Il Presidente del Consiglio Enrico Letta ha dichiarato: «Il lavoro è il
cuore di tutto. Se noi riusciamo sul lavoro a dare dei segnali positivi
ce la faremo. Se sul lavoro non ci riusciamo, sono sicuro che non ce la
faremo». Quanto alla riforma Fornero il premier ha commentato: «In un
momento straordinario come questo è necessario un pochino meno di
rigidità. Ci sono alcuni punti che in una fase recessiva stanno creando
dei problemi come ad esempio le limitazioni sui contratti a termine, che
sono necessarie in una fase economica normale, ma che in una fase di
straordinaria recessione come quella l’attuale non sono utili, e per
questo è necessaria una minore rigidità» (fonte: Il Sole 24 Ore).
Un’argomentazione simile era stata sostenuta poco prima dal ministro del
Welfare Enrico Giovannini.
Nel giorno della festa dei lavoratori Letta dunque si accoda agli
ultimi pasdaran del liberismo, che ripetono da anni la tesi secondo cui
una maggiore precarietà dei contratti di lavoro favorirebbe l’efficienza
economica e il riassorbimento della disoccupazione. Questa tesi
tuttavia è falsa. I test contenuti negli Emplyoment Outlooks 1999 e 2004
dell’OCSE smentiscono l’esistenza di una correlazione tra riduzione
delle tutele dei lavoratori e riduzione della disoccupazione. Inoltre,
una rassegna di Tito Boeri e Jan van Ours di tredici ricerche empiriche
sul nesso tra tutele del lavoro, occupazione e disoccupazione realizzate
tra il 1988 e il 2005 da vari studiosi, rivela che solo una di esse
stabilisce che una maggiore flessibilità è correlata a una minore
disoccupazione, nove danno risultati indeterminati e tre addirittura
indicano che minori tutele del lavoro sono associate a minore
occupazione e maggiore disoccupazione (Boeri e van Jours, Economia dei
mercati del lavoro imperfetti, Egea 2009).
Ma non è finita qui. Nel 2006 Olivier Blanchard, attuale capo
economista del Fondo Monetario Internazionale, dopo una disamina dei
lavori empirici disponibili mette una pietra tombale sulla questione:
“Le differenze nei regimi di protezione del lavoro appaiono largamente
incorrelate alle differenze tra i tassi di disoccupazione dei vari
paesi” (Economic policy 2006; per approfondimenti e ulteriori
riferimenti bibliografici rinvio al volume Anti-Blanchard. Un approccio
comparato allo studio della macroeconomia, nella cui appendice
statistica è anche riprodotto, con dati aggiornati, il test OCSE
sull’incorrelazione tra tutele del lavoro e tassi di disoccupazione).
In definitiva, sugli effetti occupazionali delle tutele del lavoro
Letta dichiara tecnicamente il falso, nel senso che tenta di promuovere
una modifica della disciplina dei contratti sulla base di relazioni di
causa ed effetto che non hanno trovato adeguati riscontri nella
letteratura scientifica di questi anni. Se tale modifica verrà attuata,
sarà l’ennesimo colpo sparato su una disciplina dei contratti di lavoro
ormai ridotta a un colabrodo, che finirà al limite per accrescere
l’instabilità dell’occupazione e del monte salari, e potrebbe persino
arrivare a deprimere i loro già disastrosi andamenti medi.
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