Non mi pare interessante né divertente partecipare al gioco di
società che già imperversa a destra e a manca sul tasso di tradimento o
di lealtà alla causa di Alexis Tsipras. Su di lui, le parole giuste le
trova secondo me Adriana Cerretelli sul Sole 24 Ore,
riconoscendogli “l’audacia della capitolazione di fronte al diktat dei
partner per salvare il suo paese dalla catastrofe incombente e il
coraggio di smentire a Bruxelles le sue promesse anti-austerità pur
sapendo di rischiare la poltrona al suo ritorno ad Atene”.
Bisognerebbe essere stati lì, nei suoi panni – anzi nella sua ormai
proverbiale giacca – e in quella situazione di estrema violenza – “waterboarding mentale”, parole del Guardian – per poterlo giudicare: e nessuno di noi era lì sotto tortura come lui.
Ci sarebbe semmai da discutere sulla sua mossa precedente, l’offerta di accordo
– quella sì incomprensibilmente docile – inviata alla troika
all’indomani del successo del no al referendum: una mossa che già
lasciava trasparire o un incauto disarmo o, viceversa, un incauto
azzardo (nel caso puntasse dritto a scambiare l’accettazione delle
riforme con la ristrutturazione del debito).
Ma su questo punto fa luce il racconto retrospettivo di Yanis
Varoufakis, chiarendo una divergenza tattica e strategica interna al
governo greco con categorie più serie di quelle del tradimento, o del
fallimento destinato dell’unico governo di sinistra esistente in Europa,
care a commentatori e politici nostrani.
"Il gioco di società serve solo a distrarre l’attenzione dalla scena
madre di questa vicenda, che resta la notte del waterboarding"
Il gioco di società serve solo, e come sempre, a distrarre
l’attenzione dalla scena madre di questa vicenda, che è, e resta,
appunto, la notte del waterboarding. Un crescendo drammatico,
per chiunque l’abbia seguito minuto per minuto, che ha squarciato ogni
velo sullo stato politico e morale dell’Unione dimostrando
definitivamente alcune cose.
La prima: nella vicenda greca il problema non è, e non è mai stato,
economico, bensì politico e, ci tornerò tra poco, morale. L’eclatante
sproporzione tra l’allarmismo per il debito greco e la ben superiore
massa di danaro bruciata in borsa senza allarme alcuno all’annuncio del
referendum era già servita a dare ragione ai premi Nobel che sull’altra
sponda dell’Atlantico considerano risibile la motivazione economica
dell’irrigidimento dell’Unione europea.
Così come i conti fatti non da Syriza ma dal Fondo monetario
internazionale sull’insostenibilità di quel debito per la fragile
economia greca avevano già reso noto al colto e all’inclita che per
salvare la Grecia non ci vuole il taglio delle pensioni e l’aumento
dell’iva ma il condono del debito medesimo.
Le ragioni dell’irrigidimento sono dunque politiche e, soprattutto,
disciplinari. Non c’è bisogno di tornare su quelle politiche, che hanno
reso immediatamente virale l’hashtag #ThisIsACoup: colpo di stato (come
quello dei colonnelli, scrive oggi Varoufakis, con le banche al posto
dei carri armati: ma non è che nel passaggio Berlusconi-Monti l’Unione
europea ci fosse andata leggera), sfregio della democrazia referendaria
(ignorata e punita) e di quella parlamentare (ridotta a mera esecutrice
del diktat tedesco), delegittimazione e tentativo di sostituzione di un
governo regolarmente eletto e reo di aver tentato politiche
antiausterità, terapia preventiva del contagio greco in Spagna domani e
chissà dove dopodomani.
"Il neoliberalismo non governa con i carrarmati, esige che i governati approvino i suoi diktat"
Per tutto questo, tuttavia, non serviva il waterboarding:
bastavano i rapporti di forza, nudi e crudi e non necessariamente
violenti, o sadici. C’è dunque un eccesso, nella scena madre di
Bruxelles, che va interrogato. Esso attiene a un’intenzione
specificamente punitiva, disciplinare e moraleggiante che non è tesa
solo a fare abbassare le penne ai giovanotti scapestrati di Atene, ma a
mostrare esemplarmente a tutti, tramite loro, che l’Europa è questa o
non è, che “l’ordoliberismo” è la religione monoteistica dell’Unione e
le cosiddette riforme sono i suoi comandamenti, che chi non li osserva
va trattato alla stregua di un infedele e che chi li osserva deve non
solo eseguirli, ma farli propri e implementarli.
Disciplinamento morale
Il passaggio parlamentare concesso e richiesto ad Atene assume da
questo punto di vista, al di là delle procedure di facciata, un
significato simbolico preciso: il neoliberalismo non governa con i
carrarmati, esige che i governati approvino, in tutti i sensi, i
suoi diktat, li interiorizzino e se ne facciano portatori; che i
debitori si sentano in colpa e si inginocchino a espiare la colpa.
L’apparato informativo che dal 2008 in poi ha reso popolare il
discorso economico prima riservato a pochi eletti, facendoci diventare
tutti esperti di tasse, pensioni, spread e derivati come tutti
diventano esperti di calcio ai Mondiali, è solo il veicolo attraverso
cui passa questo poderoso dispositivo di disciplinamento morale su cui
il neoliberalismo costruisce il suo consenso, mobilitando un’adesione
etica singolare e collettiva.
Perciò nella vicenda greca non ne va “solo” della democrazia: ne va
della nostra libertà, della nostra intelligenza, della nostra capacità
di resistere al waterboarding mentale. L’esperimento greco ha
aperto la strada. Ora spetta a tutti noi, uno per uno, una per una,
tenerla aperta, se vogliamo ancora puntare sulla costruzione europea
altrimenti destinata alla rovina.
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