Rispetto ai tanti incontri di “cambiare si può” che si sono tenuti in
tutta Italia, tutti quanti importanti, un significato particolare l’ha
avuto l’affollatissimo incontro - quasi cinquecento partecipanti - che
si è tenuto a Torino, non solo per il concentrato di disponibilità e di
energie che si sta raccogliendo intorno alla proposta di coalizione di
sinistra antiliberista. Quando parliamo di Torino, diciamo di un caso
paradigmatico rispetto a ciò che sta accadendo e accadrà sempre più su
scala nazionale con l’avanzare della crisi, di una realtà che presenta
molti aspetti di drammatizzazione dei problemi che sono sul tappeto:
penso al tema esplosivo della disoccupazione e della precarietà
giovanile con Torino che ha gli indici negativi più alti tra tutte le
città del Nord Italia, penso alla spinta formidabile che c’è alla
privatizzazione e allo smantellamento dei servizi pubblici, dei beni
comuni o alla realizzazione devastante di grandi opere come l’alta
velocità. Quello che deve essere chiaro è che, sul piano locale, il
centrosinistra è l’interprete più fedele di queste spinte.
Con un’aggravante, che tutto ciò avviene con un elemento di forte
separatezza tra la classe politica e di governo e ciò che si muove nella
realtà. Ho presente due titoli recenti di giornale che danno l’idea di
quanto sia grande questa separatezza. Da una parte un titolo che riporta
l’immagine arrembante che Fassino vorrebbe dare di Torino come la
“città più dinamica” d’Italia, in contemporanea sui giornali appare la
denuncia di un gruppo di maestre elementari, terribile nella sua
portata, circa la presenza a scuola di un numero crescente di bambini
denutriti che provengono da famiglie impoverite dalla crisi.
E’ proprio questo deterioramento preoccupante di quadro sociale a
dire che non basta più la testimonianza, il resistenzialismo, che il
problema è la ricostruzione di uno spazio politico, un programma,
un’iniziativa che abbia una chiara connotazione di sinistra, di alterità
alle politiche dominanti. Perché questo avvenga abbiamo bisogno di
tutte e di tutti, variamente collocati in un movimento, in
un’associazione, in un partito, chiedendo a tutti non di fare un passo
indietro ma uno in avanti sul piano dell’apertura, del confronto, della
condivisione di procedure di scelte democratiche.
Condivido quando sento dire che il nostro riferimento è il popolo del
referendum, quello vincente sull’acqua pubblica, contro il nucleare o
quello che si sta costituendo intorno alla battaglia per ripristinare
l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. A questo popolo noi tutti
apparteniamo avendo dato un contributo fondamentale per la raccolta
firme e la riuscita della campagna referendaria. Sta a noi non
disperdere la potenzialità di questo popolo
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