In questi giorni che precedono il referendum, la stampa eurista gronda di falsità sul popolo greco.
L'ultimo esempio che abbiamo sotto mano è quello della statistica sulla spesa pensionistica in rapporto al Pil, pubblicata stamane dal Sole 24 Ore.
Il
grafico, va da sé, vede primeggiare i pensionati ellenici, che ci
vengono presentati come dei veri privilegiati, con una spesa
pensionistica pari al 17,5% del Pil.
Già,
ma di quale Pil si parla? Ovviamente di quello decurtato del 25% dalla
recessione causata dal sistema dell'euro e dalla politica austeritaria
imposta dall'UE. Se questa decurtazione non vi fosse stata, se il Pil
fosse rimasto quello del 2010, la spesa pensionistica greca sarebbe
soltanto al 13,1%, al di sotto dell'Italia (16,6), della Francia (15,2),
dell'Austria (15,0), del Portogallo (14,8), della Danimarca (14,5) e
dell'Olanda (13,4). Ovvio che il giornale di Confindustria si guardi
bene dal minimo accenno a questo piccolo dettaglio...
Ma tante sono le falsità
che vengono dette in questi giorni per colpevolizzare i greci. Del resto
è così fin dall'inizio della crisi del debito, visto che è assai più
semplice dipingere i greci come dei fannulloni, piuttosto che indagare
le responsabilità del sistema dell'euro e di chi lo guida da Bruxelles a
Francoforte.
Per smontare queste falsità ripubblichiamo un pezzo di Vladimiro Giacchè,
uscito sul Fatto Quotidiano del 2 agosto 2011. L'articolo è vecchio di
quattro anni, ma proprio per questo è ancor più indicativo. Perché ci
dice come già allora le cose fossero chiare, perché nel frattempo la
situazione dei greci è peggiorata, perché dopo tanto tempo l'unica
politica dell'oligarchia eurista ha sempre il solito nome: sacrifici.
***
di Vladimiro Giacchè
Con
oltre un anno di ritardo rispetto a quanto sarebbe stato necessario, le
autorità europee hanno finalmente preso atto dell’inevitabilità di una
ristrutturazione almeno parziale del debito pubblico greco. Non sono
mancate note stonate: come la proposta di chiedere in pegno il
Partenone, avanzata dai finlandesi. Una proposta che fa il paio col
titolo comparso sul quotidiano tedesco Bild: “Vendete le vostre isole,
Greci bancarottieri!”. Quello dei Greci bancarottieri è soltanto uno dei
molti luoghi comuni che sono diventati popolari in Europa in questi
mesi. Vediamoli.
1.
I Greci lavorano troppo poco. Falso: prima della crisi i Greci
lavoravano in media 44,3 ore alla settimana. La media dell’Unione
Europea è di 41,7 ore, quella tedesca è di 41 ore (rilevazioni
Eurostat). Secondo la banca francese Natixis il totale delle ore
lavorate per addetto sono 2.119 in Grecia, 1.390 in Germania.
2.
I Greci sono sempre in vacanza. Falso: i lavoratori greci godono di 23
giorni di vacanza all’anno. Il record europeo è dei Tedeschi: 30 giorni.
3.
I Greci hanno stipendi troppo elevati. Falso: Il livello salariale
medio in Grecia è pari al 73% della zona euro (e un quarto dei
lavoratori greci guadagna meno di 750 euro al mese). Gli impiegati
pubblici guadagnerebbero di più dei loro omologhi europei: ma già prima
della crisi gli insegnanti, ad esempio, dopo 15 anni di servizio
guadagnavano in media il 40% in meno che in Germania (Fonte: Rosa
Luxemburg Stiftung).
4.
I Greci hanno delle pensioni d’oro, e sono tutti baby-pensionati. Falso
due volte: I lavoratori maschi vanno in pensione in media all’età di
61,9 anni. In Germania a 61,5 anni. Le presunte “pensioni d’oro”, poi,
sono queste: una media di 617 euro al mese, pari al 55% della media
della zona euro.
5.
In Grecia c’è un’eccessiva presenza dello Stato nell’economia. Falso:
Prima della crisi, tra il 2000 e il 2006, il rapporto tra spesa pubblica
e Pil era sceso dal 47% al 43% e si era sempre mantenuto al di sotto
del livello tedesco. Per non parlare della Svezia, il cui rapporto tra
spesa pubblica e Pil negli ultimi 10 anni si è sempre mantenuto tra il
51% e il 55%.
6.
I Greci hanno truccato i conti. Vero. Il deficit è sempre stato
superiore al limite del 3% previsto dal Trattato di Maastricht dal 1997
in poi. I trucchi contabili sono stati evidenti sin dal 2004. Come mai
nessuno ha fatto niente? Perché era funzionale agli interessi di
Germania e Francia (in quanto esportatori e in quanto creditori) che la
Grecia fosse nella zona euro.
7.
La Grecia non è competitiva. Vero. La Grecia ha da molti anni un forte
deficit della bilancia commerciale, che nel 2009 ha raggiunto il 14% del
prodotto interno lordo. Questo è il vero problema della Grecia. Peccato
che all’origine del problema ci sia (anche) l’euro, che ha ridotto i
rischi legati al tasso di cambio tra i Paesi europei e impedito le
svalutazioni competitive, favorendo così le importazioni di prodotti
manifatturieri dalla Germania e accentuando la specializzazione
produttiva greca in servizi non destinati all’esportazione.
8.
Il debito pubblico greco è troppo elevato. Vero. E’ passato dal 115%
del Pil del 2007 al 143% del 2010. La causa ultima è rappresentata dal
deficit della bilancia commerciale nei confronti dell’estero: quando c’è
uno squilibrio prolungato di questo genere, qualcuno deve indebitarsi;
nel caso della Grecia lo Stato. Ma l’impennata recente del debito è
dovuta in buona parte alle pressioni speculative, la cui responsabilità
grava soprattutto sulla pessima gestione della situazione da parte delle
istituzioni europee.
9.
La Grecia deve risparmiare di più. Falso. A causa delle misure di
austerità intraprese nel 2010, il reddito dei Greci si è ridotto in
media del 20%. Allora ci si può chiedere per quale motivo il debito
pubblico abbia continuato a crescere. La risposta è semplice: perché –
proprio a causa delle misure di austerity – si è avuto un crollo della
domanda interna (-18% a marzo 2011 rispetto a un anno prima), quindi
dell’economia (65mila imprese hanno fatto bancarotta), quindi anche
delle entrate fiscali per lo Stato (-1,2 miliardi di euro quest’anno
rispetto alle previsioni).
10.
Le privatizzazioni possono rappresentare una soluzione. Falso. Quando
si deve vendere per forza il prezzo lo fa chi compra e oggi è difficile
trovare compratori a prezzi non di saldo. Inoltre, quando lo Stato vende
aziende profittevoli, si priva per sempre dei relativi introiti.
Il Fatto Quotidiano, 2 agosto 2011
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