sabato 28 giugno 2014

«L’ordine nuovo di Renzi. Autoritario, non di sinistra». Intervista a Fausto Bertinotti

 «Il centrosinistra è storia chiusa. E quella di Sel non è neanche una scissione. Il premier è un Giano bifronte: populista dall’alto e insieme bonapartista». «Le mie colpe? Tre occasioni perse». «Ho votato Ingroia e con più vicinanza la lista Tsipras, ma non credo in queste strade». «Vendola e Migliore? Non sono il loro maestro, abbiamo condiviso la stessa comunità»
28pol2-bertinottiL’avvertenza, cor­diale ma ferma, è che della poli­tica poli­ti­cante non vuole par­lare. La sente, spiega, «come cosa lon­tana, fac­cio delle rifles­sioni, le scrivo, le rileggo e capi­sco che sono pro­fon­da­mente inat­tuali». Ma Fau­sto Ber­ti­notti è la primo volto che viene in mente al com­bi­nato dispo­sto delle parole ’sini­stra’ e ’scis­sione’, ’cen­tro­si­ni­stra’. Pre­si­dente della camera dal 2006 al 2008, poi lea­der della sini­stra arco­ba­leno azze­rata dalla voca­zione mag­gio­ri­ta­ria. Ma prima segre­ta­rio dal ’94 di Rifon­da­zione comu­ni­sta, quasi per impo­si­zione del fon­da­tore Armando Cos­sutta. Quel par­tito da lì ha infi­lato una serie di scis­sioni a destra e sini­stra (anche Cos­sutta nel ’98 lo lasciò), fra soste­gno e rot­ture con i governi di cen­tro­si­ni­stra. Fino alla scis­sione della scis­sione, quella dei nostri giorni fra due uomini che gli sono stati vici­nis­simi: Nichi Ven­dola, a sua volta scis­sio­ni­sta e fon­da­tore di Sel; e Gen­naro Migliore, ora vicino al Pd ren­zi­sta. Una sto­ria, e le scelte che hanno por­tato tutta la ’sini­stra sini­stra’ fino a qui — non in con­di­zioni sma­glianti — è sto­ria di un’intera comu­nità. Lo incon­triamo al quarto piano di un bel palazzo della Camera, sede di una fon­da­zione — Cer­care ancora — che a set­tem­bre tra­slo­cherà. Tempi duri. E non solo a causa spen­ding review.
Pre­si­dente Ber­ti­notti, lei sostiene ormai da anni che la sini­stra non esi­ste più. Allora per­ché la sini­stra con­ti­nua a dividersi?
Que­sta divi­sione già dimo­stra che non c’è più. Quando c’era si chia­mava ’scis­sione’. Si poteva per­sino evo­care, lo fece Gram­sci nel ’21, ’spi­rito di scis­sione’. C’è scis­sione se c’è, lo dico con Togliatti, ’rin­no­va­mento nella con­ti­nuità’, l’idea che da un albero può spez­zarsi un un ramo e rimet­tere radici. Ma se non c’è con­ti­nuità non c’è nean­che rin­no­va­mento, e allora la divi­sione è un esodo, una fuo­riu­scita. La sto­ria della sini­stra e del movi­mento ope­raio in Europa si è chiusa in tre cicli: la scon­fitta del 900, rias­sunta nel crollo del Muro di Ber­lino; il Dopo­guerra delle costi­tu­zioni demo­cra­ti­che, dei par­titi e dei sin­da­cati di massa, che ter­mina con la scon­fitta degli anni 80. Di qui, siamo al terzo ciclo, quei par­titi si can­di­dano a gover­nare la moder­niz­za­zione. È il cen­tro­si­ni­stra, una con­di­zione ambi­gua e anfi­bia di cui in parte cir­cola ancora l’eredità. Muore sepolto dalla nascita del capi­ta­li­smo finan­zia­rio e dell’Europa reale, una tena­glia ne can­cella le ultime tracce. E i par­titi eredi com­ple­tano la loro muta­zione gene­tica. Erano i par­titi dell’alternativa di società, diven­tano i par­titi dell’alternanza di governo.
Renzi rap­pre­senta il com­pi­mento di un ciclo o una ripartenza?
Renzi è un feno­meno impor­tante. A sini­stra abbiamo un tic, non accet­tare che i nostri avver­sari siano forti. Ricor­diamo un vec­chio caro­sello con Erne­sto Calin­dri e Franco Volpi: si vedeva un aereo che volava, era la moder­nità, Volpi scuo­teva la testa e diceva: ’el dura minga’. Renzi avvia una nuova fase: l’egemonia di una cul­tura post­mo­derna e post­de­mo­cra­tica, una gigan­te­sca costru­zione ideo­lo­gica che copre come una col­tre una realtà sfran­giata e deva­stata. Renzi è il por­ta­tore natu­rale della poli­tica fun­zio­nale di que­sto nuovo ciclo, quello della gover­na­bi­lità come ele­mento tota­liz­zante. La sua Welt­an­schauung è ’vin­cere e gover­nare’, con­tro chi e per fare cosa non importa. Siamo alla morte delle fami­glie poli­ti­che euro­pee. I socia­li­sti per­dono ovun­que. E invece Renzi che socia­li­sta non è — lasciamo stare la scelta gover­na­tiva di ade­rire al Pse — non essendo socia­li­sta vince. Per­ché sce­glie la tra­sver­sa­lità. È coevo a que­sto tempo, quello che ha sosti­tuito lo scon­tro fra destra e sini­stra con quello fra l’alto e il basso che noi imper­fet­ta­mente chia­miamo popu­li­smo. E per­ché Renzi è for­tis­simo? Per­ché la sua tra­sver­sa­lità fonda il popu­li­smo dall’alto. È un Giano bifronte: per un lato popu­li­sta, per l’altro è neo­bo­na­par­ti­sta, cioè usa il popu­li­smo per pla­smare il governo dall’alto. L’esito è neau­to­ri­ta­rio: un governo che si pre­sume così, aset­tico, obbli­gato nelle scelte e privo di alter­na­tive, ’naturale’.
Eppure Renzi si pre­senta come un uomo di sini­stra. E così viene per­ce­pito da molti suoi elettori.
No, non è vero. Per­sino la sua reto­rica è accu­ra­ta­mente tra­sver­sale, tanto che può per­met­tersi alcune cita­zioni di sini­stra. Il caso più cla­mo­roso è l’adesione al Pse: i vec­chi del Pd hanno dispu­tato per anni se ade­rire o no. Era una discus­sione ridi­cola, cari­ca­tu­rale, ma le vec­chie fami­glie ancora con­flig­ge­vano. Spaz­zate via que­ste fami­glie, lui può ade­rire al Pse senza subirne il rica­sco defi­ni­to­rio. Renzi non diventa socia­li­sta, è il par­tito socia­li­sta euro­peo che diventa ren­ziano. La sua è un’uscita dalla sto­ria socia­li­sta per presa d’atto della sua con­clu­sione. Così restaura le feste dell’Unità: nes­suno può accu­sarlo di essere comu­ni­sta. Né demo­cri­stiano. È trasversale.
Que­sta tra­sver­sa­lità assorbe tutto il campo della poli­tica? A suo parere non c’è spa­zio per altro?
Alfredo Rei­chlin gli ha offerto la for­mula ’par­tito della nazione’. Ma, lo dico con rispetto, è una cita­zione del mondo antico. Il suo è il ’ par­tito del governo’. Non al governo, né di governo. La sua è una voca­zione tota­li­ta­ria in sin­to­nia con que­sto capi­ta­li­smo tota­li­ta­rio che ha l’ambizione di con­qui­stare tutti al prin­ci­pio della competitività.
Lei, negli anni 90, è stato il fon­da­tore, poi anche l’affondatore, dell’idea di una sini­stra del cen­tro­si­ni­stra. Non c’è più una sini­stra che possa ambire a una dia­let­tica con que­sta ’trasversalità’?
No, se resta nel recinto. Quel ten­ta­tivo di mesco­larsi è stato scon­fitto. Allora c’erano due sini­stre che si misu­ra­vano con la glo­ba­liz­za­zione, con due idee oppo­ste. Per capirci: gover­na­bi­lità con­tro alter­mon­dia­li­smo. Era l’ultimo sta­dio della sto­ria di quella sini­stra, e la Rifon­da­zione comu­ni­sta era l’ultima ipo­tesi revi­sio­ni­stica. Fal­lita per la scon­fitta e la muta­zione gene­tica, e per il cam­bia­mento radi­cale della scena pro­dotto dal capi­ta­li­smo finan­zia­rio globale.
Posto che i vin­ci­tori hanno sem­pre le loro colpe, quali sono le colpe degli scon­fitti, le vostre?
Le occa­sioni man­cate. In Ita­lia — e sto sulle ultime, non parto dall’XI con­gresso del Pci come farebbe Pie­tro Ingrao — sono almeno tre: lo scio­gli­mento del Pci poteva essere diverso, qual­che recri­mi­na­zione di Occhetto che chie­deva inno­va­zione nella tra­di­zione aveva nuclei di verità; lì una comu­nità si smem­bra. Seconda occa­sione man­cata, il movi­mento alter­mon­dia­li­sta, nel 2000 — 2001. Lì c’è il primo smacco del cen­tro­si­ni­stra: all’avvio della glo­ba­liz­za­zione e alla nascita dell’Europa di Maa­stri­cht nean­che il ten­ta­tivo timido ma inte­res­sante di Jospin viene soste­nuto. Il cen­tro­si­ni­stra ita­liano è tra i respon­sa­bile dell’uccisione di quel ten­ta­tivo. E noi, poco dopo, e cioè all’avvento del movi­mento alter­mon­dia­li­sta, man­chiamo l’ultima occa­sione, quella di devol­vere ciò che era rima­sto della sini­stra di alter­na­tiva in quel movimento.
Lei era già il teo­rico del par­tito a rete. Sta dicendo che avrebbe dovuto fare di più, sciogliersi?
Avremo dovuto capire che il mondo dei par­titi tra­di­zio­nali era finito. E but­tarci nel nuovo emer­gente oriz­zonte anticapitalista.
Rinun­ciando defi­ni­ti­va­mente all’idea repub­bli­cana di una moderna demo­cra­zia dei partiti?
Avremmo dovuto rein­ven­tarci. I par­titi attuali sono orga­niz­za­zioni di ceto poli­tico all’americana, che vive la sta­gione elet­to­rale per la sola rap­pre­sen­tanza nelle isti­tu­zioni. E quelli così fatti, qua­lun­que sia la loro col­lo­ca­zione, sono interni a un sistema neoau­to­ri­ta­rio in cui il governo è tutto. Per­sino Grillo che ha avuto la giu­sta intui­zione che il sistema poli­tico si abbatte e non si riforma, oggi viene cat­tu­rato dalla logica di governo, per essere pre­sen­ta­bile e per far parte del gioco politico .
Il sistema si abbatte da destra, nel caso di Grillo.
No, dal basso. Grillo è un sistema auto­ri­ta­rio che tut­ta­via dà voce al con­flitto dal basso. Così il Front di Le Pen e le for­ma­zioni popu­li­ste che inter­cet­tano il con­flitto fra popolo e élite. La sini­stra non c’è se non nasce da que­sto con­flitto. Quella che pensa di rina­scere nel recinto prenda atto che il recinto soffoca.
Nono­stante i suoi cer­ti­fi­cati di morte, lei resta vicino alla sini­stra che ci prova. Oggi a Tsi­pras, ieri a Ingroia. Lei è garan­ti­sta: per­ché soste­neva un giustizialista?
Non avevo nes­suna fasci­na­zione per Ingroia, e non credo per niente a que­ste strade. Tut­ta­via se i miei parenti ci ripro­vano non mi metto con­tro. Li voto affettuosamente.
Così anche la lista Tsipras?
Qui ho un ele­mento in più. Tsi­pras mi intriga non per la nostra vicenda ita­liana ma per­ché indica una rico­stru­zione su scala euro­pea invece che dalle pri­gioni nazionali.
Tsi­pras non cor­ri­sponde al suo modello: non è ’fuori dal recinto’. È un poli­tico capace di aprire con­fronti con la socialdemocrazia.
Mi prende su una corda sco­perta, le simi­li­tu­dini con una certa Riforn­da­zione sono evi­denti. Ma c’è una dif­fe­renza: da dove viene Syriza? Nes­suno mi dica che viene dalle for­ma­zioni pre­ce­denti alla grande rivolta. Il Syna­spi­mos, da cui viene parte di que­sto gruppo diri­gente, gua­da­gnava a fatica il 2 per cento. Syriza ora veleg­gia verso il 40. Non mi si dica che c’è una parentela.
Il Syna­spi­smos è uno dei padri, uno dei par­titi della coa­li­zione della sini­stra radi­cale greca.
Ana­gra­fi­ca­mente sì, ma Syriza è la dimo­stra­zione che la sini­stra può nascere solo dalla rivolta, non dalle costole dei vec­chi partiti.
Torno ai suoi ’parenti’ e alle loro divi­sioni. Sia Ven­dola che Migliore sono suoi allievi, il primo anche erede di una lea­der­ship, la sua, con tratti di per­so­na­li­smo. Oggi si sepa­rano, ma restano entrambi con­vinti della pos­si­bi­lità di una sini­stra del cen­tro­si­ni­stra. Come spiega la distanza dal maestro?
Non direi mae­stro, direi che abbiamo con­di­viso una stessa comu­nità. Cono­sco due modelli di lea­der­ship poli­tica: una che figlia per discen­denza diretta, quando un allievo assume tutto di un mae­stro, atteg­gia­menti fisici inclusi; e una che figlia oriz­zon­tal­mente, penso a Ingrao, Magri, Ros­sanda, i miei mae­stri. Si parva licet, nel caso di Nichi e Gen­naro rico­no­sco il tratto della mia dire­zione e qual­che scam­polo di me. Ma poli­ti­ca­mente sono molto diversi. Quanto al resto, con un gruppo di amici psi­coa­na­li­sti laca­niani sto lavo­rando a capire per­ché a sini­stra si pro­du­cono con­flitti mor­tali diver­sa­mente dalle altre sto­rie poli­ti­che. I socia­li­sti e i demo­cri­stiani fanno scelte oppo­ste ma restano affra­tel­lati. Noi defla­griamo. Quando avrò una rispo­sta le dirò meglio.
Se il treno della rivolta non passa, da noi non ci sarà più sinistra?
Ne pas­serà un altro. Inten­dia­moci, per me rivolta è rot­tura: Occupy Wall Street, indi­gna­dos, Gre­cia. Anche le pri­ma­vere arabe: forme di lotta dal basso senza par­tito e senza lea­der che costrui­scono nuove isti­tu­zioni, al di là dell’esito. L’altro fon­da­mento è la coa­li­zione sociale, le tes­si­ture extra­mer­can­tili di con­flitti, auto­no­mia, auto­ge­stione, auto­go­verno. Il rife­ri­mento è a fine 800 inizi 900: ate­lier pari­gini, Iww negli Stati uniti. Forme di con­te­sta­zione fuori dalla tra­di­zione orga­niz­zata. Oggi in Ita­lia i No Tav ma anche il Cinema Ame­rica e il Tea­tro Valle di Roma, le 160 aziende auto­ge­stite, i 200 scio­pe­ranti della Mase­rati. Rivolta è ciò che dal basso pro­muove con­flitto con­tro le élite e si mani­fe­sta come irru­zione di ener­gia e di forza.
È una rivolta nonviolenta?
Lo spero, dipen­derà dalla rea­zione delle classi diri­genti. Io credo che ci siano le con­di­zioni cul­tu­rali per­ché possa esserlo. La rivolta non è per forza maieu­tica della sini­stra. Ma è il punto di rot­tura neces­sa­rio. Come nel ’48, e in quella cosa straor­di­na­ria e magica che fu la Comune di Parigi.
Lei per primo guidò la sini­stra radi­cale nelle pri­ma­rie. Niente più pri­ma­rie ormai?
Le pri­ma­rie ave­vano un senso fin­ché era ipo­tiz­za­bile la rifor­ma­bi­lità della sini­stra poli­tica. Oggi sono fun­zio­nali all’ordine nuovo neoau­to­ri­ta­rio del par­tito del governo. La verità è che noi che era­vamo avversi al rifor­mi­smo siamo stati gli ultimi a lavo­rare per sal­varlo. E invece l’hanno ucciso. E si sono suicidati.
DANIELA PREZIOSI
da il manifesto

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