L’Italia ripiombata indietro di un ventennio. Stipendi al livello del 1997. Tre milioni e mezzo di persone alla fame.
Due milioni e mezzo vendono i preziosi come in tempo di guerra. Undici
milioni si preparano gli alimenti in casa per risparmiare sull’acquisto.
È un susseguirsi di dati implacabili – dal Censis all’Istat, ai
rapporti dei sindacati o della Cgia – che testimoniano la
desertificazione del ceto medio, la crescita abnorme del precariato
giovanile e over-trentacinquenne (tre milioni e mezzo almeno), cui si
accompagna nelle aziende l’indebolimento sistematico dell’ex classe
lavoratrice.
Il crollo del ceto medio, che nei paesi avanzati
costituisce la spina dorsale della società e abbraccia praticamente
tutti i mestieri – dal lavoratore dipendente e dall’impiegato alle
partite Iva, dal piccolo imprenditore al medio professionista –
significa il segnale di allarme rosso per una nazione.
Il dramma è che la classe politica non sembra esserne realmente consapevole.
Come su una nave di folli il gran tema, nella tempesta, è l’election
day. Il dosaggio di astensioni, fiducia e semifiducia in Parlamento. Il
toto-candidati. L’aerea “agenda Monti”.
Berlusconi, a cui le
mamme, zie e nonne che invocava nei suoi appelli alla nazione dovrebbero
strappare ogni pelo del parrucchino, punta a scassare tutto per
difendere la sua “roba” a futura memoria. I pidiellini corrono a baciare
la pantofola. L’Udc non ha neanche idea di un riformismo come quello
della Dc nel dopoguerra. Montezemolo and his band si baloccano
con il neoliberismo. Grillo inveisce contro l’Europa e seleziona al buio
i suoi futuri deputati. Il Pd non va oltre le frasi su “un po’” di
lavoro e “un po’” di sviluppo in più. Monti è ancora convinto che
l’aborto di riforma del lavoro della Fornero sia un pregevole passo in
avanti. Verso dove non si sa. Famiglie, sanità, istruzione sono da
salvare. C’è un Paese disperato, che vuole rialzarsi, e non trova nella
classe politica quello scatto di reni, quel coraggio di un New Deal, quella forza di progettazione al di là dei tagli lineari, di cui ha urgentemente bisogno.
Dice il Censis che il 52 per cento “prova rabbia”. Sono proprio un popolo paziente gli italiani.
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