Il conflitto reale prevale sempre sulle furbizie tattiche. Esplode, nella Cgil, dopo esser stato inutilmente sotto il tappeto.
II
precedenti sono noti. La maggioranza stretta intorno a Susanna Camusso –
autrice della svolta “complice” con le imprese, ricucendo rapporti
interrotti da tempo con Cisl e Uil – aveva proposto/imposto a Maurizio
Landini (segretario generale della Fiom) la condivisione del documento
congressuale “unitario”. Lasciando così al solo Giorgio Cremaschi e
alcuni altri dirigenti storici il compito ingrato di rappresentare
l'opposizione.
L'evoluzione
dei congressi ha però sconvolto lo schema pensato in precedenza, per
bulimia di potere (da parte di Camusso & co.), autoritarismo e
sotterfugi da denuncia. Landini e i suoi si erano limitati a presentare
degli “emendamenti” al documento unitario, ma incentrati su quasi tutti
gli aspetti deicisivi; emendamenti che – dove sono stati presentati e
discussi, nelle assemblee congressuali di base – hanno raccolto spesso
tra il 30 e il 40% dei votanti. Ma alla conta dei delegati finale
soltanto 100 sono i congressisti “di sinistra”, spersi nei quasi mille
che sono stati nominati e che stanno dando vista, da ieri, al congresso
nazionale.
Ancora
peggio è andata ovviamente alla pattuglia cremaschiana, ben più vasta
comunque della sola Rete28Aprile, che si è vista assegnare d'ufficio ol
2,4% dei voti (e quindi dei delegati), senza poter avere i verbali,
controllare i risultati delle votazioni, ecc. Nulla. Prendere o
lasciare. Una percentuale che non dà diritto a esprimere rappresentanti
all'interno del Direttivo Nazionale, a meno che non venga raccolto un
numero sufficiente di firme tra i delegati presenti a Rimini (cosa che
viene data per possibile, visto che l'oltranzismo camussiano sembra aver
ridotto le frizioni tra le due opposizioni, almeno sul piano tattico).
Il
punto vero di scontro, però, quello insuperabile, è stata la firma
dell'”accordo sulla rappresentanza” - tra Cgil, Cisl, Uil e
Confindustria – che in gennaio ha fissato le nuove regole della
contrattazione. Regole che espludono tutte le altre organizzazioni,
presenti e future, e che eliminano l'”autonomia contrattuale” delle
singole categorie. Dunque anche quella della Fiom per quanto riguarda i
metalmeccanici. Un anticipo di “commissariamento” delle tute blu che ha
fatto saltare definitivamente ogni possibilità di conclusione unitaria
del Congresso.
Landini
e i suoi, dunque, presenteranno un documento differente, che boccia
quell'accordo e propone un'altra linea di politica sindacale per la
Cgil.
L'escalation
di mosse e contromosse pre-belliche tra Camusso e Landini è stata
continua. Fino alla vera e propria provocazione decisa ieri sera dal
“segretario organizzativo” (ovvero il componente della segreteria
confederale con delega all'organizzazione): presentare subito le liste
degli “eligendi” al Comitato Direttivo, strozzando le scelte prima che
la discussione sia ancora avviata. C'è stata infatti soltanto la
relazione introduttiva della Camusso, mentre il congresso entrerà nel
vivo solo stamattina. Un modo per impedire alla “minoranza” landiniana
di presentare per tempo sia il documento alternativo che la lista dei
candidati.
E
la reazione non è stata delle più paciose: “Nemeno nelle peggiori
assemblee condominiali – ha detto Landini – si chiude una discussione
ancor prima di aprirla, non appena chiusa la relazione del segretario
generale. Così la discussione non è democratica e si conferma l'idea
autoritaria di come si gestisce il sindacato”.
Notazione
sicuramente vera. Il dato curioso è che la Camusso muove una critica
sostanzialmente simile a Matteo Renzi, che ha esplicitamente spiegato di
voler fare a meno di ogni rapporto con i sindacati - di qualunque tipo –
perché la sua idea del “governare” non prevede mediazione con i corpi
intermedi, la società organizzata, ecc. Di più. La sua proposta di
abbattere del 50% i permessi sindacali nella pubblica amministrazione e
altrove è una dichiarazione di guerra all'esistenza stessa di
organizzazioni dei lavoratori che non siano totalmente autofinanziate.
Dichiarazioni
di guerra contro cui a Camusso ha nervosamente protestato, con
dichiarazioni acide ma senza alcun annuncio di inziative di lotta. Il
che – nel body language delle relazioni tra sindacati e governi – significa sempre “non ci piace, ma fate pure, non ci opporremo”.
Lo
“spariglio” cercato da Landini proprio con Renzi è stato quindi più un
azzardo per uscire dall'angolo in Cgil che non una “mossa”
strategicamente soppesata e azzeccata. Di “sponde”, su quel fronte, non
ne possono davvero arrivare.
Questo
congresso della Cgil si svolge dunque in una sorta di “caos calmo”, in
cui tutti i protagonisti apparentemente si muovono come se le condizioni
a contorno – sociali e politiche – fossero le stesse di prima. Mentre
tutto è definitivamente cambiato. Le imprese voglio tutto il possibile e
sono disposte a stracciare qualsiasi accordo, anche quelli più
favorevoli, se il governo darà loro di più. I rapporti con i lavoratori
in carne e ossa sono ormai più virtuali che effettivi (a parte alcune
isole di partecipazione militante vera, tipo la Fiom e poco altro). Le
forze politiche – tutte – ed il governo hanno individuato nel sindacato
(qualsiasi sindacato) un “ente inutile” o un ingombro da smantellare; e
affondano nel burro quando dipingono i burocrati confederali come “una
casta” come le altre. L'Unione Europea – unico luogo dove vengono decise
le politiche complessive, comprese quelle relative al mondo del lavoro –
è sulla stessa linea, naturalmente.
Servirebbe
una torsione “conflittuale” vera. Che questi corpaccioni di burocrati
non potrebbero compiere nemmeno se volessero. E non vogliono.
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