Quattro miliardi. Il 2 per mille del debito pubblico. Il 2,5 per
mille del PIL. Il 5 per mille della spesa pubblica. Poco più dell’8 per
mille (oh… vi ricorda qualcosa?) delle entrate fiscali. Il 4,6% della
spesa per interessi. Meno di un quinto dell’intero gettito dell’IMU. E’
questo ciò di cui parliamo quando parliamo di IMU sulla prima casa.
Se i vincoli europei non esistessero, o anche se fossero solo
minimamente razionali, considereremmo questi 4 miliardi per quel che
sono davvero: spiccioli. L’abolizione dell’IMU sulla prima casa non
sarebbe la questione capitale su cui tutti sentono di dover dire
qualcosa. Probabilmente non esisterebbe affatto.
L’irrisorietà della cifra rispetto al bilancio pubblico dovrebbe far
riflettere quanti continuano a difendere questa imposta, sia pure in
buona fede, per non dover tagliare spese sociali o aumentare la
pressione fiscale sul lavoro e le imprese. Perché invece non cogliere
l’occasione per aprire una seria riflessione sul fatto che la terza
economia dell’eurozona non può decidere di rinunciare a meno dell’1%
delle tasse? E non può, in definitiva, attuare alcuna politica
macroeconomica che non sia l’austerità?
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