La sanità pubblica è in ginocchio,
quindi è il momento buono per offrire alle intermediazioni finanziarie,
cioè fondi, assicurazioni e mutue un business da capogiro. A nessuno
interessa se questa intermediazione si mangerà parte delle risorse che i
cittadini dovranno sborsare, togliendo loro assistenza e, meno che mai,
che alla fine, in nome della sostenibilità finanziaria, il sistema
arriverà a costare il doppio. Il ragionamento spinto da economisti non
solo senza idee, è che l’universalismo va ridimensionato perché
incompatibile con la sostenibilità finanziaria. Come
ridimensionarlo? Semplicemente dando di
meno ai più deboli, aiutando i più forti con delle agevolazioni fiscali a
provvedere in proprio alla loro salute.
Ma che cosa è questa bestia nera
dell’universalismo? E’ una teoria della giustizia basata sul diritto
(art. 32 Costituzione) che assicura cure varie, cioè salute, per
garantire a tutti le stesse possibilità di vita. Ridiscuterlo significa
decidere la sorte di milioni di persone soprattutto di quelle più
socialmente deboli e impoverire gli altri (le assicurazioni costano
molto ed oltre certe condizioni non ti coprono i rischi di malattia).
L’universalismo, a parte la carità, è l’unica possibilità di cura per i
più deboli. I discorsi che sento in giro dicono che si tratta di mettere
insieme universalismo, selettività, priorità anche se è del tutto
evidente che si tratta di un imbroglio.
Il sistema o è universalistico o è
selettivo. Se è selettivo non è più universalistico. Se lo Stato copre
solo una parte dei bisogni che universalismo è quello che esclude ? Ma
qual è il meccanismo che con diverse sfumature sembra emergere dalla
discussione soprattutto dei partiti, nessuno escluso?
- I Lea, livelli essenziali di assistenza, uguali per tutti diventano Lepa ’livelli essenziali prioritari di assistenza’ quindi si seleziona l’essenziale per priorità;
- la copertura pubblica viene così ridotta per fare spazio ad altri soggetti erogatori (fondi, assicurazioni, mutue) che subentrano al posto dello Stato
E’ questa la nuova giustizia
distributiva? Prima di rispondere vorrei premunirmi di una teoria della
giustizia come termine di paragone. Propongo quella liberale dell’equità di Rawls. Rawls immagino avrebbe ammesso i Lepa ma li avrebbe subordinati a due condizioni:
- il più grande beneficio ai meno avvantaggiati
- eguaglianza di opportunità per tutti
Ora supponiamo che passare dai Lea ai
Lepa significhi togliere molte prestazioni che sino ad ora erano
garantite, e che ai Lepa ricorrano prevalentemente coloro che non hanno
possibilità di reddito mentre tutti gli altri si arrangeranno con i loro
mezzi. I più deboli senza le garanzie di Rawls avrebbero un minor
beneficio e quindi diseguali opportunità di cura. Per assicurare loro
il maggior beneficio bisognerebbe dare tutto quello di cui hanno
bisogno, ma i Lepa non sono più Lea e non danno tutto quello che serve.
Pari opportunità di salute significa che
al più debole bisognerebbe dare le stesse opportunità di cura del più
forte. Ma se egli accede solo ai Lepa come fa ad avere gratuitamente
pari opportunità di cura?
Per rispettare le condizioni di Rawls
bisognerebbe mantenere un sistema comunque universalistico in cui non si
dovrebbe parlare di ‘priorità’ e di ‘selettività’ ma di ‘primalità’,
cioè di qualità che non possono mancare in una buona assistenza, e di
‘discretività’, cioè differenti offerte di cura ponderate in ragione di
differenti bisogni e situazioni di cura.
Mi si obietterà ‘e la sostenibilità?A parte le 5 R (di cui ho scritto il 6 dicembre)
me la cavo con un esempio: se nel mare i pesci scarseggiano è
irrazionale aumentare le barche da pesca perché ciò esaurirebbe i pesci
come risorsa, la cosa sensata è accrescere in tutti i modi possibili i
pesci per assicurarci una pesca sostenibile.
Se nella sanità scarseggiano le risorse non ha senso aumentare i sistemi di tutela privati, perché ciò non solo distruggerebbe il sistema di welfare penalizzando i più deboli, ma impoverirebbe i cittadini costretti a far fronte individualmente alle loro spese sanitarie.
Se nella sanità scarseggiano le risorse non ha senso aumentare i sistemi di tutela privati, perché ciò non solo distruggerebbe il sistema di welfare penalizzando i più deboli, ma impoverirebbe i cittadini costretti a far fronte individualmente alle loro spese sanitarie.
Sarebbe sensato invece accrescere le
risorse che mancano per finanziare l’universalità perché solo
l’universalità permetterebbe di non impoverire le persone per ragioni
sanitarie. Come? Se non possiamo aumentare i finanziamenti alla sanità,
si possono ridurre il numero di malattie, recuperare tutte le risorse
che si sprecano, azzerare il grande costo della corruzione, dichiarare
guerra all’anti economicità facendo corrispondere ad ogni costo un
beneficio qualificato e tante altre cose.
Chiudo con una massima che ha fatto
arrabbiare quelli che Krugman ha definito “economisti per caso”: quando
non si hanno i mezzi per garantire dei diritti non bisogna cancellare i
diritti ma produrre i mezzi che li garantiscono. Questi mezzi sono già
disponibili e sono tutto ciò che è oggi la sanità pubblica, quindi
risorse, operatori, servizi, conoscenze, tecnologie, aziende, valori
ecc. Ripensarli con una bella riforma significa produrre mezzi da
mezzi. Questa per me è la sostenibilità.
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