venerdì 5 ottobre 2012

Monti, Bersani e i conti che non tornano di Paolo Ciofi


Premesso che i ladri e i corruttori devono essere esemplarmente puniti (a cominciare da quelli che siedono in Parlamento), e che il Paese non si salva da svolte apertamente reazionarie se non si affronta alla radice la questione morale rigenerando la politica, la domanda da porre è la seguente: i recenti decreti del governo sono tali da mutare il giudizio sugli effetti depressivi della sua politica? La risposta è no. Il superesperto che siede a palazzo Chigi aveva detto di vedere la luce nel buio della crisi, ma è stato subito smentito da quel rivoluzionario che si chiama Squinzi: per la ripresa (se ci sarà) bisognerà aspettare il 2015. E anche da sé medesimo, quando ha raddoppiato la stima al ribasso del pil per il 2012.
Si ha la vaga impressione che il governo spesso dica bugie. In ogni caso, la miracolosa terapia del montismo per «efficientare» (sic!) l’Italia - tecnicamente denominata agenda Monti-, invece di risollevare il malato, lo sta spingendo con molta professionalità verso il fine vita. Mettiamoci pure il beneficio del dubbio: forse le verità improbabili di cui è costellato il percorso del suo governo, il professore le sostiene a sua insaputa come capita spesso di questi di tempi. Nel senso che ritiene di proclamare assolute verità. Ma il risultato non cambia.
Se guardiamo ai fatti, è ormai evidente che le tre prescrizioni della sua terapia, enunciate subito dopo la messa in mora del Cavaliere ormai impresentabile in società, sono svanite nel nulla. Equità e crescita rovesciate nel loro contrario. E per quanto riguarda il rigore, anche qui un buco nell’acqua: «nonostante gli aumenti discrezionali di imposte», ha precisato la Corte dei conti, adesso il governo prevede minori entrate per oltre 21 miliardi rispetto alle previsioni di aprile e un indebitamento netto superiore di 16 miliardi.
In altre parole, i guardiani dei conti, con molto garbo ma con indubbia efficacia, ci hanno detto che il supertecnico di Varese, installato a palazzo Chigi per risanare i conti, ha sbagliato calcoli e strategia. E l’esito può essere catastrofico. Non si tratta di un paradosso, tanto meno di un’uscita propagandistica di qualche irato e inconcludente sinistrorso come pensa l’assennato Casini, ma di un giudizio ponderato sulla base dell’analisi dei processi reali, che non viene scalfito dagli ultimi provvedimenti del governo.
Scrive la Corte dei conti: «Sul fronte delle prospettive economiche, rispetto all’aprile scorso il peggioramento appare assai netto e, per l’Italia, drammatico». «E ciò a causa di una manovra di bilancio che, nel breve periodo, trasmette impulsi restrittivi su una domanda interna già avvitata su una spirale depressiva». Infatti i consumi delle famiglie sono diminuiti del 3,3 per cento, a fronte di un carico fiscale che per l’80 per cento grava su lavoratori dipendenti e pensionati. Un circuito perverso che, nel momento stesso in cui deprime la crescita, peggiora l’andamento delle entrate fiscali, con effetti negativi sulla dinamica del deficit e del debito, e con una coazione a ripetere che produce una spirale senza fine.
Non ci può essere crescita se viene programmaticamente compresso il potere d’acquisto di salari e pensioni. Perciò non c’è luce nel tunnel. Tanto più che nessuno può garantire sulla validità delle previsioni del governo. Vi ricordate la cabala delle cifre annunciate pomposamente al momento del decreto Cresci Italia? «Aumento di produttività del 10 per cento e sullo stesso ordine di grandezza potrà salire il Pil». Con il consumo privato e l'occupazione in aumento dell'8 per cento, gli investimenti del 18 per cento, i salari reali di quasi il 12 per cento. Sembrava l’annuncio del Paese di Bengodi, e invece stiamo strisciando nella polvere.
Strano destino, quello del professore. Il suo percorso di capo del governo è segnato da previsioni clamorosamente errate, da annunci ingannevoli, da bugie fattuali incontestabili. Eppure gode della fiducia dei mercati, del presidente della Repubblica e dei tecnocrati di Bruxelles, di Montezemolo e Marcegaglia, di Fini e Casini, di Marchionne e di Veltroni. Come si spiega quest’ennesimo paradosso? Dopo Monti ancora Monti, insistono da più parti. In ogni caso, aggiunge qualcuno che parla a vanvera di democrazia, se non è zuppa è pan bagnato. Perché chiunque governi sarà costretto ad applicare l’agenda Monti.
In realtà, in quest’età di globalizzazione, ossia di potere pressoché assoluto del capitale su scala planetaria e di accentuati conflitti intercapitalistici, siamo in presenza di una crisi senza precedenti nella storia repubblicana, che investe la funzione dirigente dei gruppi dominanti del capitalismo italiano, come pure l’intero sistema politico democratico-costituzionale. Così, dopo aver generato il fenomeno Berlusconi, ci si aggrappa adesso al fenomeno Monti nel tentativo di uscire dalla crisi stabilizzando il potere totalitario del capitale sulle lavoratrici e i lavoratori del XXI secolo: nell’economia e nella società, nella cultura e nella politica. Siamo andati ben oltre il limite del 1992.
Perciò ripulire le stalle non basta. E neanche smontare, in Italia e in tutta Europa, il dogma della sovranità del mercato, con annessa la clamorosa bugia secondo cui il capitale alloca razionalmente le risorse: da cui deriva, sostiene Monti, la necessità di «una rigorosa attività di limitazione dei poteri pubblici con regole di mercato». Occorre smontare un altro dogma, su cui batte incessantemente il sistema padronale della comunicazione, e far emergere la verità, documentata da dati inconfutabili con destrezza occultati.
Le condizione penosa in cui è stata spinta l’ Italia non deriva dalle insostenibili pretese delle lavoratrici e dei lavoratori, e dall’alto costo del lavoro, ma - al contrario - proprio dalla svalorizzazione del lavoro e dal mito del denaro facile, diffuso per effetto di imitazione dal Cavaliere, dall’alta finanza e dal sistema dei media. Dunque, investe direttamente la responsabilità delle classi dirigenti, economiche e politiche. Non ha alcun senso affermare di voler far crescere il Paese e nello stesso tempo umiliare e colpire nei diritti e nel reddito, nella dignità stessa della persona, chi lavora o vorrebbe lavorare.
In conclusione, è fuori di ogni logica sostenere, come fa Bersani con uno sguardo molto distante dalla realtà, che l’agenda di Monti va bene con l’aggiunta di un po’ di giustizia e di socialità. Il messaggio che viene dall’attività del governo dei “tecnici” è chiaro e non ammette equivoci: per essere realisti e imboccare un sentiero che ci porti fuori dalla crisi, in Italia e in Europa, l’agenda Monti va rivoltata come un calzino. Lo grida a gran voce la realtà, la condizione in cui vivono milioni di persone in questo Paese. Lo hanno detto e ripetuto fior di premi Nobel. Adesso ce lo ha fatto sapere anche la Corte dei conti.

www.poalociofi.it

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