mercoledì 9 ottobre 2013

"Giù le mani dalle (nostre) pensioni"!

"Giù le mani dalle (nostre) pensioni"!
Il Corriere della Sera corre in difesa pei pensionati... Possibile? Ma davvero? Ma come, proprio loro che da sempre incitano a tagliare il welfare a più non posso?
Tutto vero. Sul giornale di oggi appare l'articolo che qui di seguito vi proponiamo. Dice naturalmente un sacco di cose giuste, ricorda l'"evaporazione del potere d'acquisto" delle pensioni fin dalla prima "riforma" (che risale al 1992, ma non fu chiamata così), che sganciava definitivamente gli assegni dagli aumenti contrattuali delle categorie ancora in attività. Ecc.
Cos'è cambiato di recente? Solo una cosa: il ministro del "lavoro" (signora mia cosa bisogna sentir dire...) Enrico Giovannini, in un'audizione alla Camera, ha accennato a un possibile "congelamento" degli adeguamenti all'inflazione per le pensioni al di sopra dei 3.000 euro mensili. Un livello che - ad occhio - spetta o spetterà a parecchi giornalisti "di peso" all'interno delle grandi etstate italiane.
Si conferma appieno, quindi, la "vista corta" dei media mainstream nazionali. Che accettano di descrivere come "positivi" o addirittura "necessari" tutti i tagli di spesa che colpiscono la popolazione di questo paese. Ma che non proprio non riescono a sopportare di essere chiamati anche loro a pagare un (piccolo) prezzo al "risanamento" che tanto invocano.

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Lasciare stare i pensionati

Ci deve pur essere una tregua per chi, dopo anni di lavoro, aspira legittimamente al raggiungimento della pensione. Una tregua dal cambiamento che verrà: perché le riforme pensionistiche sono come le ciliegie. Una tira l’altra. Ci deve pur essere una tregua dalle continue dichiarazioni dei ministri e dei parlamentari. Una tregua dall’incertezza sull’età alla quale si avrà il diritto di lasciare il posto di lavoro. Eppure questa tregua appare un miraggio. L’incertezza previdenziale sembra una condizione necessaria per l’Italia, sempre in bilico su un deficit e un debito pubblico cronicamente eccessivi. Ma è una situazione sempre più difficile da accettare.
Certo, il vincolo dei conti ha costretto i governi a intervenire più volte sul sistema pensionistico. La riforma Fornero consentirà di risparmiare qualcosa come 93 miliardi di euro. Prima c’erano stati Amato, Dini, Maroni, Prodi: le riforme previdenziali sono state probabilmente gli interventi che più hanno consentito di tenere l’Italia a galla. E in qualche modo i pensionandi, e i pensionati, hanno il merito di aver fatto i sacrifici necessari per aiutare i conti pubblici. Ma è arrivato il momento di lasciarli, in qualche modo, stare. Di cercare altrove le risorse necessarie.

Prendiamo l’audizione tenuta ieri dal ministro del Welfare, Enrico Giovannini, alla Camera. Per le pensioni oltre sei volte l’assegno minimo, quindi pari a circa 3.000 euro lordi al mese (poco più di 2.000 netti), anche per l’anno prossimo scatterà il congelamento. Traduzione: non potranno essere indicizzate all’inflazione come invece accade per i redditi più bassi. Ricordiamo che le pensioni oltre i 1.800 euro sono già state congelate dal 2011 dal governo Monti e per ben due anni non sono state adeguate al caro vita. Il blocco di due anni, però, comporta una perdita che si ripercuote per decenni e sterilizza gli effetti moltiplicativi degli adeguamenti (non si prendono gli aumenti sugli aumenti). E bisogna anche tenere conto che dal 1992 tutte le rendite non sono più agganciate agli aumenti contrattuali dei lavoratori in attività, come avveniva nella Prima Repubblica. Ma solo all’inflazione (e in modo parziale). In vent’anni, insomma, gli assegni Inps hanno visto evaporare il loro potere d’acquisto.

E sul congelamento delle pensioni è iniziata una discussione simile a quella vista per la richiesta (poi ritirata) del Pd di reintrodurre il pagamento della prima rata Imu per gli appartamenti con rendita catastale superiore a 750 euro. Salvo poi scoprire che, in quella fascia, ci sono anche i monolocali.

Sono davvero questi i ricchi o i pensionati d’oro ai quali chiedere altri sacrifici di fronte a una spesa pubblica di 800 miliardi? Sembra proprio di no. Certo, il congelamento riguarda una parte dei pensionati, visto che circa il 50% delle rendite non supera la soglia dei mille euro mensili. Ma definirle pensioni d’oro è scorretto. E poco rispettoso per le persone che, legittimamente, con il loro lavoro, hanno versato i contributi per ricevere una pensione.

Certo, gli assegni previdenziali d’oro esistono, ma su quelli, finora, non si sono visti interventi così veloci come il percorso parlamentare che li ha introdotti. In beffa di ogni risparmio. E di ogni equità sociale. Toccarle, spiegano i tecnici, aprirebbe un contenzioso che coinvolgerebbe la Corte Costituzionale. Meglio prendersela allora con la soglia dei 3 mila euro. È più facile e i risparmi sono assicurati. E le forbici sulla spesa pubblica? Un’altra volta (forse).
dal Corriere della Sera

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