Coordinamento politico dei conflitti, obiettivi da raggiungere e costruzione del blocco sociale, stile di lavoro collettivo. Il cuore della discussione intorno a "Ross@".
****
Intervento all’assemblea di Ross@ a Bologna, 11 maggio
Bella vista da quassù, tanta gente, si capisce che c’è il potenziale…
Poi però guardo i volti e riconosco le storie; vedo cinquanta sfumature di rosso e devo prendere atto che l’unico ambito in cui – in Italia – viene applicato il principio della concorrenza, è proprio la sinistra.
Sul piano economico la concorrenza è un vantaggio per il consumatore, ma uno spreco per i produttori: troppe aziende, troppi presidenti-segretari, consigli di amministrazione, uffici stampa, pubblicitari, funzionari, impiegati… Uno spreco infinito… E proprio pochi a “fare lavoro di massa”
Alla fine se ne esce consumati. Vi suona familiare?
Ma non è mia intenzione fare alcun appello all’unità delle organizzazioni esistenti; sarebbe inutile.
E altrettanto vale per i “cartelli elettorali”, assemblaggi ormai rifiutati dal corpo sociale ed elettorale.
Questo nostro tentativo parte da una constatazione: la scomparsa della sinistra non è avvenuta per caso. lo dico come constatazione non come recriminazione. È un fatto da cui partire insomma, non più un’accusa a qualcuno di noi. Se ne potrebbero fare di altrettanto argomentate a chi è rimasto sempre fuori dai giochi. Ma non avrebbe né senso, né utilità.
Diciamo che:
È finito un modo di far politica:
È finito quel modo di far politica per cui un patrimonio di mobilitazione e organizzazione sociale, sindacale, di lotte, sacrifici, impegno, speranze, bisogni, ideali, milioni di persone in carne e ossa viene gettato su un tavolo di trattativa per tutt’altri obiettivi, che ne prescindono totalmente.
È finito quel modo di far politica caratterizzato dalla “doppiezza”, per cui si parla con una lingua agli iscritti e ai potenziali elettori e un’altra ai tavoli dello scambio politico.
È finito quel modo di far politica per cui si chiede il voto utile per sbarrare la strada a Berlusconi e poi ci si fa insieme il vecchio presidente della Repubblica, un governo e persino la riforma della Costituzione.
È finito quel modo di far politica per cui si porta la solidarietà alla Serbia bombardata mentre si partecipa al governo che la bombarda
È finito quel modo di far politica per cui si maledice in piazza la precarietà e si vota in parlamento il “pacchetto Treu”.
Se non si prende atto di questo, non si comprende quanto profonda sia la “frattura” tra classe politica in senso lato e “società”.
È la fine dell’”autonomia del politico”, per cui le scelte tattiche e strategiche del “partito poltico” vanno in una direzione che prescinde completamente dalle condizioni e sorti del blocco sociale che si rappresenta.
La vulgata oggi dominante coglie in modo volgare la fine di un modo volgare di far politica; quello per cui “il politico” fa quello che gli pare e non realizza quel che ha promesso, per pura ambizione di ricchezza e potere.
Questo modo di far politica è finito soprattutto per la sinistra; perché troppo grande la distanza tra gli ideali e gli interessi che rappresentava e i tragici risultati concreti.
A destra invece funziona: lì corrisponde al “sanfedismo” dell’imprenditore medio italiano, preoccupato di capitalizzare per sé invece che sviluppare l’azienda, di non pagare le tasse e presentare bilanci in passivo invece di fare impresa. Insomma, nessuno si scandalizza che Berlusconi si faccia i fatti suoi; anche chi lo vota è abituato a far lo stesso. Semmai lo invidia, ma “si fa così”…
Da questa situazione non se ne esce “federando” con lo scotch i gruppi dirigenti delle formazioni esistenti, ognuno ha un qualcosa da difendere che gli sembra molto anche se non è niente di rilevante. Al massimo il controllo dei propri scarsi mezzi di sostentamento delle “strutture”. Che sono ormai delle “teste” troppo grandi rispetti a corpi molto più fragili. Il “principio delle concorrenza” è economicamente dannoso, non mi ripeto…
Per questo va creato un MOVIMENTO su tutt’altre basi. Il “superamento” della frammentazione organizzativa non può avvenire in base a uno scontro “ideologico”. Può avvenire solo in base a PRATICHE che siano adeguate ai problemi sociali, e quindi anche adatte a selezionare quei “dirigenti” che siano anche “utili” alle lotte concrete esistenti.
Un movimento con i pochi obiettivi chiari, che in questo momento possono far convergere la resistenza e la lotta sociale in una sola rete nazionale d’opposizione, sia sociale che politica; rompendo quello squilibrio per cui noi facciamo le lotte e poi Grillo o chi per lui fa “da sponda politica”, con cui poi si è costretti a interagire in qualche modo
Pochi obiettivi-chiave, intorno a cui costruire il "blocco sociale" in grado di raggiungerli.
Rottura dell’Unione europea
No al presidenzialismo e alle riforme costituzionali autoritarie
Far cadere il governissimo politico e sindacale
Obiettivi che vanno comunque a raccogliere istanze e bisogni sociali, particolari, territoriali. Ma sarebbe lungo in questa sede indicare le articolazioni.
Ma come si deve procedere?
Mettendo davanti gli obiettivi e le cose da fare per raggiungerli, e sullo sfondo le beghe e persino i linguaggi ereditati da un’altra (e fallimentare) epoca.
Discutendo quel che si deve fare e facendo quel che si è deciso, mettendo fine alla “doppiezza” tra dire (promettere) e fare.
Protagonista del movimento sarà chi fa, ovvero i “delegati” espressi dal conflitto reale. Promotori e “garanti” hanno una funzione temporanea, di “avvio” e trasmissione dell’esperienza, delle competenze. Non costituiscono un “Comitato centrale” che ipoteca il futuro.
Man mano che questo avviene svanisce anche il loro compito.
Troppo complicato?
Abbiamo un esempio concreto e vincente, un format replicabile su scala nazionale, con qualche aggiustamento ma con altrettanta serietà: il movimento No Tav, la lotta della Val Susa. Parlo della “logica di movimento”, non del programma, che riguarda ovviamente un determinato territorio (anche se ha evidenti punti di contatto con tanti altri, da Vicenza a Niscemi).
In quel movimento conta prima di tutto l’obiettivo.
L’unità si fa intorno a quel che serve per raggiungerlo.
Gli scienziati hanno aiutato a inquadrare il problema a chiarire l’inutilità e la dannosità del progetto Tav; un “intellettuale collettivo” di alto livello è assolutamente necessario, ma va “incardinato” nell’analisi e nella soluzione di problemi sociali identificabili. Sia sul piano generale (l’Unione europea e le sue politiche), che su quello locale (l’Italia, gli strati sociali, i “difetti” fisiologici di un paese cresciuto male).
E un criterio. Si discute e si decide cosa fare, e poi si fa solo quello che s’è deciso, dal manifestare pacifico al violare la zona rossa; da fare assemblea a muoversi nella notte; dal tirare pietre al seguire i processi dei propri ragazzi colpiti dalla repressione. Nessuno spazio per trattative non concordate, né per colpi di testa di piccoli gruppi.
Ci può stare ognuno con le proprie idee, purché si batta concretamente per raggiungere l’obiettivo. Ci sono ex Pd, comunisti delle cinquanta sfumature di rosso, anarchici e cattolici, ex leghisti e credo anche ex democristiani
L’unità è nel conflitto per raggiungere l’obiettivo, non qualcosa da costruire prima, su basi teoriche o ideologiche, e che infatti non si raggiunge mai… I partiti, o “il partito”, è un altro gioco. Non si fa qui dentro. Ha la sua logica e naturalmente la sua legittimità indiscutibile. Qui però facciamo movimento.
Crediamo serva questo tipo di movimento politico. Il suo modo di funzionare è dato dal principio della cooperazione, non da quello della concorrenza. È un modo per mettere alla prova le idee, facendo maturare quelle che funzionano e evaporare quelle che si rivelano semplici pregiudizi.
C’è posto per tutti. Ma, come si dice negli annunci economici, “Astenersi perditempo”.
****
Intervento all’assemblea di Ross@ a Bologna, 11 maggio
Bella vista da quassù, tanta gente, si capisce che c’è il potenziale…
Poi però guardo i volti e riconosco le storie; vedo cinquanta sfumature di rosso e devo prendere atto che l’unico ambito in cui – in Italia – viene applicato il principio della concorrenza, è proprio la sinistra.
Sul piano economico la concorrenza è un vantaggio per il consumatore, ma uno spreco per i produttori: troppe aziende, troppi presidenti-segretari, consigli di amministrazione, uffici stampa, pubblicitari, funzionari, impiegati… Uno spreco infinito… E proprio pochi a “fare lavoro di massa”
Alla fine se ne esce consumati. Vi suona familiare?
Ma non è mia intenzione fare alcun appello all’unità delle organizzazioni esistenti; sarebbe inutile.
E altrettanto vale per i “cartelli elettorali”, assemblaggi ormai rifiutati dal corpo sociale ed elettorale.
Questo nostro tentativo parte da una constatazione: la scomparsa della sinistra non è avvenuta per caso. lo dico come constatazione non come recriminazione. È un fatto da cui partire insomma, non più un’accusa a qualcuno di noi. Se ne potrebbero fare di altrettanto argomentate a chi è rimasto sempre fuori dai giochi. Ma non avrebbe né senso, né utilità.
Diciamo che:
È finito un modo di far politica:
È finito quel modo di far politica per cui un patrimonio di mobilitazione e organizzazione sociale, sindacale, di lotte, sacrifici, impegno, speranze, bisogni, ideali, milioni di persone in carne e ossa viene gettato su un tavolo di trattativa per tutt’altri obiettivi, che ne prescindono totalmente.
È finito quel modo di far politica caratterizzato dalla “doppiezza”, per cui si parla con una lingua agli iscritti e ai potenziali elettori e un’altra ai tavoli dello scambio politico.
È finito quel modo di far politica per cui si chiede il voto utile per sbarrare la strada a Berlusconi e poi ci si fa insieme il vecchio presidente della Repubblica, un governo e persino la riforma della Costituzione.
È finito quel modo di far politica per cui si porta la solidarietà alla Serbia bombardata mentre si partecipa al governo che la bombarda
È finito quel modo di far politica per cui si maledice in piazza la precarietà e si vota in parlamento il “pacchetto Treu”.
Se non si prende atto di questo, non si comprende quanto profonda sia la “frattura” tra classe politica in senso lato e “società”.
È la fine dell’”autonomia del politico”, per cui le scelte tattiche e strategiche del “partito poltico” vanno in una direzione che prescinde completamente dalle condizioni e sorti del blocco sociale che si rappresenta.
La vulgata oggi dominante coglie in modo volgare la fine di un modo volgare di far politica; quello per cui “il politico” fa quello che gli pare e non realizza quel che ha promesso, per pura ambizione di ricchezza e potere.
Questo modo di far politica è finito soprattutto per la sinistra; perché troppo grande la distanza tra gli ideali e gli interessi che rappresentava e i tragici risultati concreti.
A destra invece funziona: lì corrisponde al “sanfedismo” dell’imprenditore medio italiano, preoccupato di capitalizzare per sé invece che sviluppare l’azienda, di non pagare le tasse e presentare bilanci in passivo invece di fare impresa. Insomma, nessuno si scandalizza che Berlusconi si faccia i fatti suoi; anche chi lo vota è abituato a far lo stesso. Semmai lo invidia, ma “si fa così”…
Da questa situazione non se ne esce “federando” con lo scotch i gruppi dirigenti delle formazioni esistenti, ognuno ha un qualcosa da difendere che gli sembra molto anche se non è niente di rilevante. Al massimo il controllo dei propri scarsi mezzi di sostentamento delle “strutture”. Che sono ormai delle “teste” troppo grandi rispetti a corpi molto più fragili. Il “principio delle concorrenza” è economicamente dannoso, non mi ripeto…
Per questo va creato un MOVIMENTO su tutt’altre basi. Il “superamento” della frammentazione organizzativa non può avvenire in base a uno scontro “ideologico”. Può avvenire solo in base a PRATICHE che siano adeguate ai problemi sociali, e quindi anche adatte a selezionare quei “dirigenti” che siano anche “utili” alle lotte concrete esistenti.
Un movimento con i pochi obiettivi chiari, che in questo momento possono far convergere la resistenza e la lotta sociale in una sola rete nazionale d’opposizione, sia sociale che politica; rompendo quello squilibrio per cui noi facciamo le lotte e poi Grillo o chi per lui fa “da sponda politica”, con cui poi si è costretti a interagire in qualche modo
Pochi obiettivi-chiave, intorno a cui costruire il "blocco sociale" in grado di raggiungerli.
Rottura dell’Unione europea
No al presidenzialismo e alle riforme costituzionali autoritarie
Far cadere il governissimo politico e sindacale
Obiettivi che vanno comunque a raccogliere istanze e bisogni sociali, particolari, territoriali. Ma sarebbe lungo in questa sede indicare le articolazioni.
Ma come si deve procedere?
Mettendo davanti gli obiettivi e le cose da fare per raggiungerli, e sullo sfondo le beghe e persino i linguaggi ereditati da un’altra (e fallimentare) epoca.
Discutendo quel che si deve fare e facendo quel che si è deciso, mettendo fine alla “doppiezza” tra dire (promettere) e fare.
Protagonista del movimento sarà chi fa, ovvero i “delegati” espressi dal conflitto reale. Promotori e “garanti” hanno una funzione temporanea, di “avvio” e trasmissione dell’esperienza, delle competenze. Non costituiscono un “Comitato centrale” che ipoteca il futuro.
Man mano che questo avviene svanisce anche il loro compito.
Troppo complicato?
Abbiamo un esempio concreto e vincente, un format replicabile su scala nazionale, con qualche aggiustamento ma con altrettanta serietà: il movimento No Tav, la lotta della Val Susa. Parlo della “logica di movimento”, non del programma, che riguarda ovviamente un determinato territorio (anche se ha evidenti punti di contatto con tanti altri, da Vicenza a Niscemi).
In quel movimento conta prima di tutto l’obiettivo.
L’unità si fa intorno a quel che serve per raggiungerlo.
Gli scienziati hanno aiutato a inquadrare il problema a chiarire l’inutilità e la dannosità del progetto Tav; un “intellettuale collettivo” di alto livello è assolutamente necessario, ma va “incardinato” nell’analisi e nella soluzione di problemi sociali identificabili. Sia sul piano generale (l’Unione europea e le sue politiche), che su quello locale (l’Italia, gli strati sociali, i “difetti” fisiologici di un paese cresciuto male).
E un criterio. Si discute e si decide cosa fare, e poi si fa solo quello che s’è deciso, dal manifestare pacifico al violare la zona rossa; da fare assemblea a muoversi nella notte; dal tirare pietre al seguire i processi dei propri ragazzi colpiti dalla repressione. Nessuno spazio per trattative non concordate, né per colpi di testa di piccoli gruppi.
Ci può stare ognuno con le proprie idee, purché si batta concretamente per raggiungere l’obiettivo. Ci sono ex Pd, comunisti delle cinquanta sfumature di rosso, anarchici e cattolici, ex leghisti e credo anche ex democristiani
L’unità è nel conflitto per raggiungere l’obiettivo, non qualcosa da costruire prima, su basi teoriche o ideologiche, e che infatti non si raggiunge mai… I partiti, o “il partito”, è un altro gioco. Non si fa qui dentro. Ha la sua logica e naturalmente la sua legittimità indiscutibile. Qui però facciamo movimento.
Crediamo serva questo tipo di movimento politico. Il suo modo di funzionare è dato dal principio della cooperazione, non da quello della concorrenza. È un modo per mettere alla prova le idee, facendo maturare quelle che funzionano e evaporare quelle che si rivelano semplici pregiudizi.
C’è posto per tutti. Ma, come si dice negli annunci economici, “Astenersi perditempo”.
Nessun commento:
Posta un commento