Genova, 6 giugno 1984: Il segretario più amato del PCI parla alla vigilia delle elezioni europee. Dalla questione morale all’impegno civile. Sono passati trent’anni, ma nulla sembra cambiato.
di Teresa Tacchella, da Il Fatto, 19 maggio 2014
Genova. 7 giugno 1984: mancano 10 giorni alle elezioni europee, stiamo ultimando il montaggio dell’intervista a Enrico Berlinguer realizzata poche ore prima, nel salottino di un albergo vicino alla stazione Brignole, in una pausa della sua impegnativa giornata elettorale in Liguria, a Genova e Riva Trigoso, ultima tappa prima del comizio di Padova dove il segretario del Pci viene colto da malore sul palco. E mentre arrivano le drammatiche notizie dalla città veneta, con un nodo alla gola, inseriamo la sigla del programma, le note di Beethoven in una celebre esecuzione, audio e video, diretta da Von Karajan. A rivedere quelle immagini un po’ sbiadite dal tempo, sul nastro indebolito nella qualità dal peso degli anni, tornano alla mente, quelli sì nitidi, i momenti dell’intervista, il linguaggio semplice e diretto e l’attualità dei contenuti: a distanza di 30 anni.
Enrico Berlinguer, all’apparenza fragile, l’eleganza sobria della giacca grigia pied de poule, sul pullover amaranto, camicia azzurra e cravatta con tonalità blu, ci riceve con un sorriso: una disponibilità e una gentilezza d’altri tempi. Anche quando gli accompagnatori e il servizio d’ordine danno segni di impazienza; quando il suo volto sudato e il suo sguardo stanco, sotto la luce dei riflettori, mostrano impietosamente i segni della fatica, lui non si sottrae e risponde a tutte le domande, comprese quelle raccolte in precedenza per strada, fra la gente. Era strutturata così la trasmissione Europa, come…, durata 18 minuti, realizzata assieme a Beatrice Ghersi e Luciano Degli Abbati, prodotta dalla cooperativa Filmvideocoop, un gruppo affiatato di operatori dell’informazione il cui presidente era Giordano Bruschi che ancora oggi ricorda i rapporti con Berlinguer che si perdono nel tempo: dal 1946, con le riunioni romane del “fronte della gioventù” che raccoglieva ragazze e ragazzi delle associazioni democratiche.
Per le interviste ai cittadini, era stato scelto un quartiere popolare di Genova, San Fruttuoso in bassa Valbisagno, alle prese con una forte espansione urbanistica che ha visto le colline inondate da impressionanti colate di cemento. Chi ha più anni e ha sofferto la guerra guarda con speranza all’Europa, tra i più giovani c’è invece indecisione, sfiducia, scetticismo.
Una sfiducia che può tradursi in astensionismo, cosa risponde Enrico Berlinguer a questi cittadini?
È comprensibile, afferma, che ci siano dei fenomeni di sfiducia data la condizione del nostro Paese, il modo in cui è stato ed è governato. Tuttavia, pensiamo che non votare significhi lasciare il campo libero ai responsabili dei guasti di cui soffre l’Italia e dei problemi non risolti che sono all’origine della sfiducia dei cittadini. E quindi, noi pensiamo che si debba votare e che il voto possa esercitare un’influenza sulla vita del Paese, possa contribuire a dare più forza a coloro che lottano per cercare di cambiare lo stato delle cose”.
Ma al voto europeo viene attribuito un significato pieno di incertezza. Secondo lei qual è la posta in gioco?
Prima di tutto, la questione della “unità politica” dell’Europa. È proprio dalle file del gruppo comunista che è venuta la proposta più innovativa che sia stata fatta nel corso di questi cinque anni di vita del parlamento europeo eletto: la proposta di Altiero Spinelli che rappresenta una via d’uscita alla crisi che attraversa la Comunità Europea. Spinelli propone, infatti, di passare da un semplice “mercato comune” a una “unificazione politica dell’Europa” e di spostare l’asse del potere dai governi che hanno fatto soltanto praticamente dei compromessi fra di loro, al Parlamento Europeo eletto a suffragio universale dai popoli della Comunità Europea. Questa è la prima questione che direttamente concerne il futuro dell’Europa. Tuttavia, le elezioni cadono anche in un momento cruciale della vita politica italiana. Esse possono dare un’indicazione, manifestare una volontà dell’elettorato, nel senso di contribuire a porre fine all’attuale situazione che, contrariamente a quello che viene predicato dai partiti al governo, è di assoluta ingovernabilità. Possono finalmente aprire la strada a governi che guardino agli interessi generali e non siano caratterizzati dalla conflittualità continua fra i partiti al governo e fra le loro fazioni.
C’è un rapporto stretto fra il voto europeo e la situazione politica italiana?
Certo. Soprattutto nel senso che dobbiamo portare in Europa l’immagine e la realtà di un Paese che non sia caratterizzato dalla P2, dalle tangenti, dall’evasione fiscale e dalla iniquità sociale qual è quella che si è vista col decreto che taglia i salari, per portare invece nella Comunità Europea il volto di un Paese più pulito, più democratico, più giusto.
Dall’Europa dei popoli alla ‘questione morale’, ai venti di guerra che soffiano da più parti: l’attualità dell’intervista a Berlinguer di 30 anni fa tocca nodi ancora oggi irrisolti e delinea nuove preoccupazioni. Ieri c’era il problema dei missili in Sicilia, a Comiso, oggi le polemiche sugli F35, mentre la crisi Ucraina e i conflitti nel sud del Mediterraneo e nel vicino Oriente aprono scenari inquietanti.
Ma quale pace si può costruire?
La pace è la pace. E oggi significa evitare che l’umanità possa precipitare nella guerra atomica e nucleare che significherebbe la fine della civiltà umana. Anzi, come dice Alberto Moravia che si presenta come candidato indipendente nelle nostre liste, la fine della stessa specie umana. Per la pace oggi si lotta soprattutto opponendosi alla corsa al riarmo che è in pieno svolgimento fra le due massime potenze, cercando la soluzione politica dei conflitti che sono aperti in varie zone del mondo; cercando di far sì che l’Italia e l’Europa agiscano come fattori di distensione e di cooperazione sul piano mondiale.
Dalle domande dei cittadini emergono altri due argomenti al centro del dibattito politico: la disoccupazione giovanile e le pensioni.
Le sorti della gioventù sono in gran parte legate al futuro della Comunità Europea, perché se l’Europa continuerà a decadere, a perdere punti rispetto agli Stati Uniti e al Giappone, il numero dei disoccupati crescerà inevitabilmente. Oggi ci sono 13 milioni di disoccupati nei 10 paesi della Comunità Europea e l’Italia è forse il paese che ha la percentuale più alta. Quanto ai pensionati noi ci siamo sempre battuti e continueremo a batterci per i loro diritti e le loro rivendicazioni, contro la sordità dei governi. L’attuale governo non è stato ancora in grado di presentare un progetto di riforma e di riordino del sistema pensionistico.
A chi mette in dubbio la democraticità del Pci e parla di partito totalitario, Berlinguer risponde con chiarezza e determinazione:
“Se c’è una cosa che ha distinto il nostro partito dalla sua fondazione, dal 1921 ad oggi, è stato proprio il fatto che esso ha coerentemente, sempre, lottato a difesa della libertà e della democrazia: contro il fascismo, nella Resistenza e nella lotta di liberazione nazionale, per la fondazione della Repubblica democratica, per la difesa della Costituzione. Quindi, non vedo proprio come il Partito Comunista Italiano possa essere considerato un partito totalitario. Nel corso degli ultimi tempi poi, il partito comunista ha caratterizzato la sua azione politica proprio nella opposizione ai tentativi di far degenerare il nostro sistema politico verso forme autoritarie quali sono quelle praticate dal governo a presidenza socialista (di Craxi, ndr). Noi pensiamo che il partito comunista italiano nel corso della sua esistenza e negli ultimi tempi si sia proprio caratterizzato per questi tratti: di essere il garante della difesa della libertà dei cittadini e della libertà anche di chi la pensa diversamente dai comunisti ed è loro avversario”.
La nostra intervista è finita. Enrico Berliguer ci lascia con un sorriso e una stretta di mano.
È comprensibile, afferma, che ci siano dei fenomeni di sfiducia data la condizione del nostro Paese, il modo in cui è stato ed è governato. Tuttavia, pensiamo che non votare significhi lasciare il campo libero ai responsabili dei guasti di cui soffre l’Italia e dei problemi non risolti che sono all’origine della sfiducia dei cittadini. E quindi, noi pensiamo che si debba votare e che il voto possa esercitare un’influenza sulla vita del Paese, possa contribuire a dare più forza a coloro che lottano per cercare di cambiare lo stato delle cose”.
Ma al voto europeo viene attribuito un significato pieno di incertezza. Secondo lei qual è la posta in gioco?
Prima di tutto, la questione della “unità politica” dell’Europa. È proprio dalle file del gruppo comunista che è venuta la proposta più innovativa che sia stata fatta nel corso di questi cinque anni di vita del parlamento europeo eletto: la proposta di Altiero Spinelli che rappresenta una via d’uscita alla crisi che attraversa la Comunità Europea. Spinelli propone, infatti, di passare da un semplice “mercato comune” a una “unificazione politica dell’Europa” e di spostare l’asse del potere dai governi che hanno fatto soltanto praticamente dei compromessi fra di loro, al Parlamento Europeo eletto a suffragio universale dai popoli della Comunità Europea. Questa è la prima questione che direttamente concerne il futuro dell’Europa. Tuttavia, le elezioni cadono anche in un momento cruciale della vita politica italiana. Esse possono dare un’indicazione, manifestare una volontà dell’elettorato, nel senso di contribuire a porre fine all’attuale situazione che, contrariamente a quello che viene predicato dai partiti al governo, è di assoluta ingovernabilità. Possono finalmente aprire la strada a governi che guardino agli interessi generali e non siano caratterizzati dalla conflittualità continua fra i partiti al governo e fra le loro fazioni.
C’è un rapporto stretto fra il voto europeo e la situazione politica italiana?
Certo. Soprattutto nel senso che dobbiamo portare in Europa l’immagine e la realtà di un Paese che non sia caratterizzato dalla P2, dalle tangenti, dall’evasione fiscale e dalla iniquità sociale qual è quella che si è vista col decreto che taglia i salari, per portare invece nella Comunità Europea il volto di un Paese più pulito, più democratico, più giusto.
Dall’Europa dei popoli alla ‘questione morale’, ai venti di guerra che soffiano da più parti: l’attualità dell’intervista a Berlinguer di 30 anni fa tocca nodi ancora oggi irrisolti e delinea nuove preoccupazioni. Ieri c’era il problema dei missili in Sicilia, a Comiso, oggi le polemiche sugli F35, mentre la crisi Ucraina e i conflitti nel sud del Mediterraneo e nel vicino Oriente aprono scenari inquietanti.
Ma quale pace si può costruire?
La pace è la pace. E oggi significa evitare che l’umanità possa precipitare nella guerra atomica e nucleare che significherebbe la fine della civiltà umana. Anzi, come dice Alberto Moravia che si presenta come candidato indipendente nelle nostre liste, la fine della stessa specie umana. Per la pace oggi si lotta soprattutto opponendosi alla corsa al riarmo che è in pieno svolgimento fra le due massime potenze, cercando la soluzione politica dei conflitti che sono aperti in varie zone del mondo; cercando di far sì che l’Italia e l’Europa agiscano come fattori di distensione e di cooperazione sul piano mondiale.
Dalle domande dei cittadini emergono altri due argomenti al centro del dibattito politico: la disoccupazione giovanile e le pensioni.
Le sorti della gioventù sono in gran parte legate al futuro della Comunità Europea, perché se l’Europa continuerà a decadere, a perdere punti rispetto agli Stati Uniti e al Giappone, il numero dei disoccupati crescerà inevitabilmente. Oggi ci sono 13 milioni di disoccupati nei 10 paesi della Comunità Europea e l’Italia è forse il paese che ha la percentuale più alta. Quanto ai pensionati noi ci siamo sempre battuti e continueremo a batterci per i loro diritti e le loro rivendicazioni, contro la sordità dei governi. L’attuale governo non è stato ancora in grado di presentare un progetto di riforma e di riordino del sistema pensionistico.
A chi mette in dubbio la democraticità del Pci e parla di partito totalitario, Berlinguer risponde con chiarezza e determinazione:
“Se c’è una cosa che ha distinto il nostro partito dalla sua fondazione, dal 1921 ad oggi, è stato proprio il fatto che esso ha coerentemente, sempre, lottato a difesa della libertà e della democrazia: contro il fascismo, nella Resistenza e nella lotta di liberazione nazionale, per la fondazione della Repubblica democratica, per la difesa della Costituzione. Quindi, non vedo proprio come il Partito Comunista Italiano possa essere considerato un partito totalitario. Nel corso degli ultimi tempi poi, il partito comunista ha caratterizzato la sua azione politica proprio nella opposizione ai tentativi di far degenerare il nostro sistema politico verso forme autoritarie quali sono quelle praticate dal governo a presidenza socialista (di Craxi, ndr). Noi pensiamo che il partito comunista italiano nel corso della sua esistenza e negli ultimi tempi si sia proprio caratterizzato per questi tratti: di essere il garante della difesa della libertà dei cittadini e della libertà anche di chi la pensa diversamente dai comunisti ed è loro avversario”.
La nostra intervista è finita. Enrico Berliguer ci lascia con un sorriso e una stretta di mano.
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