martedì 17 giugno 2014

Parte il referendum contro l’austerità e il Fiscal Compact

 
Parla l'economista Riccardo Realfonzo: «Contiamo moltissimo sul sostegno della Cgil e di tutte le forze sociali e politiche che continuano a sottolineare i danni dell'austerity. Adesso hanno una buona occasione per passare dalle chiacchiere ai fatti».

Un gruppo tra­sver­sale di eco­no­mi­sti e giu­ri­sti ha depo­si­tato in Cas­sa­zione una pro­po­sta di refe­ren­dum per modi­fi­care la riforma costi­tu­zio­nale che ha intro­dotto il pareg­gio di bilan­cio nella Costi­tu­zione ita­liana nel 2012.
«Stop auste­rità, refe­ren­dum con­tro il Fiscal Com­pact» è il nome scelto dal comi­tato refe­ren­da­rio com­po­sto, tra gli altri, da Mario Bal­das­sarri già par­la­men­tare Pdl e vice mini­stro dell’economia, dal decano degli scien­ziati delle finanze Anto­nio Pedone, dallo sta­ti­stico Nicola Pie­poli, da uno dei segre­tari gene­rali della Cgil Danilo Barbi, oltre che da Ric­cardo Real­fonzo, ordi­na­rio di eco­no­mia a Bene­vento e fon­da­tore della rivi­sta online Eco­no­mia e poli­tica.
«Vogliamo rac­co­gliere il mas­simo di ade­sioni tra le forze sociali e poli­ti­che — spiega Real­fonzo — Per­ché il refe­ren­dum si svolga nel 2015 occor­rerà tro­vare 500 mila firme entro fine set­tem­bre. Con­tiamo mol­tis­simo sul soste­gno della Cgil e di tutte le forze sociali e poli­ti­che che con­ti­nuano a sot­to­li­neare i danni dell’austerity. Adesso hanno una buona occa­sione per pas­sare dalle chiac­chiere ai fatti. Con il refe­ren­dum i cit­ta­dini potranno favo­rire l’abbandono di un approc­cio neo­li­be­ri­sta e restrit­tivo in eco­no­mia che sta met­tendo a rischio il pro­getto dell’Unione Europea».
I quat­tro que­siti pre­sen­ta­ti­ ri­spet­tano i limiti di ammis­si­bi­lità?
Per ren­dere solida la pro­po­sta i costi­tu­zio­na­li­sti che hanno lavo­rato ai que­siti, Gia­como Salerno e Paolo De Ioanna, li hanno con­cen­trati sulla legge 243 del 2012, cioè la legge ordi­na­ria con la quale è stata appli­cata la riforma costi­tu­zio­nale sca­tu­rita dalla legge costi­tu­zio­nale numero 1 del 2012. I que­siti riguar­dano le dispo­si­zioni di legge non coperte da prin­cipi costi­tu­zio­nali né da obbli­ghi deri­vanti dall’Unione euro­pea o da impe­gni assunti con trat­tati inter­na­zio­nali. Senza alcun dibat­tito pub­blico, il par­la­mento si è impe­gnato ad appli­care misure eco­no­mi­che che tec­ni­ca­mente non pos­sono essere rispet­tati. Ha accet­tato il prin­ci­pio del pareg­gio strut­tu­rale del bilan­cio e l’idea di abbat­tere il debito pub­blico al 60% del Pil in 20 anni. Ma que­sta linea di poli­tica eco­no­mica pro­lun­ghe­rebbe la reces­sione con effetti gravissimi.
Quali?
Rispon­dendo alla crisi con le poli­ti­che di auste­rità, l’Eurozona conta oggi oltre 7 milioni di disoc­cu­pati in più rispetto alla fine del 2007 e il Pil resta ancora infe­riore ad allora. In Ita­lia la disoc­cu­pa­zione è più che rad­dop­piata in que­sti anni. Da 1,5 milioni siamo arri­vati a circa 3,2 milioni di disoc­cu­pati, men­tre il valore del Pil è di 8 punti per­cen­tuali infe­riore al 2007. Vor­rei sot­to­li­neare che negli Usa il pre­si­dente Obama ha fatto l’esatto oppo­sto, met­tendo in campo una mano­vra espan­siva da 800 miliardi di dol­lari per opere pub­bli­che, sus­sidi di disoc­cu­pa­zione e incen­tivi alle imprese. Misure che hanno reso la crisi un lon­tano ricordo.
In uno stu­dio su economiaepolitica.it lei sostiene che il governo non affronta i nodi di que­sta situa­zione. Per­ché?
Nel Def pre­sen­tato ad aprile il governo con­ti­nua a muo­versi nei vin­coli del fiscal com­pact, nono­stante le posi­tive dichia­ra­zioni ini­ziali del pre­si­dente Renzi. Rispetta cioè l’equilibrio strut­tu­rale di bilan­cio e si impe­gna nell’abbattimento del debito verso il limite del 60%. Pur­troppo, si con­ti­nua a rite­nere pos­si­bile coniu­gare la cre­scita con l’austerità. Il governo pro­pone un per­corso che por­terà nel 2018 ad un avanzo pri­ma­rio, cioè la dif­fe­renza tra entrate fiscali e spesa pub­blica di scopo, al 5% del Pil. E, con­tem­po­ra­nea­mente, ritiene che nello stesso anno l’economia potrà cre­scere di circa il 2% in ter­mini reali. Ma è ormai pro­vato che è impos­si­bile coniu­gare avanzi pri­mari dell’ordine di circa 90 miliardi di euro con una cre­scita economica.
Anche per­chè quest’anno la cre­scita sarà più bassa dello 0,8% annun­ciato dal governo.
Le pro­spet­tive di cre­scita per il 2008 del Def appa­ri­vano già otti­mi­sti­che prima della con­sta­ta­zione che nei primi 3 mesi del 2014 il Pil ha con­ti­nuato a calare, rag­giun­gendo meno 0,1%. In effetti, anche le pre­vi­sioni del Fmi e della Com­mis­sione Ue, che pre­ve­dono per l’Italia una cre­scita dello 0,6%, appa­iono oggi otti­mi­sti­che. Con il qua­dro delle regole attuali, il governo potrebbe essere costretto a fare entro fine anno una mano­vra aggiun­tiva di oltre mezzo punto di Pil.
Il governo ha scam­biato fischi per fia­schi nel Def?
Dob­biamo desu­mere che Padoan creda ancora che le poli­ti­che dell’austerità espan­siva pos­sano fun­zio­nare. Ho scritto più volte che occor­reva andare oltre il vin­colo sul defi­cit al 3%.
Renzi ritiene di potere modi­fi­care i dogmi dell’austerità nel seme­stre euro­peo. È atten­di­bile?
Anche gra­zie alla spinta refe­ren­da­ria sul Fiscal Com­pact ci augu­riamo che si possa dav­vero avviare un cam­bia­mento a par­tire dal seme­stre ita­liano. Se que­sto non avverrà, le poli­ti­che di auste­rità met­te­ranno ancora più a rischio la tenuta dell’Eurozona e la stessa fidu­cia che Renzi ha saputo rac­co­gliere alle euro­pee ver­rebbe messa a dura prova. Il fatto è che biso­gna spin­gere l’Italia fuori dalla crisi, ma que­sto non si può farlo rispet­tando i vin­coli euro­pei. L’augurio è che Renzi voglia e possa tro­vare la forza poli­tica per impri­mere un cam­bia­mento, che andrebbe a bene­fi­cio non solo dell’Italia, ma dell’intera Euro­zona.
Invita anche Renzi a votare per il refe­ren­dum?
Sarebbe auspicabile.
 
di Roberto Ciccarelli, Il Manifesto

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