La fortuna aiuta gli audaci, diceva il vecchio detto latino. Quelle poche migliaia di voti che rappresentano quello 0,03 che fa superare alla lista Tsipras il quorum dell’assurda, e incostituzionale, legge italiana, possono far pensare che ci sia alla fine un premio per chi ha coraggio.
Ma i latini sapevano bene che l’audacia poggiava sulla forza di un progetto, di una idea di società e di mondo. Diciamo allora che l’audacia di provare a vincere la sfida delle europee è stata figlia proprio di questa riscoperta, quella che è possibile avere un progetto e una idea di mondo, e cioè un punto di vista autonomo, proprio, su se stessi, della propria gente e della realtà in cui viviamo.
Alexis Tsipras è stato il simbolo, e la dimostrazione nella dimensione reale e concreta, di questa audacia possibile. Lui l’ha costruita per sé, costruendosela da sé ma fruendo anche dei materiali resi disponibili sul campo come l’esistenza di un partito della sinistra europea, alla cui nascita come italiani avevamo contribuito, l’esperienza delle lotte di resistenza alla austerità e dei movimenti. Decisivo è stato, per chi lo ha fatto, il riconoscere in Tsipras questa capacità simbolica e questa potenzialità politica. L’ha fatto il partito della sinistra europea, l’ha fatto in Italia la lista l’Altra Europa.
Cogliere l’occasione di Tsipras è stato un bene per tutti. Per Alexis stesso ha significato proiettare la propria lotta di resistenza dentro la dimensione della sfida europea, dire che se è questa Europa che arreca la sofferenza contro cui combatto è questa Europa che voglio cambiare. Qui c’è già la scelta. Non voler fuggire dall’Europa ma sfidarla. Scelta che consegna il terreno proficuo della coalizione con chi si riconosce in te perché sta nella stessa condizione. E dunque quelli che lottano contro l’austerità in tutta Europa. Qui c’è il seme della connessione sentimentale che è poi ciò che consente una politica viva. Ho connessione sentimentale con il mio popolo perché lotto con lui. E c’è connessione sentimentale tra chi sente di combattere la stessa giusta battaglia.
Da qui la possibilità che una vittoria sia condivisa e dia più frutti. La vittoria di Syriza in Grecia è la madre, ma insieme c’è il bel risultato dell’insieme delle sinistre di alternativa in tutta Europa. Alcune si confermano, in scenari difficili come Germania e Francia. Altre avanzano, specie dove laddove più chiara è la lotta contro l’austerità, come in Spagna, Portogallo, Irlanda. E si creano nuovi incontri come la bellissima scelta della lista spagnola Podemos, figlia degli Indignados, di aderire al gruppo Gue in Parlamento europeo con i suoi 5 eletti.
Tra i frutti nuovi di questa occasione di Tsipras ci sta certo la esperienza italiana, l’Altra Europa con Tsipras. Abbiamo tutti vissuto le difficoltà nel rendere possibile e concreto il progetto. E quelle di una campagna elettorale costruita dai poteri forti per rendere possibile quello che poi è stato il risultato finale e cioè l’edificazione di una nuova egemonia, quella Renziana. Pure, l’audacia ha pagato.
Se devo dire qual è il punto chiave, che può divenire di svolta, che ha permesso la sfida ripropongo ancora più esplicitamente ciò che dicevo all’inizio. Siamo riusciti a partire da noi, senza che questo partire da noi divenisse settarismo autistico. Non siamo cioè partiti da un posizionamento politicista misurato sul rapporto con gli altri, Renzi, i socialisti europei, ma da una nostra idea autonoma di Europa, di società, di coalizioni. Non siamo partiti cioè dall’evocazione di una formula, come quella del centrosinistra, ma di una soggettività, quella della sinistra. Sinistra europea, antiausterity, legata ai movimenti.
Se ci pensiamo bene, questa è l’essenza stessa della politica come elemento della democrazia e cioè definire sé nel progetto generale. Altrimenti si finisce succubi della trasformazione della politica in governance dove ciò che conta è la funzionalità al sistema.
Della vittoria di Renzi, che è stata grande, si possono e devono dire tante cose tese soprattutto a capire ancor prima di avere l’ansia di demistificarla. Ma una cosa si può dirla subito: è stata una vittoria senza festa. Non c’era in piazza il popolo che era solito festeggiare vittorie che sentiva comuni. La festa l’ha fatta lo staff di Renzi, perché è esso che ha vinto.
Certo non si vince a caso. E la vittoria di Renzi va letta, per quello che è stata e per quello che porta. A partire da come agirà nel quadro che si apre in Europa dopo queste elezioni europee. Nelle poche ore che i massmedia italiani hanno dedicato alla vera campagna elettorale europea, quelle dei primi risultati, appariva una foto che ritraeva insieme Tsipras, Merkel, Le Pen, come simboli di questo terremoto che sono state le elezioni.
Foto giusta perché disvelava quella che è stata la verità occultata del voto. Che ci sono tre tendenze che si sono affermate. Quella della continuità nella governabilità della “Europa reale” rappresentata dalla Merkel e quella di due strade opposte al cambiamento. La rifondazione dell’Europa di Tsipras e la sua distruzione di Le Pen. Questi i tre elementi forti messi in campo dal voto. E l’autonomia ricostruita di una sinistra europea dà alla sua prospettiva una chance reale. Al contrario i socialisti europei mostrano la corda, spinti nel baratro dalle catastrofi francese e greca e dalle difficoltà in Paesi come la Polonia, l’Irlanda e tanti altri. Restano appesi a Schulz, a sua volta abbarbicato al suo ruolo tedesco, e a inglesi e, soprattutto, renziani che appaiono però cosa altra rispetto alla storia del socialismo europeo stesso.
Ora in particolare, nel riprendere delle manovre politiche, si mette in campo l’effetto Renzi che cerca un ruolo nel terremoto europeo. Mentre si proverà a mettere in campo una riedizione della governabilità delle larghe intese condita magari da una qualche “sfida” per la loro direzione, Renzi potrebbe giocare una partita propria, tra il “far valere l’Italia” e il “riformare l’Europa” magari con qualche rottamazione in salsa continentale.
Proprio il mix tra le due opzioni potrebbe essere la sua scelta. In fondo in Italia è servita la rottamazione per poi avvalersi del governo come luogo di costruzione della propria soggettività. Quale sia il mix tra i due fattori è cosa ancora in fieri anche se già da noi la vediamo all’opera. Il profilo di Renzi, è stato scritto in modo per me convincente, è bonapartista cioè quello di una rivoluzione passiva con tratti decisionisti. Questa definizione mi convince di più di quella di nuova democrazia cristiana di cui mi pare manchino tratti fondamentali, sia nazionali, come la partecipazione comunque popolare, sia la costruzione di una stabilizzazione moderata internazionale. E, è stato scritto anche, neo blairiano. Su questo secondo aspetto, la riflessione mi pare necessaria. Perché se c’è in Renzi un piglio rispetto alla storia socialista che ricorda il blairismo, né Renzi viene da quella storia né appare interessato a mantenerne comunque alcuni tratti quanto piuttosto a spingere su una piena società di mercato e di individui accompagnata da vari sussidiarismi.
Sarà comunque da vedere come Renzi concretamente si spenderà in Europa. Anche perché qui c’è una durezza, quella che viene dal suo impianto ventennale, che non si arrende a un rottamismo facile. Piuttosto bisognerà vedere in azione quelle forze, dalla BCE di Draghi, al “partito americano, che già hanno proprie linee di intervento per “uscire” dall’austerità massimizzando gli elementi di modificazione sociale “conquistati” sul campo.
E poi c’è la spinta delle destre populiste, molto evocata per sostenere un voto alla conservazione, ma comunque ormai uscita dal vaso.
Continuare sulla strada di Tsipras per me è l’unica possibilità nostra, in Europa e in Italia. La strada cioè di una prospettiva autonoma, forte di un progetto e di una politica. Metterla a repentaglio per piegare se stessi e la propria identità a come collocarsi rispetto ai tentativi di riedificare la governance europea o allo stesso renzismo significa perdere l’opportunità che ci siamo costruiti. Senza per altro incidere né sugli assetti europei né sul renzismo.
Gli assetti europei vanno rovesciati a partire da due questioni: basta austerità e potere alla democrazia. Questa la frontiera su cui incalzare gli altri. Compreso il Renzi europeo. Ma, soprattutto, su cui tessere la propria tela, dare le proprie battaglie.
La situazione italiana, chiede che si dia priorità alla ricostruzione delle sinistra come chiave di ricostruzione della democrazia. Intorno alla lista Tsipras si è avviato un cammino, con tanti errori e tante incomprensioni e anche avversità. E’ un cammino la cui direzione è nelle mani di tutti quanti coloro che, da singoli o da realtà organizzate, hanno contribuito a questo piccolo gesto di audacia.
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