Un’esperienza
desolante. Certo, non è facile costruire la partecipazione, soprattutto
se in controtendenza. Ma lo spettacolo è stato desolante anche al netto
di questa considerazione.
Desolante non per il caos nella discussione, comprensibile in una vicenda allo stato nascente. E nemmeno per la cifra narcisistica di tanti interventi. Declinati in prima persona, come un’occasione di autoesibizione.
Desolante, l’assemblea romana di «Cambiare si può», tenutasi al Teatro Quirino sabato 22 dicembre, è stata per altre due ragioni.
Innanzi tutto per l’avversione isterica ai partiti e alla politica come professione. Condita con l’immancabile auto-apologia della sedicente «società civile».
Come se nella società civile non ci fosse di tutto, anche il peggio che poi inquina le istituzioni politiche.
Come se i partiti fossero tutti uguali, e non ci fossero forze politiche organizzate che tengono vive vertenze e lotte che altrimenti nemmeno decollerebbero.
Come se la politica non potesse essere un impegno totalizzante, una missione capace di assorbire ogni energia, ogni risorsa intellettuale e morale di una vita.
Con tutta la comprensione, è stupefacente – e avvilente – il grado di permeabilità di settori pur politicizzati della sinistra italiana agli impulsi più retrivi del berlusconismo.
Desolante non per il caos nella discussione, comprensibile in una vicenda allo stato nascente. E nemmeno per la cifra narcisistica di tanti interventi. Declinati in prima persona, come un’occasione di autoesibizione.
Desolante, l’assemblea romana di «Cambiare si può», tenutasi al Teatro Quirino sabato 22 dicembre, è stata per altre due ragioni.
Innanzi tutto per l’avversione isterica ai partiti e alla politica come professione. Condita con l’immancabile auto-apologia della sedicente «società civile».
Come se nella società civile non ci fosse di tutto, anche il peggio che poi inquina le istituzioni politiche.
Come se i partiti fossero tutti uguali, e non ci fossero forze politiche organizzate che tengono vive vertenze e lotte che altrimenti nemmeno decollerebbero.
Come se la politica non potesse essere un impegno totalizzante, una missione capace di assorbire ogni energia, ogni risorsa intellettuale e morale di una vita.
Con tutta la comprensione, è stupefacente – e avvilente – il grado di permeabilità di settori pur politicizzati della sinistra italiana agli impulsi più retrivi del berlusconismo.
Ma c’è di peggio.
Al Quirino è andata in scena l’ennesima replica della farsa dei soliti noti dirigenti-non-dirigenti che si auto-promuovono sul campo con la pretesa di essere incoronati a dispetto della loro fantomatica modestia.
Marco Revelli, l’homo novus del nuovo movimento, ha introdotto l’assemblea (ma guarda…) proclamando che il movimento «non ha dirigenti». Poi si è graziosamente appollaiato alla presidenza, e da lì non si è schiodato più. Fino all’ultima prepotenza, ammantata di mitezza.
L’assemblea stava andando in vacca, tra contestazioni e proteste, tra rivolte dell’assemblea e richieste di parola. Per evitarlo, i non-dirigenti si sono prontamente imposti, imponendo votazioni a raffica, improvvisate, a suon di conteggi improbabili da parte della stessa presidenza.
Perché? Per dare – guarda caso – a due non-dirigenti (lo stesso Revelli e Livio Pepino) il mandato a negoziare con gli stakeholder del costituendo polo della sinistra. Un mandato a trattare di posti in lista e di seggi, come l’ultimo spregevole politico di professione…
La cosa non scandalizza. È persino ragionevole che si eviti di vanificare un appuntamento faticosamente organizzato.
Al Quirino è andata in scena l’ennesima replica della farsa dei soliti noti dirigenti-non-dirigenti che si auto-promuovono sul campo con la pretesa di essere incoronati a dispetto della loro fantomatica modestia.
Marco Revelli, l’homo novus del nuovo movimento, ha introdotto l’assemblea (ma guarda…) proclamando che il movimento «non ha dirigenti». Poi si è graziosamente appollaiato alla presidenza, e da lì non si è schiodato più. Fino all’ultima prepotenza, ammantata di mitezza.
L’assemblea stava andando in vacca, tra contestazioni e proteste, tra rivolte dell’assemblea e richieste di parola. Per evitarlo, i non-dirigenti si sono prontamente imposti, imponendo votazioni a raffica, improvvisate, a suon di conteggi improbabili da parte della stessa presidenza.
Perché? Per dare – guarda caso – a due non-dirigenti (lo stesso Revelli e Livio Pepino) il mandato a negoziare con gli stakeholder del costituendo polo della sinistra. Un mandato a trattare di posti in lista e di seggi, come l’ultimo spregevole politico di professione…
La cosa non scandalizza. È persino ragionevole che si eviti di vanificare un appuntamento faticosamente organizzato.
Quel che deprime è la
ripetizione di un vecchio film. Uguale a se stesso da oltre quarant’anni
e sempre spacciato per nuovo. Il semprenuovo che avanza.
Quel che sconforta è la miscela di assemblearismo plebeo, democrazia diretta e arbitrio carismatico, nella migliore tradizione lottacontinuista.
Quel che ripugna è l’insistita esibizione di modestia nel momento stesso in cui ci si autoaffibbia il potere di decidere. Come l’ultimo degli Unti del Signore.
Se questa fosse la materia prima, l’impresa di ricostruire la sinistra in Italia non sarebbe soltanto disperata. Non sarebbe, forse, nemmeno augurabile.
Per fortuna non è così. Altrove – in tanti movimenti come in qualche partito – c’è serietà e c’è rispetto reciproco. C’è reale radicamento nel territorio e c’è cultura democratica. C’è modestia e c’è rispetto delle regole.
Quel che sconforta è la miscela di assemblearismo plebeo, democrazia diretta e arbitrio carismatico, nella migliore tradizione lottacontinuista.
Quel che ripugna è l’insistita esibizione di modestia nel momento stesso in cui ci si autoaffibbia il potere di decidere. Come l’ultimo degli Unti del Signore.
Se questa fosse la materia prima, l’impresa di ricostruire la sinistra in Italia non sarebbe soltanto disperata. Non sarebbe, forse, nemmeno augurabile.
Per fortuna non è così. Altrove – in tanti movimenti come in qualche partito – c’è serietà e c’è rispetto reciproco. C’è reale radicamento nel territorio e c’è cultura democratica. C’è modestia e c’è rispetto delle regole.
Quindi andiamo avanti.
Quanto a «Cambiare si può», le tante compagne e i tanti compagni che si sono sin qui impegnati nelle assemblee territoriali meritano ben altro, e auguriamo loro miglior sorte.
Ad ogni modo, niente paura. Dovesse anche, questa avventura, far poca strada, non per questo il glorioso gruppo dirigente-non-dirigente abbandonerebbe la scena.
Quanto a «Cambiare si può», le tante compagne e i tanti compagni che si sono sin qui impegnati nelle assemblee territoriali meritano ben altro, e auguriamo loro miglior sorte.
Ad ogni modo, niente paura. Dovesse anche, questa avventura, far poca strada, non per questo il glorioso gruppo dirigente-non-dirigente abbandonerebbe la scena.
Tranquilli!
Qualsiasi cosa accada, ce
lo ritroveremo ancora sulle barricate. Con generosità. Con mitezza. Con
modestia. E con l’incrollabile certezza di dirigere-senza-dirigere le
sorti della lotta.
Qualcuno un giorno parlò di «mosche cocchiere»…
Qualcuno un giorno parlò di «mosche cocchiere»…
Rosa rossa - www.esserecomunisti.it
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