A
volte la contemporaneità dei fatti ne mette in luce le profonde
relazioni, per vicinanza o per contrapposizione, che risultano
illuminanti più di tanti ragionamenti o analisi. E’ il caso di qualche
giorno fa, quando la Camera dei Deputati licenziava con una maggioranza
bulgara la proposta di legge che implementa i criteri per la
realizzazione del pareggio di bilancio già a suo tempo inserito in
Costituzione.
Strambo paese il nostro: infila il
pareggio di bilancio in Costituzione, mentre toglie dal codice penale il
falso in bilancio. Ovvero meno spesa sociale e più libertà di farla
franca per i furbetti di impresa. Allo stesso tempo Bankitalia rendeva
noto un suo recente studio sull’iniqua distribuzione della ricchezza nel
nostro paese, dal quale si poteva facilmente evincere a quali
profondità di ingiustizia e diseguaglianza sociali ci abbia condotto
l’attuale crisi economica. Eppure anziché pensare che di fronte a una
simile situazione – certificata da tutti gli istituti di analisi, oltre
che visibile a occhio nudo – bisognerebbe introdurre qualche politica
economica anticiclica che ovviamente comporta iniezione e non divieto di
spesa pubblica, ci si preoccupa di fare quadrare i conti della
ragioneria dello stato.
Tra coloro che hanno votato il
provvedimento tocca persino udire qualche strampalata giustificazione:
abbiamo votato sì, perché la proposta di legge (firmata in modo
bipartisan) contiene delle eccezioni in cui si può sforare il pareggio
di bilancio! Come diceva il saggio Wittgenstein “niente è così difficile
come non ingannare se stessi”. Eppure bisognerebbe cercare di
contenersi. L’articolo 6 della citata legge prevede che si può evitare
il pareggio in caso di gravi calamità naturali, di aggressioni alla
nazione, o in presenza di “periodi di grave recessione economica
relativi anche all’area dell’euro”. E cosa sarebbe l’attuale per i
nostri legislatori? Non siamo forse in recessione tecnica, visto che
arretriamo da due trimestri? Eppure si vorrebbe raggiungere il pareggio
di bilancio nel prossimo anno.
Chi decide allora sul grado di gravità
della crisi in base al quale matura l’eccezione? Qualche ingenuo
potrebbe pensare: la valutazione ponderata dei principali istituti
economici europei. Invece no, la legge votata alla Camera e in arrivo al
Senato, ha in serbo per noi un’ulteriore sorpresa. Infatti è ciascuna
Camera che decide e autorizza lo “scostamento” dall’obbiettivo di
pareggio e autorizza il “piano di rientro” con deliberazione adottata a
maggioranza assoluta dei suoi componenti. Questi ultimi, come è noto –
basterebbe guardare all’attuale composizione dei membri del Parlamento o
scorrere gli stenografici dei loro discorsi – sono tutti esperti
economisti, abili statistici, profondi matematici!
E’ davvero difficile immaginare un
distacco più profondo tra l’attuale classe politica e la condizione
reale della popolazione del paese. Se il dieci percento della
popolazione italiana detiene da sola il 45,9% della ricchezza, significa
che per incrementare il reddito del restante 90% non può bastare
l’iniziativa del mercato. C’è evidentemente bisogno di una profonda
riforma fiscale, tassazione patrimoniale in testa, che alleggerisca il
lavoro da un carico insopportabile e colpisca le rendite finanziarie, ma
soprattutto un incremento di buon intervento pubblico nei settori
strategici dell’economia. Pensare che questo si possa fare con i fichi
secchi, ovvero diminuendo la spesa e comprimendo il Pil, a causa della
conseguente recessione, serve solo a fare aumentare il debito pubblico,
che nel frattempo ha sfondato il muro dei 2mila miliardi.
Con tutto ciò è cominciato il tormentone
della candidatura o meno di Mario Monti, presunto eroe di un
risanamento che non c’è, se si guarda ai fondamentali dell’economia,
dati della disoccupazione in primo luogo. Che Monti sia uomo delle
elites del capitalismo europeo e internazionale non lo scopriamo da
oggi. Infatti è membro del board europeo della Trilateral Commission e
di diversi altri think thank del turbocapitalismo, lo
stesso che ha trascinato l’Europa in una crisi più lunga e grave di
quella degli anni Trenta. A lui era stato affidato il compito del
risanamento e l’obiettivo è stato palesemente mancato, con buona pace di
Napolitano. La relativa discesa dello spread deriva solo dalla
decisione della Bce di acquistare i titoli, almeno quelli fino a tre
anni, sul mercato finanziario. Ma questo effetto non durerà a lungo.
Le capacità di resistenza del nostro
paese si stanno assottigliando, così come la quantità di risparmio messo
da parte dalle famiglie. Quella candidatura, che sia semplice minaccia o
reale intenzione, ha quindi un duplice reale scopo: dare qualche forza a
un asfittico e confuso centro e spostare a destra l’asse dei
progressisti e dei democratici. Le profferte di Bersani non si contano,
così come i viaggi di Enrico Letta a Wall Street per rassicurare i
mercati. Intanto si fanno nuove primarie. Ma chiunque verrà eletto si
troverà di fronte una strada già tracciata. Cambiare si deve e se si può
bisogna guardare a quello che succede a sinistra dei progressisti. Ma
su questo tornerò la prossima volta.
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