domenica 2 dicembre 2012

Non voto alle primarie. Sono una gara di balestrieri di Ascanio Celestini, Pubblico giornale


Non ce la faccio ad appassionarmi alle primarie, non ci riesco proprio. Non mi stanno nemmeno antipatici i candidati. Non sono uno di quelli che si lamentano per lo spreco di soldi. Forse ne hanno persino guadagnati o se ne hanno persi l’hanno fatto perché era indispensabile. Per fare pubblicità si deve spendere molto, ma se funziona si venderà tanto. Ho cercato di seguirle. Non ho votato, ma ho provato ad immaginare che fossero un fenomeno interessante. Anzi addirittura una novità e persino un atto democratico. Ma non ci sono riuscito. Più ci penso e più mi sembrano vecchie. Un gioco divertente che però abbiamo già visto. Qualcosa di simile alle gare di tiro a segno con la balestra. Ci stanno i balestrieri con gli abiti medievali e la corte su un palchetto che segue lo spettacolo. Ci sono il principe e la principessa su due tronetti e i nobili della corte che sorridono bonariamente. C’è il banditore che legge una pergamena e il buffone che fa le boccacce, i saltimbanco che sghignazzano e i trombettieri che danno il via alla competizione con un sonoro squillo. Tu li guardi e ti sembrano veri. Anzi sono proprio veri, sono in carne e ossa, colorati come nei quadri degli Uffizi, hanno i pennacchi di vere piume di fagiano. Sono veri, ma non lo sono. Recitano. Giocano. Il principe non è un principe, ma il figlio del macellaio del paese che studia nella capitale e si mantiene facendo il barista. La principessa è davvero la sua fidanzata, ma non è nobile e non le importa di esserlo. Non vanno in carrozza, ma in motorino. I trombettieri suonano nella banda del paese e magari uno c’ha pure un quartetto jazz. Il banditore è un pensionato delle poste con una moglie scorbutica e un figlio geometra del comune. Il buffone è veramente un attore, perciò è il più vero e più finto di tutti. Lui finge per mestiere, è Amleto in calzamaglia col teschio in mano e Otello con la faccia sporca di nero, ma anche un camorrista per una fiction televisiva e un simpatico droghiere in una pubblicità di prosciutti. Gli spettatori sono vestiti normali. Hanno indosso gli abiti che mettono tutti i giorni in quella stagione. Hanno occhiali scuri e gonne corte, telefoni cellulari che fanno filmini e con una pasticca si curano malattie che nel rinascimento erano mortali. Fanno fotografie controllando l’orologio perché hanno pagato il parcheggio fino alle tredici e ventiquattro o perché hanno la prenotazione in qualche ristorante. Alla fine della gara molti andranno nelle vecchie osterie allestite per l’evento. Si mangerà la zuppa di farro e il cinghiale in locali chiamati “la vecchia po s t a ” e “la selva oscura”. Tra un pezzo di pecorino di fossa e un salamino di petto d’oca qualcuno suonerà la ghironda o l’arciliuto e alla fine un ciccione vestito da frate servirà l’amaro trappista. Tornando verso l’albergo i turisti attraverseranno strade sulle quali è stata buttata la paglia per nascondere il catrame. L’assessore allo sport, cultura, ambiente con delega speciale alla cura della sagra paesana ha fatto spegnere i lampioni illuminando le strade con le fiaccole e anche i cartelli stradali sono stati coperti da sacchi di iuta. Domani la vacanza finisce e dello spettacolo resteranno molte fotografie che si andranno a perdere in mezzo ai file del computer, un portacenere con il disegno di una piccola balestra da regalare ai nonni e una grossa puntura di ape su una coscia souvenir di una bella passeggiata al fiume. Tutto molto divertente, ma evidentemente vecchio e finto. Una cosa non è nuova solo perché è nata da poco. La ruota rotonda è una tecnologia antichissima, ma nemmeno a Marchionne verrebbe in mente di fare la Punto con le ruote quadrate. Le primarie sono una mezza novità, ma esprimono una maniera vecchia di pensare la politica. Sono fondate sulla delega. Ti dicono «votami e poi lasciami lavorare », ti ricordano che il tuo unico potere consiste nel dare il potere a loro, che tu non sarai mai in grado di fare ciò che loro fanno in maniera professionale. Il popolo è un bambino, ma nella democrazia della delega ha il diritto di scegliersi la mamma e il papà. Questo non significa che potrà decidere in quale casa andare a vivere o in quale posto andare in vacanza. Potrà provarci. Sarà ascoltato in merito all’acquisto della bicicletta, ma se la mamma insiste dovrà finirsi tutto il piatto di broccoli. In merito ad alcune dichiarazioni ci sarebbe molto da dire, ma sarebbe come commentare la gara dei balestrieri. Certo che quel gruppetto di politici se ne sono andati in giro per l’Italia vantandosi di averla attraversata tutta, ma si sono scordati che ognuno di loro aveva una responsabilità che ha messo da parte. Se un sindaco o governatore se ne va in giro a parlare di politica nazionale, chi ci sta nel suo ufficio a governare la città o la regione? È come se dicessero che la politica nazionale è comunque più importante e questa giustificazione deve bastare. In fondo Renzi l’ha detto che se perde torna a fare il sindaco. Come se fare il sindaco di Firenze fosse un ripiego. Come se stasera agli spettatori del teatro dove lavoro io dicessi «visto che non mi fanno fare una trasmissione in prima serata, sono venuto da voi». La novità è un’altra. È nella partecipazione attiva, nella democrazia diretta, nell’autorganizzazione che si sperimenta nelle centinaia di assemblee e presidi dalla Valle di Susa allo stretto di Messina. È difficile arrivarci. Ci vogliono un po’ di anni e tanta coscienza, ma vale la pena mettersi in marcia invece di sedersi sulla panchina della delega come pensionati della democrazia.

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