martedì 10 giugno 2014

"Lista Tsipras, primo passo della fase costituente. Ci guidi il 'preguntare caminando'". Intervista ad Alfonso Gianni



Alfonso Gianni non ha bisogno di presentazioni. Già dirigente di Rifondazione comunista e sottosegretario allo Sviluppo economico nel secondo governo Prodi, è poi entrato in Sel uscendone però poco dopo per dissensi di fondo con la linea del partito di Vendola. Recentemente è stato tra i sostenitori della lista L’Altra Europa con Tsipras. Ad oltre due settimane dal voto europeo, che ha riconosciuto lo sforzo di chi ha organizzato e appoggiato questa lista con il raggiungimento dell’ambito quorum, abbiamo voluto fare il punto con lui, tenendo conto che una serie di episodi, dai mal di pancia di Sel alla scelta della Spinelli di entrare a Strasburgo malgrado avesse affermato fin dall’inizio il contrario, hanno di molto smorzati gli entusiasmi.
Alfonso, di fronte a questi ultimi e rilevanti problemi ti senti ancora di fare un bilancio positivo dell’esperienza della Lista Tsipras, oppure, al di là dei tre deputati che manderemo a Strasburgo, siamo di fronte ad una ennesima sconfitta?
Un bilancio positivo è obbligatorio perché, a differenza della Sinistra Arcobaleno e di Rivoluzione civile qui c’è un dato che nessuno può cancellare. E cioè che la sfida del quorum è stata superata, di poco certamente ma superata. La qual cosa ci obbliga a rispondere ad oltre un milione e centomila elettori che hanno inviato a Strasburgo tre deputati. Si tratta di una differenza che non possiamo trascurare altrimenti vuole dire che ragioniamo solamente sui nostri umori. Questo è un punto quindi ineliminabile. Tuttavia, come pensavo la sera stessa, anzi l’alba stessa in cui è apparso chiaro che quel risicato 4,03% ormai non ce lo toglieva più nessuno, il difficile viene adesso.
E noi ce lo siamo ulteriormente complicato anziché semplificarlo mi sembra…
Io sono tra coloro che ha detto e scritto dove ho potuto, per esempio recentemente sull’Huffington Post, che la scelta di Barbara Spinelli è stata un errore. E non lo è solo per le modalità un po’ separate con cui è stata maturata ma per la scelta in sé. Io credo che non si cancelli un errore facendone un altro. Il primo errore di Barbara è stato quello di dichiarare che lei si sarebbe dimessa in caso di elezione. Il motivo dell’errore è evidente perché se tu dici, come punto essenziale del tuo programma e del tuo messaggio elettorale, che l’Europa è il terreno principale per lo scontro contro le politiche di austerità, non puoi poi dire, beh vadano altri. Perché ti sottrai ad un compito che tu stessa indichi a tutti. Si tratta dunque di un errore che ha pesato negativamente sulla lista, perché molto spesso mi sono trovato di fronte a persone che dicevano noi votiamo ma poi non sappiamo chi andrà perché noi ci teniamo che invece vada Barbara Spinelli. Tu rispondevi che c’erano altre preferenze ma ti si replicava che sì, si poteva scegliere tranne Barbara Spinelli. Il secondo errore è legato al fatto che una volta che hai maturato questa scelta secondo me cambiare idea, senza che esistano ragioni esterne che lo giustificano, per esempio fatti internazionali così eclatanti ed improvvisi, o avvenimenti politici interni del tutto imprevedibili che ti impongono obiettivamente un cambiamento di posizione, non spiega la ragione di questa modificazione di pensiero. La quale ha creato sconcerto per due motivi: la prima perché tutti si aspettano come elementare criterio di trasparenza e di correttezza nel nostro modo di far politica, che alle parole corrisponda i fatti; e poi perché si erano suscitate ovviamente delle aspettative in alcune persone. Io non parlerò di partiti ma solo di persone. E questo ha indubbiamente pesato enormemente sull’andamento dei fatti successivi a quanto è accaduto. Tanto è vero che tutto questo si è molto sentito nell’assemblea di sabato scorso, e ancora prima nella riunione dei delegati di due sabati fa. Il fatto poi che Barbara Spinelli abbia scritto poche ore dopo la fine dell’assemblea, ha creato ulteriore scoramento perché tutte le persone venute in assemblea hanno detto che era stato taciuto uno degli elementi essenziali. Poi lei adesso dice che sono stati i garanti a consigliarla a fare così. Non dubito che lei dica la verità, ma questo è un aggravante.
Mi sembra che si siano dimostrati garanti di niente….
Insomma, io credo che il loro ruolo si sia esaurito. D’altro canto, e lo ha detto anche Viale, è durato nel bene e nel male fintanto che è durata la campagna elettorale. Ora non ha più senso che esista un organismo collettivo. Tanto è vero che c’è, ad esempio, un comunicato in sostegno e di augurio alla scelta di Barbara Spinelli che circola sul web ma che è firmato da due soli garanti, e cioè Guido Viale e Luciano Gallino perché gli altri non lo hanno voluto firmare. Il che indica che i garanti ormai considerano se stessi come singole persone. E quindi questo gruppo non esiste più come organismo. E ora il problema aperto che noi abbiamo di fronte è quello di quali strumenti dotarci per portare avanti questa esperienza.
A questo proposito sempre nella rete circola una proposta così formulata: formare un nuovo gruppo di garanti composto dai primi due non eletti di ogni circoscrizione in virtù anche della loro legittimazione popolare. Che cosa ne pensi?
E’ certamente un’idea. Io mi permetto però di non essere d’accordo non sui nomi che vengono proposti ma sul criterio di scegliere dei candidati che diventano figure istituzionalizzate al di là della scadenza elettorale. Il che francamente non mi pare una grande opzione, con tutto il rispetto ovviamente per i candidati. Potevano essere questi, potevano essere altri, ma una volta finite le elezioni il loro ruolo è assimilabile a quello dei membri dei comitati territoriali, che insieme a loro hanno condotto la campagna elettorale. Quindi a mio parere possiamo arrivare alla definizione di un organismo necessariamente provvisorio che però almeno ci porti all’assemblea del 19 luglio ancora in piedi. E io mi auguro e spero che anche le controversie siano un po’ lenite dalla riflessione, dal tempo e dal senso di responsabilità che dobbiamo avere verso questo milione e centomila elettori che si aspettano da noi una risposta positiva e non semplicemente una reciproca recriminazione. Penso che questo organismo più che sui candidati debba appoggiarsi sulle realtà dei comitati territoriali.
Guardando al futuro è interessante il sondaggio pubblicato proprio da www.controlacrisi.org dove la maggioranza dei lettori ha scelto tra le diverse opzioni quella di sciogliere gli attuali partiti e dare vita, con i tempi che saranno necessari, ad una nuova forza politica. La possibilità di mantenerli in vita rafforzandoli come strada da seguire ha ottenuti pochissimi consensi, segno evidente che dentro quel milione e passa di elettori ed elettrici che hanno scelto la Lista c’è voglia di qualche altra cosa. La domanda però è questa: c’è un ceto politico capace e desideroso di voltare pagina?
Ovviamente con me sfondi porte aperte. Io me ne sono andato dal Prc proponendo il superamento di questo partito; me ne sono andato da Sel quando ho visto che era solo un comitato elettorale e faceva una scelta di incardinarsi ad un centro-sinistra e poi si è visto come è finito. Adesso noto con piacere che tanto nel Prc quanto in modo ancora più confliggente in Sel si è riaperta una discussione di carattere politico sul futuro di questa organizzazione. Io penso che siamo già in una fase costituente. Anche se non è formalizzata, strutturata e non è pensata nella sua “road map”, noi siamo già in una fase del genere. La Lista Tsipras ha rappresentato un primo passo in questa direzione, e difatti ha immediatamente scombussolato il sistema di fragile equilibrio nei micro partiti. A riguardo è sintomatico anche quello che è successo nel Pdci, anche se è un ultra micro partito. Oppure ciò che sta avvenendo nel gruppo parlamentare cinque stelle. All’assemblea di sabato è intervenuto Francesco Campanella, ex senatore del M5S, e lì, in quel gruppo, ci sono una decina di persone che se ne sono andate. Non tutte verranno verso Tsipras ma una buona parte sì. E comunque c’è una attesa nei nostri confronti che non ci sarebbe stata se non avessimo preso il quorum e che oggi ci carica di maggiori responsabilità. Quindi io sarei proprio per dichiarare aperta la fase costituente che va portata avanti naturalmente con prudenza ed umiltà, senza quei narcisismi e quei protagonismi che sono solamente nocivi, studiandone le varie forme di passaggio. Penso, concludendo, che non esiste una modellistica alla quale fare riferimento. Se diciamo, facciamo Syriza in Italia, capisco lo spirito positivo di questa dichiarazione, ma io potrei dire “facciamo Podemos in Italia” e avrei ugualmente ragione. In realtà la storia del movimento operaio, “si parva licet componere magnis”, dimostra appunto che la modellistica è nociva quando viene imposta dall’esterno. Non esiste poi nella realtà fattuale nel senso che i modelli vengono codificati “ex post” e non “ex ante”. Cioè una volta che le cose sono successe in un certo modo uno dice, ecco quello è un modello a cui ispirarsi. Ma se tu ti fossi ispirato prima ad un modello probabilmente non saresti mai arrivato a quel risultato positivo. Bisogna insomma “preguntare caminando” perché un processo è un processo. L’importante è avviarlo ed evitare che all’inizio si affossi subito in errori madornali. Ma predisporne per filo e per segno i passaggi sarebbe una pretesa assolutamente da evitare perché si strozzerebbe l’originalità del processo stesso. Ogni processo insomma ha una sua originalità, ha le sue caratteristiche che non sono predeterminabili ma sono riconoscibili solamente dopo.

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