Il
recente successo della Germania si è basato sul taglio dei salari,
scrive sul Financial Times Adam Posen, presidente del Peterson Institute for
International Economics, e per la Germania la risposta politica alla crisi dell'eurozona è quella di imporre ai paesi membri di seguire la stessa strada. Ma non prendiamoci in giro, dice Posen, non è sui bassi salari che un paese avanzato dovrebbe puntare!
In primo luogo Posen riassume il modello seguito dalla Germania:
"A
partire dal 2003 il tasso di disoccupazione è calato in
conseguenza della creazione di un gran numero di lavori a basso
salario, a part-time o a orario flessibile, privi dei benefici e
delle protezioni di cui hanno goduto le precedenti generazioni del dopoguerra. La Germania oggi ha la più alta proporzione di
lavoratori sottopagati in relazione al reddito medio nazionale
dell’Europa occidentale. Lo scorso anno,
per la prima volta dopo più di dieci anni di stagnazione, i salari medi sono aumentati più
dell’inflazione e della produttività."
Ma un paese sano non dovrebbe puntare sui bassi salari:
"Idealmente, un paese sano dovrebbe essere in grado di restare competitivo attraverso la ricerca e lo sviluppo, e l’investimento
di capitali. Invece, a
partire dal 1991, in Germania gli investimenti lordi totali sono diminuiti
costantemente, dal 24% del PIL fino a meno del 18%. Il recente lavoro dell’OCSE, Economic Survey of Germany,
constata che dal 2001 gli investimenti tedeschi sono rimasti
costantemente ben al di sotto del livello delle 7 maggiori economie (e
non solo a causa delle bolle degli anni 2000 in USA e Regno
Unito). Perfino il piccolo miracolo dell’occupazione e il boom
dell’export iniziati nel 2003 non sono stati sufficienti a indurre
le imprese tedesche ad aumentare gli investimenti – e gli
investimenti in infrastrutture pubbliche sono stati persino più
scarsi."
E scarseggiano anche gli investimenti in capitale umano:
"In Canada, Francia, Giappone, Polonia, Spagna, Regno
Unito e USA, la percentuale di giovani lavoratori con un’istruzione
superiore è almeno di 10 punti superiore a quella tedesca – in
molti casi, perfino di 20 punti o più. La Germania, inoltre, è
una delle uniche 2 economie avanzate dove la percentuale di 25-34enni
con un’istruzione superiore è pari, o inferiore, a quella
della generazione precedente (l’altro paese sono gli USA). La
Germania ha rinunciato a investire nella sua università pubblica,
mentre il settore privato ha mantenuto, ma non incrementato, la
disponibilità dei suoi famosi apprendistati."
La conseguenza di questa carenza di investimenti, dice Posen, è che l’incremento di produttività registrato in
Germania è stato più basso rispetto ai suoi competitor e dunque le aziende tedesche
riescono a competere solamente riducendo i salari e dislocando le produzioni all’Est:
"Come mostrano Lawrence Edwards e Robert Lawrence del Peterson Institute nel loro nuovo libro Rising
Tide,
la percentuale dell'occupazione nel settore manifatturiero è
in declino costante in tutte le economie
avanzate da 40 anni – e la Germania non fa eccezione.
Le
sole
economie ricche dove i lavoratori del manifatturiero sono
diminuiti di meno sono Italia e Giappone, non esattamente dei motori di
crescita. Le ragioni di scambio del manifatturiero
– ossia il valore dei beni prodotti da un paese paragonato col valore
delle sue importazioni – è aumentato allo stesso ritmo per gli
USA e la Germania, fin dal 1990. Non esiste alcuna evidenza di un
particolare successo del settore manifatturiero in Germania.
Qualcuno
potrebbe
dire che la Germania sta solamente sfruttando al meglio la
situazione in cui si trovano le economie più ricche in un mondo
globalizzato – con particolare riferimento a una crescente
pressione al ribasso sui salari dei lavoratori meno specializzati. Di
sicuro, non è l’unico paese con una disuguaglianza sociale crescente e
che si trova a dover far fronte alla riluttanza
delle proprie aziende ad investire. Quest’analisi, però, nasconde
i vantaggi che si potrebbero ottenere da un approccio differente
alle riforme, in Germania e nell’area euro.
Il
basso livello di investimenti tedeschi è il risultato di grossi
problemi strutturali dell'economia, problemi che non sono
causati dall’odierno mercato del lavoro, molto più flessibile.
L’ossessione per l’export ha distratto i governanti dalla
necessità di ricapitalizzare le banche, deregolamentare il settore
dei servizi ed incentivare la riconversione industriale. Inoltre, gli investimenti pubblici in
infrastrutture, istruzione e sviluppo tecnologico potrebbero aiutare
a rendere più profittevoli gli investimenti privati, cosa che
permetterebbe una crescita accompagnata da salari più elevati.
La
dipendenza dalla domanda estera ha sottratto ai lavoratori tedeschi il loro guadagno, che avrebbero potuto risparmiare e
spendere. Essi ora dipendono dall'export per la
crescita, in un circolo vizioso che si auto-alimenta. Ancor più
importante, questa situazione significa che essi si muovono
verso il basso nella quota del valore aggiunto, non verso l'alto. La compressione dei salari non sarà una
strategia di crescita vincente per il futuro della Germania e
dell’Europa."
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