima, con meno “intransigenza”, con meno dissenso) ci hanno messo davanti una dura realtà: le forze economiche, bancarie e i poteri cosiddetti “forti” hanno un potere di ricatto immenso. Syriza si è battuta tenacemente, questo glielo dobbiamo. E ha mostato a tutte e tutti noi che si può ricreare una coscienza popolare fondata sul sociale, sulla collaborazione fattiva, sul mutuo soccorso, sull’assistenza fatta quartiere per quartiere.
Sono d’accordo con Paolo Ferrero quando afferma che Rifondazione Comunista deve fare il “partito comunista” nella società e che può delegare l’aspetto elettoralistico al più ampio contenitore della sinistra.
Non so quanto una dualità di questo tipo possa reggere nel tempo.
Ma, indubbiamente, rispetto a quello che ci troviamo oggi a vivere, al deserto che traversiamo da molto, troppo tempo, sarebbe un tentativo.
Stiamo solo attenti a non avere fretta pur non avendo tempo. Stiamo attenti a non fare una delle fini che si dice abbia fatto Simon Mago: sepolti vivi dalla nostra stessa terra o precipitati da una altezza che pensavamo di raggiungere e che ci ha fatto sfracellare. Sarebbe veramente l’ultima volta. E non ce lo dobbiamo permettere.
MARCO SFERINI
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