Quando
si dice ‘vuoto’ di politica non si ragiona per metafore. Di vuoto vero
si tratta. Prendete lo spettacolo dell’Assemblea Nazionale del PD, che è
stata sostanzialmente una tribuna per il discorso del Capo. Vi sembra
la rappresentazione verace di un partito nazionale? Vi sembra la
riunione di un organo di governo? A me è parsa una rappresentazione
mediatica, una passerella come quella inscenata da Renzi con la Merkel
due giorni prima del referendum greco. Un mero messaggio, un segmento
linguistico, non un fatto reale, non un consesso che doveva ‘decidere’,
consentire una dialettica, verificare una linea. Vuoto di politica,
dunque, ridotta a figurine che si muovono dinanzi a scenari di
cartapesta. Dominio della comunicazione (da avanspettacolo, purtroppo) e
degli annunci stralunati a scapito della politica-politica.
Ma
si tratta di un ‘vuoto’ anche rispetto al gran fiorire di ‘specialismi’
e di tecnicismi che oggi inondano il dibattito e le discussioni. Viene
in mente il calcio, cha da sport sanguigno è diventato un mix astratto
di finanza e spettacolarizzazione. In questo senso almeno la metafora
altrimenti abusata ‘politica-calcio’ ha un senso effettivo. La politica
ormai si è tolta di mezzo, si è scansata, mostrando dietro di sé il suo
lato economicistico, tecnocratico, iperspecialistico. L’Unione Europea è
il palco dove tutto ciò si mostra con nitida schiettezza. Ma anche i
palcoscenici nazionali non sono da meno. Questo robusto salire al
proscenio della tecnica con profonde ambizioni di comando, che cancella
conflitti e conseguenti discussioni democratiche, implica per prima cosa
una cessione di sovranità dal popolo alle élite tecniche o
burocratiche, una ‘svuotamento’ di potere a vantaggio della sua
compressione in stanze segrete (patto del nazareno) o consessi informali
(eurogruppo) o uffici (funzionari, tecnici, specialisti) o seminari di
altissimo profilo accademico dove il popolo non mette becco nonostante
si decida della sua vita e della sua morte.
Il
populismo, in fondo, nasce anche per questo ‘ritrarsi’ del potere
democratico dalla base della società sino ai gradini intermedi, per
mettersi poi al servizio di un Capo che, per comandare, deve
anestetizzare le istituzioni rappresentative, neutralizzare la politica,
prendere in pugno una élite tecnocratica che risponda solo a lui e
perda di vista i cittadini e le categorie sociali. Questo ‘groviglio’ è
l’Europa (questo groviglio stanno diventando anche gli Stati nazionali):
estrema verticalizzazione del potere (sino a raggomitolarsi in
stanzette cieche e insondabili ai più), tecnicizzazione dei linguaggi,
riduzione delle fonti di comando a quelle più informali e oligarchiche,
riduzione a ‘uno’ del pensiero, delle soluzioni, della sovranità, che
viene sottratta al ‘molteplice’ dei cittadini e delle nazioni.
L’organizzazione sostituisce la costituzione. Che fare? Be’, francamente
se il quadro è questo la risposta è semplice: lavorare esattamente per
l’obiettivo contrario. E dunque: riespandere la sovranità, diffondere
democrazia, cambiare registri linguistici, tornare alla lingua della
politica, ridistribuire partecipazione, consapevolezza, responsabilità.
Non mimare nemmeno per scherzo le forme del potere tecnocratico, quelle
che chiedono decisioni tecniche, secche, incontrovertibili, e poi
computi, calcoli, bilanci, supremazia dei tecnici, e specialisti al
posto dei politici.
La politica,
appunto. È quella cosa che senza ‘masse’, cittadini, partecipazione,
organizzazione, e senza percorsi curvilinei, labirintici, strane
lungaggini, dubbi fondamentali, ipotesi, e anche senza guizzanti
ripensamenti improvvisi non esiste. Non chiedete alla politica di
eliminare il conflitto, la lotta e persino le conversioni a U, sarebbe
già morta. Essa non ama le linearità accademiche. Né le coerenze da
laboratorio o da seminario specialistico. Né i colpi di genio. Né le
certezze dei tabulati. Il suo senso è tutto in quel mestare nel
‘torbido’ di un popolo o di un sociale che presentano infinite esigenze,
disagi, interessi, per dargli una forma (a sinistra questa ‘forma’ si
dà assumendo il punto di vista degli ultimi). Ci vuol tempo, certo, ma
quando è in gioco la sovranità non è uno scherzo, non basta un algoritmo
per quanto geniale. Attenzione al giochino delle élite, alle gazze
ladre della tecnocrazia. Oggi serve una forza politica, serve come il
pane, che non vuol dire solo ‘partito’, vuol dire proprio ‘forza’. Oggi
non ne vedo affatto. Tante chiacchiere, tanti tecnicismi, tanta
istruzione alta, ma poca politica. Pochissima.
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