giovedì 2 luglio 2015

"Regime change" ad Atene, l'ultima trovata della Troika

"Regime change" ad Atene, l'ultima trovata della Troika
 
Ogni giorno la disperata resistenza greca fa venire allo scoperto un tratto più orrendo della macchina da guerra chiamata Unione Europea. Anche uno dei "padri fondatori" di questa macchina, Romano Prodi, lamenta ormai l'impossibilità di risolvere anche un "piccolo problema" - come quello greco - facendo ricorso alle "regole" che costituiscono l'unico tessuto connettivo dell'Unione. La "solidarietà tra i partner" è diventata parola proibita, valgono soltanto i "parametri di Maastricht". Ma soltanto per i membri più deboli (e infatti nessuno minaccia sanzioni contro la Germania per il suo surplus - in contrario del deficit - ampiamente superiore da anni rispetto alle "regole europee"). Segno che le regole sono "flessibili" solo per chi possiede la forza necessaria a forzarle.
Ma stabilito che tutto sta ai brutali rapporti di forza, bisogna guardare ormai in faccia la realtà. Scrive Walter Riolfi, sul confindustriale IlSole24Ore:
Non è pemsabile che Angela Merkel, gli altri leader europei e il Fmi non abbiano compreso che Atene non potrà mai rimborsare il suo debito e nemmeno sostenere l'onere degli interessi. La soluzione non può essere un accordo ponte, come quello proposto venerdì scorso, ma la cancellazione di una grossa parte di quel debito o il fallimento del paese. In ogni caso i creditori si troveranno con sensibili perdite. Ma concedere ora una ristrutturazione del debito a Tsipras significherebbe anche dar forza a tutti i partiti e i movimenti antieuro, di destra e di sinistra sparsi per l'Europa; cosa assai pericolosa in vista delle elezioni politiche spagnole di novembre".
Scriviamo le stesse cose da mesi, ma ci sembra rilevante che anche il più embedded dei giornali padronali lo dica ora con grande chiarezza: l'unico motivo per cui nessuna proposta greca può essere accolta dalla Troika è politico. "Bisogna" far fuori il governo Syriza (riformista, di sinistra, auto-contraddittorio nel pretendere di restare nelle Ue e nell'euro pur volendo farla finita con l'austerità) per impedire che altri paesi diventino delle variabili incontrollabili dai vertici della Troika. Quando ad Atene ci sarà un altro governo, obbediente e senza grilli "populisti" per la testa, allora si procederà con la ristrutturazione del debito, nella misura minore possibile, in modo da riportae la Grecia a livelli minimi di compatibilità con la baracca europea.
Tutti sanno insomma che i soldi dei debiti c'entrano fino a un certo punto, anzi, quasi nulla. Quelli dati dagli Stati membri alla Grecia perché potesse ripianare i debiti con le banche tedesche e francesi, trasferendo così il rischio insolvenza dalle banche private alle casse pubbliche, non torneranno mai indietro. Con nessun governo. Ma questo va abbattuto perché non coerente con il modello di governance fissato ormai da anni a livello comunitario. Figuriamoci se è tollerabile, nella Ue, un esecutivo che promette di alleviare le condizioni di vita delle classi più povere, di aumetare il salario minimo, di mantenere una forte presenza dell'intervento pubblico nei servizi essenziali, nel welfare, nella sanità, ecc.
Si spiega solo così la chiusura completa davanti a proposte greche sempre più deboli, sempre meno lontane da quanto imposto a colpi di diktat e di strangolamento finanziario. Ora la parola è al referendum, cui Syriza è stata di fatto costretta in parte nella speranza di aumentare il proprio peso contrattuale, in parte per mantenere - entro i limiti della pura ragione - qualcosa del proprio programma elettorale. Quindi anche della propria funzione politica.
Chiaro anche che ora quel referendum assume il ruolo dell'ordalia, il "giudizio di dio" che decide della vita e della morte di uno dei due contendenti.
O più probabilmente di entrambi. Perché una Unione Europea che pure dovesse riuscire a "spezzare le reni alla Grecia" verrebbe necessariamente inquadrata, nelle prossime ondate conflittuali scatenate dalla crisi e dalle risposte che la Ue dà alla crisi, come il vero e principale nemico politico delle classi popolari di tutto il Vecchio Continente.

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