E
se fosse la Grecia a salvare l’Europa? Dopo tanto chiacchiericcio e
terrorismo sulla necessità o sull’impossibilità di salvare la Grecia, di
tenerla o cacciarla dall’euro, forse una risposta politica alla crisi
dell’euro può partire proprio dal paese economicamente e politicamente
più in difficoltà. Si è molto discusso nei mesi passati se la Germania
volesse uscire dall’euro o se volesse forzare l’uscita dei paesi
mediterranei. Può darsi che ci siano alcune componenti del governo
tedesco che lo desiderano. Ma la sensazione è che la Germania voglia
davvero una maggiore unificazione europea. Il punto è che questo governo
di destra pensa all’unificazione europea come la fece la Prussia nei
confronti degli Stati tedeschi del sud, dopo il 1870. In questo quadro
la durezza verso la Grecia è stata l’occasione per mettere alla prova
questa linea.
Il punto di partenza è l’esportazione in tutti i paesi dell’euro della rigorosa politica anti-inflazionistica tedesca attraverso l’imposizione dell’assoluto rigore fiscale. Che in una struttura unitaria gli Stati debbano rinunciare all’autonomia fiscale è ovvio, ma il punto è che qui si sta invertendo l’ordine dei fattori: invece che prima l’unità, con le istituzioni corrispondenti, si propone non solo pareggi di bilancio ma anche cessione di sovranità fiscale prima dell’unificazione. Per di più, in un momento già con tendenze recessive, questo non può che produrre una grave recessione in Europa. Questa strategia ha l’effetto collaterale non irrilevante di mettere in sicurezza il ruolo di capo-filiera dell’export europeo per l’industria tedesca, ridisegnando l’economia europea come subfornitrice della Germania. Ciò richiede, lungo la filiera, un taglio di salari diretti e indiretti, che permettesse al suo vertice, le imprese tedesche, di mantenere margini di profitto. Su questo, da Draghi a Monti, non vi era dissenso.
Inoltre, ciò richiede una politica monetaria europea che funzioni come servomeccanismo di quella interna tedesca. Una politica monetaria che si occupi solo dell’inflazione, mentre tutte le funzioni di governo dell’economia europea sono avocate alla politica fiscale sotto rigoroso controllo tedesco. Così era stata disegnata la Bce, come una specie di banca centrale di un sistema aureo di nuovo tipo, dove l’oro è sostituito dall’euro come moneta su cui gli stati non debbono avere nessuna possibilità di influire. Le difficoltà create dalla posizione debitoria degli stati mediterranei, sia nei confronti della Bundesbank, sia nei confronti dei mercati – il cui segnale è l’esplosione degli spread – hanno forse fatto pensare che questo era il momento dell’affondo. La Grecia ne è stato il banco di prova. Ma sono stati fatti due errori: il primo è che la linea di austerità provoca effetti recessivi più elevati di quelli previsti, e ciò introduce elementi di instabilità politica difficili da controllare. Inoltre, la previsione era che l’economia tedesca sarebbe stata immune dalla recessione europea, ma il rallentamento anche dei paesi emergenti ha messo in difficoltà questa linea. L’avallo del governo Merkel alle richieste dei sindacati tedeschi di aumenti salariali è un chiaro segno del ripiegamento sullo stimolo della domanda interna, politica negata agli altri paesi europei.
Il secondo errore è che, come la storia insegna, una gestione rigida dei sistemi monetari in tempi di crisi provoca la loro esplosione. Fu così nel 1931 quando molti paesi europei dovettero abbandonare il gold standard. Anche adesso, la pretesa della Germania di minimizzare gli interventi di sostegno finanziario ai debiti sovrani e ai sistemi bancari in difficoltà sta accelerando la crisi. L’austerità, invece di rassicurare i mercati, li sta allarmando ulteriormente. Le dichiarazioni ripetute contro i salvataggi hanno distrutto la credibilità dell’euro come moneta comune.
Questa situazione ha reso necessario l’intervento della Bce ben oltre i limiti desiderati dalla Germania. Le misure del Governatore Draghi di assicurare credito illimitato alle banche, con l’obiettivo di sostenere indirettamente i debiti sovrani, avevano l’obiettivo di impedire il collasso finanziario europeo. I limiti della misura di dicembre e la crisi bancaria spagnola incombente hanno portato Draghi a un’uscita sovversiva: unificazione bancaria significa che le banche tedesche debbano essere controllate da un’autorità sovranazionale e che la politica della banca centrale debba rispondere alla necessità di stabilità dell’eurozona e non dagli obiettivi di politica monetaria tedesca. Su questo punto, la linea Draghi e le esigenze elettorali di Obama si scontrano con la strategia tedesca del governo economico dell’Europa esclusivamente via austerità fiscale.
L’ostinazione con cui il governo tedesco persegue la sua linea sta rischiando di portare l’Europa nel baratro. Forse Merkel conta ormai solo nel fallimento e nel distacco della Grecia per convincere i riottosi alleati. Il rifiuto della Grecia di farsi sacrificare potrebbe far precipitare la crisi e riaprire la partita politica della modalità dell’unificazione europea. D’altro lato, Draghi si sta candidando a essere il vero Governatore di un vera banca centrale europea, che necessita però di una controparte politica davvero europea, e non solo tedesca. Anche Draghi ha bisogno della resistenza greca, che potrebbe essere quel sassolino che inceppa anche gli ingranaggi più potenti. La Grecia prigioniera, dicevano i latini, aveva catturato Roma. Ci accontenteremmo di molto meno: che la fermasse.
Il punto di partenza è l’esportazione in tutti i paesi dell’euro della rigorosa politica anti-inflazionistica tedesca attraverso l’imposizione dell’assoluto rigore fiscale. Che in una struttura unitaria gli Stati debbano rinunciare all’autonomia fiscale è ovvio, ma il punto è che qui si sta invertendo l’ordine dei fattori: invece che prima l’unità, con le istituzioni corrispondenti, si propone non solo pareggi di bilancio ma anche cessione di sovranità fiscale prima dell’unificazione. Per di più, in un momento già con tendenze recessive, questo non può che produrre una grave recessione in Europa. Questa strategia ha l’effetto collaterale non irrilevante di mettere in sicurezza il ruolo di capo-filiera dell’export europeo per l’industria tedesca, ridisegnando l’economia europea come subfornitrice della Germania. Ciò richiede, lungo la filiera, un taglio di salari diretti e indiretti, che permettesse al suo vertice, le imprese tedesche, di mantenere margini di profitto. Su questo, da Draghi a Monti, non vi era dissenso.
Inoltre, ciò richiede una politica monetaria europea che funzioni come servomeccanismo di quella interna tedesca. Una politica monetaria che si occupi solo dell’inflazione, mentre tutte le funzioni di governo dell’economia europea sono avocate alla politica fiscale sotto rigoroso controllo tedesco. Così era stata disegnata la Bce, come una specie di banca centrale di un sistema aureo di nuovo tipo, dove l’oro è sostituito dall’euro come moneta su cui gli stati non debbono avere nessuna possibilità di influire. Le difficoltà create dalla posizione debitoria degli stati mediterranei, sia nei confronti della Bundesbank, sia nei confronti dei mercati – il cui segnale è l’esplosione degli spread – hanno forse fatto pensare che questo era il momento dell’affondo. La Grecia ne è stato il banco di prova. Ma sono stati fatti due errori: il primo è che la linea di austerità provoca effetti recessivi più elevati di quelli previsti, e ciò introduce elementi di instabilità politica difficili da controllare. Inoltre, la previsione era che l’economia tedesca sarebbe stata immune dalla recessione europea, ma il rallentamento anche dei paesi emergenti ha messo in difficoltà questa linea. L’avallo del governo Merkel alle richieste dei sindacati tedeschi di aumenti salariali è un chiaro segno del ripiegamento sullo stimolo della domanda interna, politica negata agli altri paesi europei.
Il secondo errore è che, come la storia insegna, una gestione rigida dei sistemi monetari in tempi di crisi provoca la loro esplosione. Fu così nel 1931 quando molti paesi europei dovettero abbandonare il gold standard. Anche adesso, la pretesa della Germania di minimizzare gli interventi di sostegno finanziario ai debiti sovrani e ai sistemi bancari in difficoltà sta accelerando la crisi. L’austerità, invece di rassicurare i mercati, li sta allarmando ulteriormente. Le dichiarazioni ripetute contro i salvataggi hanno distrutto la credibilità dell’euro come moneta comune.
Questa situazione ha reso necessario l’intervento della Bce ben oltre i limiti desiderati dalla Germania. Le misure del Governatore Draghi di assicurare credito illimitato alle banche, con l’obiettivo di sostenere indirettamente i debiti sovrani, avevano l’obiettivo di impedire il collasso finanziario europeo. I limiti della misura di dicembre e la crisi bancaria spagnola incombente hanno portato Draghi a un’uscita sovversiva: unificazione bancaria significa che le banche tedesche debbano essere controllate da un’autorità sovranazionale e che la politica della banca centrale debba rispondere alla necessità di stabilità dell’eurozona e non dagli obiettivi di politica monetaria tedesca. Su questo punto, la linea Draghi e le esigenze elettorali di Obama si scontrano con la strategia tedesca del governo economico dell’Europa esclusivamente via austerità fiscale.
L’ostinazione con cui il governo tedesco persegue la sua linea sta rischiando di portare l’Europa nel baratro. Forse Merkel conta ormai solo nel fallimento e nel distacco della Grecia per convincere i riottosi alleati. Il rifiuto della Grecia di farsi sacrificare potrebbe far precipitare la crisi e riaprire la partita politica della modalità dell’unificazione europea. D’altro lato, Draghi si sta candidando a essere il vero Governatore di un vera banca centrale europea, che necessita però di una controparte politica davvero europea, e non solo tedesca. Anche Draghi ha bisogno della resistenza greca, che potrebbe essere quel sassolino che inceppa anche gli ingranaggi più potenti. La Grecia prigioniera, dicevano i latini, aveva catturato Roma. Ci accontenteremmo di molto meno: che la fermasse.
Nessun commento:
Posta un commento