I
poveri sondaggisti anche questa volta avevano immaginato un
altro mondo (l’astensione a valanga, il testa a testa tra Renzi
e Grillo…), ma a parziale discolpa della loro inaffidabilità
bisogna dire che sono stati sommersi, più che dal ridicolo, da una
vera e propria onda anomala, apparsa a una certa ora della notte
accanto alla casella del Pd: 40,8%. Quando un partito in un anno quasi
raddoppia c’è molto da capire ma una cosa è chiara: siamo di fronte
a un risultato elettorale che cambia i connotati a tutto il
sistema politico.
Il primo e unico riferimento storico
del nuovo partito pigliatutto è la balena bianca democristiana,
capace di salire così in alto da contenere tutto l’arco
costituzionale, dalle sinistre dei Bodrato e dei Granelli alle
destre dei Forlani e degli Andreotti. Questo Pd ha ingoiato in un
solo boccone il 10% dei montiani con annessi cespugli (da Casini in
giù) insieme a brandelli berlusconiani, portandoli nella stessa
casa dei Fassina e dei Civati. Poi, come nella più collaudata
tradizione democristiana, ha messo nelle tasche di dieci milioni di
italiani 80 euro, biglietto da visita recapitato il venerdì per la
messa elettorale della domenica.
In realtà questa febbre a 40 realizza
la famosa vocazione maggioritaria di Veltroni, con ex dc e ex pci
nucleo centrale di un trasversalismo destinato a produrre una
mutazione genetica. Ha la febbre alta il paese che, dopo
Berlusconi, dopo Grillo conferma l’anomalia italiana affidandosi
al leader vincente, alla stabilità di governo.
Da oggi abbiamo davanti una sfida per
tutti. A cominciare dall’uomo solo al comando che deve governare
tenendosi in equilibrio sull’imponente onda anomala che egli stesso
ha sollevato, dimostrando di saper gestire un sostanziale
monocolore: la cura prevede le riforme costituzionali di stampo
presidenzialista, i sindacati al tappeto con l’imposizione del
lavoro precario per tutti. Da domani Renzi non potrà più tirarsi fuori
dai disastri del paese addebitandoli ai suoi rottamati
predecessori.
Il populismo di governo ha pagato più del populismo di opposizione, e dunque è una sfida anche per Grillo. L’ex comico ha lavorato per il nemico provocando la reazione del “voto utile” contro le urla e gli insulti. Molti, a sinistra, preoccupati di disperdere il voto, si sono turati il naso e hanno votato Pd per scampare un pericolo maggiore. Grillo deve scegliere se continuare a invocare improbabili caroselli intorno al Quirinale, se insistere con la politica del “vaffa” o traghettare i sei milioni di voti (un potenziale grandissimo) in una strategia parlamentare capace di trasformare la forza elettorale in alleanze, battaglie e obiettivi concreti. In Italia come in Europa.
Il populismo di governo ha pagato più del populismo di opposizione, e dunque è una sfida anche per Grillo. L’ex comico ha lavorato per il nemico provocando la reazione del “voto utile” contro le urla e gli insulti. Molti, a sinistra, preoccupati di disperdere il voto, si sono turati il naso e hanno votato Pd per scampare un pericolo maggiore. Grillo deve scegliere se continuare a invocare improbabili caroselli intorno al Quirinale, se insistere con la politica del “vaffa” o traghettare i sei milioni di voti (un potenziale grandissimo) in una strategia parlamentare capace di trasformare la forza elettorale in alleanze, battaglie e obiettivi concreti. In Italia come in Europa.
Il trionfo renziano è, infine, una
sfida per la sinistra di Tsipras. Dopo aver vinto la scommessa
europea con i tre parlamentari italiani eletti a Strasburgo, ora
le donne e gli uomini che in pochi mesi hanno creato questa esperienza
politica dovranno capire come collocarsi nell’inedito scenario
italiano.
L’analisi del voto rileva un potenziale molto al di là della sofferta soglia del 4% (il 5 a Palermo, l’8 a Bologna, il 6 a Roma il 9 a Firenze), testimoniato anche dal consenso ai candidati (molti i giovani) e ai capilista. Senza maratone televisive, forti del prestigio personale e delle lotte sul territorio hanno oltrepassato le 30 mila preferenze. Vincere controcorrente è un buon segno.
NORMA RANGERIL’analisi del voto rileva un potenziale molto al di là della sofferta soglia del 4% (il 5 a Palermo, l’8 a Bologna, il 6 a Roma il 9 a Firenze), testimoniato anche dal consenso ai candidati (molti i giovani) e ai capilista. Senza maratone televisive, forti del prestigio personale e delle lotte sul territorio hanno oltrepassato le 30 mila preferenze. Vincere controcorrente è un buon segno.
da il manifesto
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