Senza partecipazione popolare qualsiasi democrazia si trasforma in mero potere. Da qui la rivoluzione copernicana di Podemos
La vicenda della sinistra di
alternativa negli ultimi vent’anni è una vicenda di continue
frammentazioni e successivi tentativi di riaggregazione di
gruppi dirigenti. In questo panorama, la categoria di
“litigiosità” è assurta a principale canone interpretativo. In
base a questo canone, la ragione della mancanza in Italia di un
soggetto di sinistra protagonista della vita politica
è ricondotta a scelte contingenti di leadership incapaci, per
ragioni per lo più narcisistiche, di ricompattare ciò che le
infinite scissioni avevano in precedenza diviso.
“Unire la
sinistra” è il mantra ossessivamente ripetuto, specialmente in
prossimità di appuntamenti elettorali. Ma i tentativi finora
operati in questa direzione sono tutti naufragati.
Alla sinistra è mancato il popolo,
e non sarà una riaggregazione di singoli dirigenti di varia
provenienza a restituirglielo.
Nel corso della rivoluzione neo-liberale, la politica è stata ridotta nella percezione comune a mera circolazione di élite, una visione che nella pratica ha fatto breccia anche a sinistra. L’arduo lavoro di costruzione di rapporti di forza all’interno della società favorevoli alle classi subalterne è stato abbandonato, illudendosi che bastasse la sommatoria di spezzoni di ceto politico marginalizzati dall’apparato dominante a ricostruire un percorso collettivo. La sicurezza di “avere ragione” è stata smentita seccamente ad ogni veglia elettorale.
Nel corso della rivoluzione neo-liberale, la politica è stata ridotta nella percezione comune a mera circolazione di élite, una visione che nella pratica ha fatto breccia anche a sinistra. L’arduo lavoro di costruzione di rapporti di forza all’interno della società favorevoli alle classi subalterne è stato abbandonato, illudendosi che bastasse la sommatoria di spezzoni di ceto politico marginalizzati dall’apparato dominante a ricostruire un percorso collettivo. La sicurezza di “avere ragione” è stata smentita seccamente ad ogni veglia elettorale.
E’ venuta meno
quella che secondo Ernesto Laclau è l’operazione politica per
eccellenza, e cioè la “creazione del popolo”. Che in questo
consistesse la politica lo sapeva benissimo Palmiro Togliatti,
quando si dedicò all’opera di costruzione del “partito nuovo”, in essa
facendo convogliare l’intero movimento delle masse subalterne. Ed
ai primi scricchiolii di quella costruzione, nella seconda metà degli
anni Sessanta, la sinistra politica e sindacale seppe
ridefinirsi: anche la stagione aperta dall’”autunno caldo” fu un
mirabile esempio di “costruzione del popolo”.
La destra tardò ad elaborare una
risposta in termini di contesa dell’egemonia al blocco storico
forgiato dalle lotte operaie e popolari, ma negli anni Ottanta mise
sul tavolo una serie di ricette autonome destinate a prendere via via
maggior campo. Cosa fu il referendum sulla scala mobile, se non
l’atto culminante, catalizzatore, di un processo di creazione di
un “popolo”, di un blocco storico che a trent’anni di distanza non ha
ancora perduto la sua presa egemonica? Gli eredi di quella
sconfitta, invece, hanno oscillato tra l’accettazione supina delle
parole d’ordine dell’avversario e la gestione della continua erosione
della propria base sociale, fino alla sua estinzione. Da qui, più che
dai personalismi ed i narcisismi, pare derivare l’attuale
pullulare delle micro-organizzazioni della sinistra politica.
Insomma: il tema del nostro tempo non
è la scomparsa della sinistra. La troviamo declinata in molteplici
forme, ognuna orgogliosa della propria diversità e sicura di essere
la “giusta” sinistra. Il tema del nostro tempo è la scomparsa del
popolo. Scomparso dalle istituzioni, ormai prese in ostaggio ad ogni
livello da notabili e burocrati. Scomparso dalle urne, con un tasso
di astensione che esclude dal processo democratico quasi la metà
degli aventi diritto. Scomparso, soprattutto, dalla gestione del
potere.
Ma non può esistere una democrazia
senza popolo: dietro alle apparenze e alle formalità, senza
controllo e partecipazione popolare qualsiasi democrazia si
trasforma in mero “potere” coercitivo, da altri esercitato.
E’
quello che sta accadendo in Europa, dove la democrazia moderna
è stata per la prima volta concepita e sperimentata. Quote di
potere sempre più larghe sono state sequestrate ai popoli da parte di
istituzioni finanziarie ed oligarchiche, mentre la politica si
accontenta di amministrare il resto — spesso piegandosi anche in
quel frangente ad élite economiche minori, ma non diverse per
ideologia e interessi da quelle che dirigono le istituzioni
comunitarie.
E mentre noi litigavamo per la
titolarità della “sinistra”, sempre meno persone riuscivano
a comprenderne la sua natura più profonda: quella del suo legame
intimo con la rappresentanza e gli interessi della gente comune.
Oggi la nostra società sta attraversando una veloce transizione
verso una vera e propria depoliticizzazione di massa. Riemergono
forme di espressione del disagio sociale tipiche dell’epoca moderna,
come le grandi jacquerie che ciclicamente infiammano le
periferie delle metropoli europee. Fuori dai nostri circoli
iper-politicizzati di reduci e appassionati di esperienze del
passato, la parola “sinistra” significa ancora qualcosa per una
parte sempre più residuale e marginale della società. Una parte
sempre più anziana e destinata presto ad estinguersi per mancanza
di ricambio.
Pensare quindi di affrontare questa
situazione solo richiamandosi all’unità della sinistra, alla sua
simbologia, alla sua storia e alla sua tradizione vuol dire non
rendersi conto di quale sia il problema che ci si pone davanti.
Significa, ad esempio, non aver capito nulla dell’insegnamento che ci
arriva dalla Spagna — dove un gruppo “di sinistra” è riuscito
a creare un movimento popolare di portata storica compiendo una
rivoluzione copernicana nel proprio linguaggio, nella propria
simbologia, nella propria agenda politica.
Il punto di partenza, oggi, non può che
essere la ricostruzione del popolo. Solo un progetto politico che
abbia come obiettivo il dare alle classi subalterne uno strumento di
partecipazione e di riscossa è destinato ad avere successo e ad
invertire le politiche economiche e sociali attualmente egemoni.
E’ una cosa “di sinistra” questa? Sì, certo. Bisogna essere “di
sinistra” per contribuire a realizzarla? No, basta essere dalla
parte del popolo.
Tommaso Nencioni, Stefano Poggi - il manifesto
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