Se vogliamo usare una terminologia “politicamente corretta”
dovremmo affermare che vi è una egemonia culturale di destra anche tra i
lavoratori. Se fossimo in un bar, potremmo dire che si sono
semplicemente rincoglioniti.
Fra i tanti temi per i quali anche la nostra gente parla con il
cervello del padrone (immigrati, ecc.) quello più frequente e radicato è
l’argomento “tasse”. Purtroppo anche a sinistra, spesso, si cavalcano
luoghi comuni urlando “meno tasse”. Poi, per dare un tocco
rivoluzionario si aggiunge “per il lavoro dipendente ed i pensionati”.
Nel contempo ci si dichiara paladini della difesa dello stato sociale,
una evidente e palese contraddizione, dato che lo stato sociale si
finanzia con le tasse.
Dopo questa lunga premessa, arriviamo al cuore di questa mia
riflessione che si può riassumere in questo concetto “le tasse sono
l’unico strumento di redistribuzione della ricchezza possibile nella
società capitalista”. Non a caso, il cavallo di battaglia di tutte le
destre, politiche e sociali, è “meno tasse per tutti”, che tradotto
significa “ognuno viva col proprio reddito”, nessuna solidarietà
sociale. Qui viene il vero scontro inconciliabile tra i lavoratori ed il
loro padrone. In termini forbiti è la contraddizione capitale-lavoro
che si supererà solo quando chi lavora si riappropria dei mezzi di
produzione.
Il nostro sistema economico è fondato sul furto, rappresentato
dall’appropriazione indebita che i padroni fanno di gran parte del
nostro lavoro e quindi della ricchezza prodotta da esso prodotta. Uno
slogan molto in voga contro le tasse è che lavoriamo sino a giugno per
pagarle. Beh! Ricordiamo a lorsignori che mediamente i lavoratori, se va
bene, ricevono il 10% della ricchezza che producono, il cosiddetto
costo del lavoro. Quindi, lavorano un’ora per sé e 9 ore per gli altri.
Infatti, grazie al tuo lavoro, il padrone non solo si prende il
profitto, ma si paga la infrastruttura, gli investimenti, il proprio
sistema politico ed economico che sorregge il suo potere. Con il tuo
lavoro si paga gli immobili, si paga le macchine per produrre, i capi
per controllarti e poi dice che gli investimenti sono suoi e che è
giusto che a lui vada il compenso maggiore.
In attesa del socialismo, non possiamo che lottare perché una parte
della ricchezza che produciamo e che ci viene espropriata dal padrone,
ci venga restituita attraverso il maggior numero di servizi pubblici
gratuiti. Infatti, il reddito di un lavoratore ha tre fonti di entrate:
il salario diretto, il salario indiretto o sociale, il salario
differito.
Il salario diretto ovviamente è lo stipendio. Quello indiretto sono
l’istruzione, la sanità, i servizi sociali, ecc. che, quando sono
gratuiti, danno più potere all’entrata salariale. Infine vi è il salario
differito, cioè la pensione che null’altro è che un accantonamento, od
in altre parole, un risparmio forzoso perché imposto dallo Stato che
andrò a riprendermi negli anni della vecchiaia.
I padroni sono riusciti a far passare nel pensiero comune che i
contributi previdenziali sono tasse. Balle! Sono soldi nostri che
mettiamo “in banca” per riprenderceli al termine della vita lavorativa
(con il sistema contributivo questo è anche matematicamente vero). I
padroni conoscono così bene questi tre pilastri del reddito che non
perdono occasione per attaccarli. Sono quarant’anni che FMI prima, BCE
dopo, ogni giorno escono con un comunicato che dice che per rilanciare
la (loro) economia, occorre tagliare il costo del lavoro, privatizzare i
beni e servizi pubblici, tagliare le pensioni. Come si vede, sono
esattamente sotto mentite spoglie il salario diretto, indiretto,
differito. In un solo concetto “tagliare la nostra qualità della vita a
loro favore”. Ciò spiega perché l’1% della popolazione detiene metà
della ricchezza mondiale.
Tutto ciò premesso, è demenziale chiedere il taglio delle tasse. Le
tasse vanno mantenute, aumentando la pressione fiscale sulle ricchezze
che creano disuguaglianze sociali e povertà. Il lavoro dipendente deve
fare la sua parte non chiedendone la diminuzione, ma chiedendo la
redistribuzione della ricchezza attraverso l’accesso gratuito ed
universale a tutti i servizi indispensabili al benessere dell’essere
umano.
Al contrario, l’aumento dei tickets sanitari, quello del trasporto
pubblico, il pagamento della scuola e dei servizi socio-assistenziali
valgono dieci volte sul reddito di una famiglia di qualsiasi aumento
contrattuale. La battaglia che dobbiamo condurre è impedire che i soldi
pubblici ritornino ancora una volta nelle tasche dei padroni attraverso i
finanziamenti al capitale finanziario, al capitale improduttivo, alla
corruzione, ai politici asserviti. Compito non facile. Ma anche la lotta
alla corruzione non si risolve dicendo “meno tasse per tutti”.
La privatizzazione dei servizi propugnata da alcuni paladini
dell’onestà in politica, non fa nient’altro che legalizzare
l’illegalità. Ciò che prima si chiamava tangente, dopo diviene
legalmente profitto, con la differenza che l’accesso ai servizi non sarà
più un diritto, ma selezionato in base al censo.
Le tasse sono la ricchezza dei poveri. Teniamocele, solo se esistono si può lottare per riprendersele.
Come tante altri temi accanto alla battaglia politica dobbiamo porre una rivoluzione culturale.
Prima comprendiamo come stanno effettivamente le cose, più velocemente smetteremo di dare ragione al padrone.
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