lunedì 5 maggio 2014

La strage di Odessa e la stampa italiana: censura di guerra?

Odessa

 
Il 2 maggio scorso a Odessa, a seguito di violenti scontri tra autonomisti/secessionisti   e sostenitori del governo auto-proclamatosi di Kiev, un gruppo di manifestanti filo-russi disarmati si è rifugiato nel Palazzo dei Sindacati. Una folla composta da ultrà calcistici ed estremisti di destra, sostenitori del governo auto-proclamatosi, ha circondato il palazzo e l'ha incendiato con un fitto lancio di bombe molotov.
Trentotto persone, intrappolate all'interno, sono rimaste uccise: arse vive, soffocate dal fumo o schiantate al suolo nel disperato tentativo di sfuggire alle fiamme lanciandosi dalla finestra (secondo testimoni oculari, i sopravvissuti alla caduta sarebbero stati linciati dagli assaltanti filo-occidentali).
Questi i fatti come sono immediatamente emersi, al di là di ogni ragionevole dubbio, grazie a video incontrovertibili che mostrano gli ultrà filo-occidentali assaltare e incendiare il palazzo (vedi ad esempio qui). Eppure, per quasi un giorno intero la stampa italiana è stata incredibilmente vaga nel raccontare l'evento.
Ancora la mattina del giorno seguente, si leggeva nel sito del "Corriere della Sera": "Trentotto persone sono morte in un incendio scoppiato nella città ucraina di Odessa e legato ai disordini tra manifestanti filo russi e sostenitori del governo di Kiev". Una formulazione che sembra costruita ad hoc per non lasciare intendere ai lettori che il rogo fosse doloso, né far capire chi fossero gli aggressori e chi le vittime.
Il sito di "Repubblica" recitava, invece: "È di almeno 38 morti anche il bilancio delle vittime degli scontri tra separatisti e lealisti a Odessa, città portuale ucraina sul Mar Nero. "Uno di loro è stato colpito da un proiettile", ha riferito una fonte all'agenzia Interfax, "mentre per quel che riguarda gli altri non si conosce la causa della loro morte". La sede dei sindacati è stata data alle fiamme. Le persone sono morte nell'incendio. Gli scontri sono violentissimi". Qui la ricostruzione è confusa, perché mischia il resoconto del rogo coi precedenti scontri occorsi in città. Si ammette che il Palazzo dei Sindacati è stato arso volontariamente, ma si omette di specificare da parte di chi, e che le 38 vittime sono tutte di una singola fazione.
Peggio faceva il sito de "L'Unità" che, addirittura, imputava l'incendio alle vittime: "Un numero consistente di persone ha perso la vita nell'incendio della sede dei sindacati, messa a fuoco dai separatisti filorussi". Un grottesco ritratto di un presunto suicidio di massa, corretto dopo diverse ore ma non imputando la strage ai reali colpevoli, bensì lasciando indefinita l'identità di aggressori e vittime: "A Odessa, città portuale sul Mar Nero, separatisti e fedeli al governo di Kiev si sono scontrati armati di bastoni e sassi, ma sono stati sparati anche proiettili. I morti nelle violenze a Odessa sono almeno 38. Lo ha riferito il ministero dell'Interno ucraino. Un numero consistente di persone ha perso la vita nell'incendio della sede dei sindacati. "Si è trattato di un gesto criminale", ha affermato il governo, indicando che una trentina di persone è morta per l'intossicazione da fumo e altre 8 si sono schiantate al suolo dopo che si erano gettate dalle finestre dell'edificio per sfuggire alle fiamme".
Di fronte alle prove schiaccianti dei video e delle testimonianze unanimi, quando ormai tutto il mondo riconosceva la matrice della strage, anche la stampa italiana ha corretto il tiro. Ma qui il fenomeno si fa non meno curioso (e increscioso). Quasi come da manuale, viene messa in atto quella manipolazione delle notizie che gli studiosi hanno riconosciuto nel triplice processo di agenda-setting (definizione delle priorità), priming (relazionamento dei contenuti a specifiche questioni) e framing (suggerimento delle interpretazioni).
Si è già sottolineato come i governi, i media e le società civili occidentali (e specularmente quelli russi) abbiano affrontato in maniera opposta e incoerente i due casi della Libia 2011 e dell'Ucraina 2014. Nel 2011 la stampa italiana (e in genere occidentale) dava ampio risalto alla repressione dell'insorgenza libica, non risparmiandosi le esecrazioni contro il regime. Immaginiamoci se allora una teppaglia pro-Gheddafi avesse bruciato vivi 38 oppositori rifugiati in un palazzo, di fronte alla polizia presente ma passiva. Inutile sottolineare che la stampa occidentale avrebbe pullulato di editoriali indignati e, almeno in parte, interventisti. Oggi invece, anche dopo aver riconosciuto l'orrore di quanto realmente accaduto a Odessa, la stampa italiana è estremamente scevra di giudizi e condanne. Il tutto è trattato in maniera asettica e distaccata. Si veda, a titolo di esempio, come ora il "Corriere" descrive la vicenda: viene detto tutto, ma nel centro dell'articolo e senza commenti o giudizi.
Rispetto ai fatti di Libia, o anche della Siria quando ancora la versione ufficiale voleva i "cattivi" assadiani contro i "buoni" ribelli (oggi la vulgata è che i "cattivi" assadiani combattono i "cattivi" salafiti), la stampa italiana si mostra molto più cauta anche nella selezione delle immagini da mostrare. All'epoca i video amatoriali non verificati erano regolarmente portati all'attenzione del pubblico - ma, curiosamente, solo quelli che accusavano i regimi, e non i video (altrettanto amatoriali e non verificati) che mostravano presunti crimini dei ribelli. Attualmente, nessun media italiano risulta abbia ancora mostrato le foto - anche in questo caso amatoriali e non verificabili - che ritrarrebbero i corpi delle vittime del rogo di Odessa (le persone non impressionabili possono vederne qui e qui).
Nietzsche diceva che non esistono i fatti ma solo le interpretazioni. Talvolta la stampa italiana appare sbadata nel raccogliere e fornire notizia dei fatti; ma è sempre pronta e creativamente incoerente quando si tratta di interpretarli al posto dei lettori.

 

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