La questione si pone con forza dopo la sconfitta europea di Tsipras:
lotta per far uscire il neoliberismo dall'Europa, con solidarietà e
cooperazione tra paesi diversi.
di
Paolo Bartolini.
Come essere in
vena di paradossi in un momento così tragico per la Grecia e per l'Europa
tutta? Alexis Tsipras ha dovuto capitolare, i creditori europei hanno imposto
la loro legge (quella del più forte e del più miope) e oggi in Grecia Syriza
vive una drammatica frattura.
In questi
giorni, dopo l'entusiasmo del referendum vinto dal NO, la sconfitta di Tsipras
sembra aver autorizzato molti a voltare faccia al premier greco, a dipingerlo
come un vigliacco e un opportunista.
I meccanismi proiettivi sono così,
purtroppo, oscillano tra il bianco e il nero, tra il tutto e il niente, senza
cogliere i colori intermedi di uno
spettro decisamente complesso.
Ebbene, non
abbiamo difficoltà ad ammetterlo: il piano B al quale pensava Yanis Varoufakis
forse avrebbe onorato fino in fondo il voto democratico del 5 luglio. Eppure,
chi volesse conservare insieme alla calma un po' di onestà intellettuale
ammetterebbe che Tsipras non si è fatto mai portatore della possibilità di una "grexit".
Qui i tragitti della coerenza arrivano ad un punto di divaricazione che
infrange le pretese lineari causa-effetto per entrare nel campo delle scelte
vere (quelle che puoi anche sbagliare, perché dipendono dalla libertà e da
fattori multipli). In altre parole, è
stato più coerente Tsipras con i suoi elettori o Varoufakis? A ben vedere,
se consideriamo le premesse, entrambi hanno le loro ragioni per giustificare
due linee di azione tanto diverse.
E nessuno può
sapere, ad oggi, se il piano Varoufakis avrebbe potuto evitare alla Grecia
umiliazioni altrettanto amare quanto quelle a cui stiamo assistendo.
Sospeso il
giudizio, quindi, torniamo al paradosso espresso nel nostro titolo. Quella di Tsipras è certamente una
sconfitta, non prendiamoci in giro. Ma una sconfitta che non cancella i meriti precedenti del suo Governo. La questione dei debiti sovrani è
finalmente approdata sui tavoli della politica, e alla razionalità
disincarnata del calcolo economico si sono sostituiti i più densi e concreti
rapporti di forza. È a questo livello che si è giocata la sconfitta di Tsipras,
che da solo contro tutti non ha
potuto contare su alleanze europee mirate alla rinegoziazione del debito e alla
messa in discussione delle misure di austerità.
Noi continuiamo
a credere che l'obiettivo comune, per chi abbia capito che i problemi del mondo si giocano sul piano transnazionale e su
dimensioni geopolitiche di larga scala, sia quello di creare un fronte di lotta finalizzato a far uscire il neoliberismo dall'Europa,
creando le condizioni per ristabilire rapporti di solidarietà e cooperazione
tra paesi diversi.
L'attesa di Podemos, e di altre forze 'eurocritiche'
che speriamo democratiche nei fatti e non solo nei proclami, si fa adesso più
forte proprio perché la battaglia di Tsipras è stata perduta.
Con rapporti di
forza diversi (immaginiamo forze diverse dal PPE e dal PSE che vincano in più
Stati) lo spazio giuridico oggi usurpato dall'Unione Europea non sarebbe
affatto "irriformabile", nonostante questo messaggio provenga come un mantra
dai fedeli della Troika e dalla galassia dei no-euro sovranisti (tale
consonanza di vedute dovrebbe far riflettere).
Aggiungiamo
inoltre che l'asso nella manica di una possibile uscita dall'euro, il cosiddetto 'piano B', avrebbe allora un altro
peso nella negoziazione tra Stati. Ecco perché, a nostro avviso, l'eredità di
Syriza va raccolta e trasformata, così come va onorata la stagione di dignità riaperta
dallo stesso Tsipras.
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