Chi non ricorda la storia è condannato a ripeterla. L'Italia
dell'ultimo ventennio si è incaricata di sperimentare fino in fondo la
sentenza di Santayana. Pare incredibile, almeno agli italiani che hanno
conservato l'uso della memoria, di dover assistere all'ennesima replica
del grandioso dibattito sull'imminente riduzione delle tasse da parte di
un governo. In quale anno siamo? Il 2015 o il 1994?
Fare il
politico in Italia è davvero facile, nonostante la presunta ondata di
antipolitica. Siamo l'unica grande nazione dove i politici sono
giudicati per quanto promettono e non per come agiscono. Dunque, eccoci
ancora alla tenzone fra i molti pro e i pochi contro la colossale riforma del fisco annunciata che dovrebbe portare miliardi e miliardi nelle tasche degli sfiancati contribuenti. Ma davvero?
I
media sono ancora spaccati su due curve tifose, da una parte i
governativi, che giudicano il maxi sconto fiscale non solo possibile ma
semplicissimo, dall'altra gli anti governativi che lo giudicano o
impossibile o immorale. Ai secondi bisognerebbe domandare perché
giudichino immorale far pagare meno tasse al popolo più tartassato della
terra. Ai primi bisognerebbe chiedere perché mai, se ridurre le tasse
era così facile, per vent'anni tutti i governi italiani le hanno
aumentate, a costo di non essere mai una sola volta confermati alle
elezioni successive. Ma in realtà sarebbero domande inutili, perché si
tratta appunto di tifoserie e non di opinioni razionali.
Dal 1994
a oggi tutti i premier, nessuno escluso, da Berlusconi a Prodi a
Berlusconi a Letta, con l'eccezione parziale di Monti (impegno
differito), hanno promesso all'insediamento che avrebbero ridotto le
tasse "come mai nessun governo aveva fatto in precedenza". Berlusconi,
il più sfrontato, è arrivato addirittura a replicare la stessa promessa
sulle due aliquote al 23 e al 33 per cento per ben tre volte, a distanza
di molti anni, nel 1994, nel 2001 e nel 2008. Scatenando ogni volta lo
stesso dibattito cui assistiamo in questi giorni.
Il risultato concreto di tale gigantesco impegno bipartisan è stato che la pressione fiscale apparente è cresciuta in Italia dal 40 al 45 per cento,
la peggior performance in Europa, e quella reale o legale, al netto del
sommerso, ha toccato il record mondiale del 55 per cento. La reazione
normale del contribuente quindi, di fronte a un'ennesima promessa,
sarebbe di toccare ferro.
Vi sono stati naturalmente occasionali
regali fiscali, in genere alla vigilia elettorale, che poi gli italiani
avrebbero ripagato con molti interessi. La più celebre è stata
l'abolizione della tassa (Ici) sulla prima casa, da parte del governo
Berlusconi, che è durata soltanto tre anni ed è stata sostituita con la
ben più onerosa Imu dal governo Monti in poi. Non parliamo poi
dell'abolizione della tassa di successione, oggettivo favore ai
ricchissimi e di conseguenza da ascrivere alle leggi ad personam,
compensata con l'impennata di altri balzelli.
Per quanto vi possa
arrivare anche un bambino di undici anni, l'età media che i leader
italiani attribuiscono a noi cittadini, le ragioni per cui nel nostro
Paese non è possibile abbassare le tasse vengono di continuo rimosse dal
dibattito pubblico. Le due principali sono: 1) La più alta evasione
fiscale d'Europa dopo la Grecia, dai 120 ai 150 miliardi all'anno; 2)
Gli interessi da pagare sul terzo debito pubblico del pianeta, che non
solo impediscono la riduzione delle tasse, ma anche riducono
l'erogazione di servizi pubblici e di fatto annullano o quasi la
possibilità d'investimenti strategici per la crescita (istruzione,
ricerca, formazione, cultura, ecc).
Un governo serio dovrebbe
spiegare ai cittadini che l'unica possibilità di ridurre il carico
fiscale sui contribuenti risiede in una dura lotta all'evasione e/o in
una robusta ristrutturazione del debito pubblico. Matteo Renzi non
accenna neppure al gigantesco problema dell'evasione, come ha notato
qualcuno, nel timore forse di perdere i consensi della massa di elusori
ed evasori. Un timore che ha frenato, per usare un eufemismo, anche gli
slanci riformisti di Berlusconi. Tanto meno il terzo governo consecutivo
nominato da Berlino si permette di porre la questione dell'evidente
insostenibilità del debito pubblico, che ove interessasse accumula
record su record, probabilmente per colpa dei "gufi", e ha sfondato i
2200 miliardi, dopo essere cresciuto solo nell'ultimo anno di 84
miliardi, ovvero l'equivalente del piano di salvataggio della Grecia.
L'esistenza
di tali macigni sulla schiena dei contribuenti è un segreto di
Pulcinella, ben custodito dall'imbarazzante informazione italiana, ma assai presente alla stampa internazionale.
Fin tanto che un governo italiano non affronterà di petto le due
questioni, in materia di fisco assisteremo appunto a rivoluzioni di
Pulcinella. Naturalmente è ben possibile che il governo Renzi abolisca
l'anno prossimo la tassa sulla prima casa e poi si avvii a elezioni,
promettendo il resto a voto ottenuto. È un film già visto. Si replica da
vent'anni. Con successo. Per loro.
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