Da
giovane era abitudine comprare ‘il manifesto’ o ‘Lotta continua’
assieme al ‘Corriere della Sera’. Era per capire, si diceva, anche la
posizione della ‘borghesia’. Voleva dire che da ‘Lotta continua’ e dal
‘manifesto’ poco si sapeva delle vicende del mondo, trattandosi di
giornali militanti, più impegnati a fare politica che a informare come
un qualsiasi altro quotidiano. Quando sono passato all’ ‘Unità’, 40 anni
fa, non fu più necessario acquistare un altro quotidiano, perché sul
giornale del PCI (sul mio giornale) c’erano anche le notizie, c’erano
gli inviati, c’era il lavoro di inchiesta, la cronaca, non solo il
dibattito politico. Oggi chi compra ‘l’Unità’ di Renzi deve per forza
tornare a quella vecchia abitudine: se affidasse a lei sola la propria
conoscenza dei fatti del mondo ne resterebbe quasi ignorante. Con la
differenza che ‘Lotta continua’ e ‘il manifesto’ erano comunque fogli
critici, e almeno in questo spirito critico facevano giornalismo
militante di qualità (Sofri e Pintor testimoniano quanto sto dicendo).
La
nuova ‘Unità’ è, invece, una specie di ‘depliantone’, dove si fanno
cose e si vede gente. Un tweet prolungato e stiracchiato agli estremi
delle 24 pagine. Come ha detto il direttore De Angelis, lì non troverete
l’Italia che non funziona (ergo le critiche e gli aspetti problematici
ma reali della vita) ma quella positiva, che dà speranze (i grandi
successi del governo e di Matteo Renzi). Un giornale che serve a
costruire consenso, non ad aprire ferite, dibattiti, controversie,
confronti, e insomma a essere tribuna anche di chi dice ‘no’.
La nuova
‘Unità’ è un caso quasi di scuola di come non si dovrebbe fare
giornalismo, l’antitesi del ‘cane da guardia’ anglosassone, ma anche del
quotidiano politico alla europea. Mi chiedo se sia stato rimesso in
rotativa per ‘informare’ davvero, per aprire finestre sul mondo, sulle
cose italiane, sul dibattito pubblico (finestre che mostrino tutto quel
che c’è da mostrare, non solo i successi, o presunti tali, del governo),
o solo perché andava fatto, solo perché ci serve un depliantone.
Parafrasando Fassino: ‘abbiamo un marchio’? E allora facciamoci un
giornale.’
Prendete il numero di
oggi. Se non ci fosse stato scritto ‘Unità’ avrei pensato a un foglio
aziendale Fiat. In prima pagina, ma ancor di più nel paginone centrale
c’è pubblicità gratuita Fiat (anzi FCA). L’immagine della nuova Giulia è
accompagnata da questa didascalia: “Il muso aggressivo, ecco la nuova
Giulia”. Sopra una foto notizia enorme che raffigura la squadra FCA al
completo alla presentazione della nuova vettura. Titolo: “Il sorriso
della Giulia, fanno festa gli operai”. In basso l’intervista all’operaio
speranzoso: “Finalmente si torna a lavorare davvero: comprerò casa”.
Nella colonna di destra l’ottimismo di tale Tommaso Nannicini in un
articolo sui dati dell’occupazione, mentre a fianco c’è un pezzo dove ci
si arrampica sugli specchi per spiegare che dopo la ‘crescita di
febbraio e marzo e il calo di aprile, a maggio il tasso di
disoccupazione resta invariato’. Una volta, siccome non lo facevano i
padroni, si cercava di puntare il piccolo riflettore che si aveva sui
problemi (che ci sono sempre); oggi, il riflettore resta piccolo (forse
di più), ma si punta dove GIA’ lo ha puntato Marchionne: luce su luce
insomma, mentre per l’‘Unità’ i problemi restano al buio.
In
meno spazio, ‘il manifesto’ condensa più notizie e più dibattito di
un’intera futura annata della nuova ‘Unità’, almeno a considerare le
quote attuali. Non so se avete visto ’10 in amore’, il bel film di
George Seaton. A un certo punto Clark Gable legge con la dovuta
attenzione le vecchie copie di un giornale di provincia (The Eureka, mi
pare) diretto dal padre di lei, un’insegnante di giornalismo impersonata
dalla grande Doris Day. E conclude che si tratta del giornale più mal
fatto che conosca. E poi spiega perché: non è neanche un giornale, ma un
tizio che se ne sta seduto e che chiacchiera, chiacchiera, chiacchiera.
In prima pagina, dice Gable sventolando una copia a una Doris Day
inviperita, c’è una notizia il cui unico fine è scoprire se un tizio
abbia acquistato fragole o lamponi. Tanto spazio sprecato, dice ancora
Gable, perché occupato dalle chiacchiere, e mai una notizia che mostri
l’aderenza del giornale alla realtà. E invece sono le notizie che
conquistano i lettori, non le apologie del governo; sono i lettori che
consentono di acquisire pubblicità, non gli ammiccamenti o peggio le
marchette. È come se un medico aprisse lo studio perché tanto ne
possiede uno e non sa come trascorrere le sue giornate, e non perché
intenda occuparsi davvero e primariamente della salute dei pazienti. O è
ricco di famiglia, e allora buon per lui; oppure molto presto quello
studio chiuderà.
Non si vive di sola propaganda. Non si vive solo per
provare a costruire consenso mostrando il ‘bene’ (anche presunto) del
mondo. Nuovo o non nuovo, a me pare, in fondo, sempre la stessa storia.
Con una certa insipienza in più.
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