Controlacrisi.org è lieta di proporvi una bella intervista - inedita in italiano - al filosofo francese Alain Badiou.
«La filosofia che desidero fare è una filosofia che ha una rilevanza per i rivoluzionari. Una filosofia che non soltanto non li contraddice ma li aiuta a cambiare il mondo». Il tono è dato. Incontro con un giovane uomo di 85 anni.
«La filosofia che desidero fare è una filosofia che ha una rilevanza per i rivoluzionari. Una filosofia che non soltanto non li contraddice ma li aiuta a cambiare il mondo». Il tono è dato. Incontro con un giovane uomo di 85 anni.
Nel 2012, fare una conferenza sulla rivoluzione, non è un anacronismo?
Alain Badiou:
In un certo senso, questa parola è sempre anacronistica perché in fin
dei conti, ciò che caratterizza le rivoluzioni, è in generale che
nessuno le ha attese, né previste. Sono delle rotture. La difficoltà, è
che questa parola ha molti sensi finali (finalement). Quel che io credo,
è che se si intende per «rivoluzione», un evento collettivo che produce
una rottura nell’ordine stabilito e che ha come strascico delle
conseguenze sull’organizzazione della collettività, non ci sono ragioni
di pensare che questa parola sia meno appropriata all’ordine del giorno,
all’attualità che ai suoi precedenti. Se ne vedono oggi giorno delle
sorte di sintomi. Io penso che le rivoluzioni della primavera araba, il
movimento degli indignati, i piccoli gruppi che tentano di fare qualche
cosa sulle questioni della regolarizzazione dei sans-papier o i
tentativi a livello statale in America Latina, indicano che non c’è
alcuna ragione per disperare.
I liberali presentano la democrazia e il libero mercato come andanti di pari passo…
Alain Badiou: Non
sono affatto d’accordo con ciò e ciò mette in causa la definizione che
si dà di democrazia. Apparentemente, la democrazia in seno allo Stato
rappresentativo, con un governo eletto, funziona piuttosto nel contesto
dell’economia liberale. E’ un fatto. Ma è una definizione molto
ristretta. La democrazia vuol dire «potere al popolo». Nelle nostre
società ha il popolo un grande potere politico? Se ne può dubitare. Si
ha anche l’impressione che sia veramente un piccolo gruppo di persone ad
avere il potere politico. E’ in questo gruppo, alcuni sono eletti, ma
non tutti. O, allora, da dei consigli di amministrazione. E ci sono
quelli che hanno un grande potere finanziario per essere in ogni modo
influenti. Ci sono quelli che comprano la stampa. Alcuni dei media non
sono indipendenti, essi dipendono tutti da gruppi influenti.
La mia tesi radicale, è che noi non
siamo in democrazia, ma in una «oligarchia moderata». Essa non ha
bisogno di esercitare un terrore visibile. Ma è un gruppo ristretto che
detiene il potere, i mezzi di informazione. Dopo, c’è una
rappresentazione politica di tutto ciò. Dunque, è del tutto falso che
l’economia liberale di mercato e la democrazia vanno assieme se si
prende la parola «democrazia» seriamente. Ciò che va assieme, è
«economia di mercato» e «regime oligarchico moderato». Questa
connessione riposa sul consenso che non rimette in questione questi
dispositivi economici e politici che io chiamo
«capital-parlamentarismo».
Un’altra «tesi radicale», è che il capitalismo è un sistema finito. Può illustrare ciò in maniera concreta?
Alain Badiou: Quando
si dice «finito», ciò può intendersi in due sensi. Esso è alla fine,
esso è limitato. La fine di qualcosa di tale ampiezza può durare a
lungo. Io non sono prossimo ad annunciare la fine del capitalismo per
domani. Io penso che esso abbia esaurito le sue risorse di creatività
propria e che sia prossimo ad arrivare fino alla fine di se stesso
(involuzione). Secondo, peraltro, le previsioni marxiste le più
rigorose. Rendiamoci conto del fatto che Marx parlava del mercato
mondiale nel 1850. Che cos’era il mercato mondiale in tale epoca in
rapporto ad oggi?
La tesi che l’ideologia dominante è
l’ideologia della classe dominante è ben vera. Ma una classe dominante, è
una classe che allo stesso tempo, in una fase ascendente, produce una
cultura che ha una certa universalità. Marx stesso riconosceva che noi
siamo ancora interessati dalle tragedie greche, il grande romanzo
francese, ecc. Io penso che questa capacità creativa delle classi
dominanti è oggi esaurita. E’ una classe troppo cinica, molto occupata
dagli affari propri, a mio avviso sempre più autoritaria perché
precisamente l’ambito parlamentare stesso la può generare. E’ il segno
che dal punto di vista intellettuale, politico, ideologico e economico,
il grande dominio imperiale non può più conquistare che delle cose già
esistenti ma non crearne di nuove. E’ ciò peggiorerà ulteriormente:
devastazione del pianeta, contraddizioni incontrollabili, disastri
finanziari e guerra, alla fine.
In termini di speranza, il comunismo è ancora un’alternativa?
Alain Badiou: Lo
dirò al contrario: il comunismo è il nome che io dò all’alternativa. La
questione di sapere quel che è il comunismo è complicata. Il comunismo
significa il nome generico di un’alternativa al capitalismo, al momento
stesso della sua costituzione. C’erano i comunisti utopici, i marxisti,
anche delle correnti anarchiche. Cosa vuol dire il comunismo? Vuol dire
che è possibile necessario organizzare la società su un’altra base che
non la proprietà privata dei mezzi di produzione, l’egoismo di classe,
la concorrenza e la guerra internazionale. Ecco.
Io penso che bisogna tornare a ciò
facendo il bilancio di questa specie di passaggio accanto che è stata
l’esperienza del XX secolo, passaggio accanto, che io penso, è stato
l’ossessione della vittoria insurrezionale. C’è stata una
militarizzazione dell’idea comunista, una militarizzazione dell’idea
organizzativa. Se ne vede bene la ragione: c’è stata lo schiacciamento
della Comune di Parigi che ha avuto un effetto non immaginabile. Ciò ha
portato all’idea che, a meno di essere ben organizzati, ci si faceva
schiacciare e eliminare.
Bisogna ripartire e fare un passo
indietro verso il significato profondo dell’idea comunista e vedere cosa
se ne può fare politicamente nelle situazioni concrete di oggi. Ecco
perché io difendo questa parola. Questa vecchia parola. L’abbandonarla
non sarebbe un bene. Se qualcuno ne inventa un’altra altrettanto
formidabile, io me ne rallegrerò.
Come vede il fatto che un filosofo, Berbard Heny-Levy arrivi ad incitare un paese a lanciarsi nella guerra in Libia?
Alain Badiou: Ciò ha
funzionato soltanto perché Nicolas Sarkozy voleva coinvolgersi in tale
guerra. Ma è inquietante. BHL ha un ruolo importante di ideologo
reazionario. Egli ha, inoltre, preso i suoi galloni da tanto tempo. Egli
ha dietro di se più di trenta anni di esercizio di questo genere. Ma
vorrei raccontarvi un passaggio al di là dell’azione personale di BHL.
C’è stato un consenso molto diffuso in Francia di questa spedizione
militare. Così è stato fino a quando Jean-Luc Mélenchon si riprendesse
subito dopo. Ma sono obbligato a constatare che, nei primi giorni, egli
si dichiarava a favore. Mi sono sentito molto isolato. Sono stato
sorpreso io stesso di essere tanto contro corrente. Ho scritto
praticamente nell’immediatezza che il risultato inevitabile di tale
intervento sarebbe stato la devastazione della Libia. Pura e semplice.
Un paese sconfitto, consegnato alla guerra civile, alla mercé delle
forze armate. Un paese annientato. Al momento, si può sostenere la tesi
che tutti gli interventi militari occidentali in questo genere di
situazioni distruggono i paesi. Anche l’Irak è stato distrutto. Se si
spinge alla guerra civile in Siria, anchela Siria sarà distrutta e a
lungo. E dopo? I petrolieri se ne disinteressano purché possano rendere
circoscritte e sicure le regioni petrolifere. E’ ciò che succederà in
Libia. Gli Occidentali vogliono dare delle chiusure di sicurezza alle
regioni petrolifere. Negozieranno con le differenti bande armate e,
siccome non ci sarà uno Stato, si sarà ben più tranquilli.
In Belgio, abbiamo un Primo ministro socialista. La social-democrazia ha ancora una ragion d’essere, una utilità?
Alain Badiou: Il
parlamentarismo non può funzionare senza che ci sia un principio di
differenziale minimo. In fin dei conti, tendenzialmente, ciò è in linea
con il genere di opposizione che c’è tra i Repubblicani e i Democratici
negli Stati Uniti.
Ma io penso che la social-democrazia
non rappresenti più granché. Potrebbero chiamarsi Partito Democratico e
penso che questa differenza si manterrebbe pur restando molto affabile.
Nell’azione reale la differenza è molto labile. Si è visto con Zapatero,
con Papandreu, così come si era visto con Tony Blair, che era il primo,
che non soltanto questi partiti non sono fondamentalmente diversi dagli
altri, ma anche che fanno avallare delle cose che gli altri non
arrivano a far assimilare.
Come vede gli ecologisti, francesi, belgi o europei che sognano un’economia verde restando nel capitalismo? Lei ci crede?
Alain Badiou:
Neanche per sogno. E’ la ragione per la quale non ho alcuna simpatia
vera per il movimento ecologista organizzato. Sono convinto che la
capacità di devastazione del capitalismo esista. La legge del profitto è
spietata. Se l’industria farmaceutica continua a vendere una medicina
nociva perché fa guadagnare molto, lo farà. Esse arrivano a corrompere
chi occorre. Alla fine, è quando della gente cerca anche di vendervi del
veleno se ciò conviene loro, di armare delle bande criminali in Africa
con armi pesanti, ecc. per della gente che andrà a uccidere e
violentare, semplicemente perché è business, o semplicemente perché
vogliono mettere in sicurezza una regione dove ci sono dei minerali.
Dunque, io non nego che il capitalismo scatenato faccia pesare
sull’ambiente una minaccia pesantissima, ma penso che le cose vadano
prese alla radice. E, dunque, alla mitologia del capitalismo moderato,
amabile.
L’ecologia ha due vantaggi per il
capitalismo. Primo se si vuole fare dell’energia rinnovabile su grossa
scala, ciò aprirà dei mercati colossali, e lo Stato li finanzierà. E,
d’altro canto, dal punto di vista delle rivalità tra capitalisti, ciò
rallenta il processo di sviluppo dei paesi emergenti, perché si cerca di
costringerli a rispettare delle regole, che noi, noi non abbiamo
rispettato. E, dunque, con ciò li metteremo nella merda, fissando delle
norme, ecc. Ciò contribuisce alla disuguaglianza nel mondo. Gli
ecologisti non sono altro che dei social-democratici di nuova
generazione. E’ il vecchio dibattito «un capitalismo regolato, normato,
gentile, non è praticabile?» che nega i fondamenti stessi del
capitalismo. Se il capitalismo è feroce, spietato non è perché è
«cattivo»: E’ la sua propria natura. Non si può immaginare che qualcosa
che funziona sulla norma assoluta del profitto massimale si preoccupi
del benessere dell’umanità. Se essere verde, equivale ad essere
pitturati di verde, non ci sono speranze: si pitturerà di verde.
Guardando la resistenza del
popolo greco, guardando i sollevamenti popolari nei paesi arabi, gli
indignati un po’ ovunque in Europa, Occupy Wall Strett, ecc. ciò le da
un po’ di speranza?
Alain Badiou:
Assolutamente. Ci sono dei segni, dei sintomi, delle cose che succedono.
Partiamo da ciò piuttosto che contemplare costantemente gli orrori del
capitalismo e rientrare a casa terrorizzati. E’ molto più importante
cercare di conoscere bene l’insieme delle esperienze positive che ci
sono nel mondo. Ce ne sono. Bisogna interessarsi a ciò che succede e
partecipare.
Siamo molto più vicini al 1840, al
capitalismo nascente, era potente…Ma c’era un brusio, delle sommosse
operaie qui e là, c’erano dei comunisti, c’era Marx, c’erano delle
scuole… Quelle persone non erano veramente nella scena pubblica, non
erano nei media dell’epoca. I media dell’epoca non parlavano di ciò.
Qualcuno come Victor Hugo, che è anche una figura importante, che ha
attraversato tutto il XIX secolo, non ha pronunciato una sola volta il
nome di Marx, non lo conosceva. Erano delle persone al di fuori dei
media, ciò non ha impedito loro di esistere e di divenire importanti
alla fine del secolo, conosciuti, pericolosi, ecc. Dunque, anche in
questi casi, non bisogna dirsi che non si è nulla del tutto, non è vero.
Al momento in Francia, da
quel che vediamo in Belgio, l’elezione presidenziale sembra ridestare il
gusto della militanza di una certa sinistra.
Alain Badiou: E’
vero e penso che sarà un’ironia dell’elezione, cioè che sarà servita a
qualcosa d’altro oltre che a se stessa. E’ lo spazio militante che è
risorto. L’idea che si possa fare qualcosa. Ed è largamente sintetizzato
da Mélenchon, al momento, che si è dedicato all’impresa di resuscitare
il partito comunista che era morto, perché sono comunque i militanti del
PCF che fanno il grosso del lavoro. E’ per questo che alcune persone si
riavvicinano ora, perché hanno visto che succede qualcosa. La capacità
di Mèlenchon è stata di alzare il tono. I suoi nemici gli rimproverano
la sua retorica, ma ha ragione perché nella situazione in cui è, se
vuole essere un candidato, se vuole risvegliare qualcosa, bisogna
andare, bisogna parlare, far riapparire e risentire qualcosa che non si
diceva più. L’idea, anche, che non si parte battuti in partenza.
testo originale: http://www.ptb.be/nieuws/artikel/alain-badiou-le-communisme-est-le-nom-de-lalternative.html
traduzione di Consuelo Diodati
Alain Badiou (Rabat 1937) ha studiato filosofia e matematica all'École Normale Supérieure di Parigi. Dopo anni di insegnamento all'Università di Parigi viii Vincennes-Saint Denis, è oggi direttore dell'Istituto di filosofia dell'École Normale. Politicamente molto attivo, è stato tra i fondatori, nel 1967, del "Cercle d'Épistemologie" dell'École Normale, che diede vita a una rivista fondamentale per il dibattito culturale in Francia, i "Cahiers pour l'analyse". Tra i suoi libri tradotti in italiano: Manifesto per la filosofia (Feltrinelli, 1991), L'etica. Saggio sulla coscienza del male (Pratiche, 1994; Cronopio, 2006), L'essere e l'evento (il Melangolo, 1995), Metapolitica (Cronopio, 2003), La Comune di Parigi. Una dichiarazione politica sulla politica (Cronopio, 2004), Deleuze. Il clamore dell'Essere (Einaudi, 2004), Il secolo (Feltrinelli, 2006), Sarkozy: di che cosa è il nome?(Cronopio, 2008), Heidegger. Il nazismo, le donne, la filosofia (Il Nuovo Melangolo 2010), L'ipotesi comunista (Cronopio, 2011).
traduzione di Consuelo Diodati
Alain Badiou (Rabat 1937) ha studiato filosofia e matematica all'École Normale Supérieure di Parigi. Dopo anni di insegnamento all'Università di Parigi viii Vincennes-Saint Denis, è oggi direttore dell'Istituto di filosofia dell'École Normale. Politicamente molto attivo, è stato tra i fondatori, nel 1967, del "Cercle d'Épistemologie" dell'École Normale, che diede vita a una rivista fondamentale per il dibattito culturale in Francia, i "Cahiers pour l'analyse". Tra i suoi libri tradotti in italiano: Manifesto per la filosofia (Feltrinelli, 1991), L'etica. Saggio sulla coscienza del male (Pratiche, 1994; Cronopio, 2006), L'essere e l'evento (il Melangolo, 1995), Metapolitica (Cronopio, 2003), La Comune di Parigi. Una dichiarazione politica sulla politica (Cronopio, 2004), Deleuze. Il clamore dell'Essere (Einaudi, 2004), Il secolo (Feltrinelli, 2006), Sarkozy: di che cosa è il nome?(Cronopio, 2008), Heidegger. Il nazismo, le donne, la filosofia (Il Nuovo Melangolo 2010), L'ipotesi comunista (Cronopio, 2011).
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