venerdì 13 giugno 2014

Renzi, Mineo e l’arroganza del potere

di Norma Rangeri, Il Manifesto
 
Andia­moci piano con la libertà di coscienza, un bene pre­zioso da eser­ci­tare con mode­ra­zione, senza biso­gno di sban­die­rarlo per que­stioni minori come la riforma costi­tu­zio­nale. E se un sena­tore pro­prio insi­ste a voler espri­mere la sua cri­tica sul pro­getto del nuovo senato, addi­rit­tura pre­ten­dendo il diritto di voto, allora delle due l’una: o «eser­cita la sua libertà di coscienza in aula» (dove un voto in più o in meno non conta), come con­si­glia Anna Finoc­chiaro, pre­si­dente della Com­mis­sione affari costi­tu­zio­nali (alias por­ta­voce della mini­stra Boschi), oppure sarà sosti­tuito da un ren­ziano doc.
E così, secondo le leggi della nuova monar­chia (anti­co­sti­tu­zio­nale), l’incompatibile sena­tore Mineo è stato epu­rato e al suo posto imme­dia­ta­mente nomi­nato il capo-gruppo Zanda, pro­prio quello che a ogni for­za­tura ber­lu­sco­niana sban­die­rava l’articolo 67 della Costi­tu­zione sul non vin­colo di man­dato. Ma la mal­de­stra operazione-pulizia si è pre­sto tra­sfor­mata in un boo­me­rang, e da uno i ribelli sono diven­tati quat­tor­dici, tutti auto­so­spesi dal gruppo par­la­men­tare del Pd.
Con una simile osten­ta­zione di arro­ganza, il presidente-segretario ha voluto met­tere in chiaro che se in par­la­mento e nel suo par­tito qual­cuno ancora insi­ste per emen­dare il sal­vi­fico pro­getto di riforma che tutto il mondo ci invi­dia, allora scatta il «renzismo-stalinismo» (copy­right di Mineo), anche a costo di pro­ce­dere a colpi di risi­cata mag­gio­ranza, con un solo voto di dif­fe­renza in com­mis­sione. Al grido di «non ci fer­miamo» (Boschi) e sotto la ban­diera del «no al diritto di veto» (Renzi), sven­tola orgo­gliosa l’idea di que­sti neo-unti del «conta il voto degli elet­tori», di fronte al quale il par­la­mento è un resi­duato che va rapi­da­mente neu­tra­liz­zato in forza del ple­bi­scito elet­to­rale (che, in ogni caso, né ha eletto Renzi, né era con­vo­cato sulle riforme costituzionali).
Al coro degli yesmen del Pd (tra i quali molti ex alfieri della «ditta» ber­sa­niana) si sono unite voci gril­line come quella del vice­pre­si­dente della camera, Di Maio, coe­ren­te­mente plau­dente («se un mem­bro del gruppo vota in dis­senso rischiando il sabo­tag­gio con il suo voto, è giu­sto pren­dere prov­ve­di­menti»). Lim­pida sin­tesi dove il «dis­senso» diventa «sabo­tag­gio», così come il «voto» diventa «veto» se non sei con­forme alla mag­gio­ranza di par­tito. È in que­sto modo che fun­ziona la nuova poli­tica dei rot­ta­ma­tori. Anche se poi Grillo tenta una mal­de­stra difesa di Mineo tanto per dare una botta a Renzi (senza nem­meno avver­tire il povero Di Maio). Del resto che Renzi e Grillo siano più con­cor­renti che avver­sari lo abbiamo visto molto chia­ra­mente nella com­pe­ti­zione elet­to­rale con quella corsa for­sen­nata a chi era più «anti» (anti-tasse, anti-sindacati, anti-partiti …). Sem­mai biso­gna dire che la pra­tica delle espul­sioni, dopo quella dello strea­ming, Renzi l’ha copiata pro­prio dall’ex comico.
Par­tite malis­simo, que­ste riforme costi­tu­zio­nali stanno pro­se­guendo nel modo peg­giore. Già aver deciso di pro­porre come governo la riforma della Costi­tu­zione, anzi­ché lasciarla alla sua sede natu­rale, il par­la­mento, ha espo­sto la falange ren­ziana a una cri­tica larga e bla­so­nata. Ma se all’inizio si trat­tava solo di insul­tare «gufi» e «pro­fes­so­roni» ora siamo arri­vati alle espul­sioni dei sena­tori. In fin dei conti può anche capi­tare che il potere logori per­sino chi ne ha troppo.
 

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