lunedì 10 dicembre 2012

Il tranello della contrapposizione Berlusconi-Monti di Alfonso Gianni


Monti ha gettato la spugna. Con lui Napolitano, che le ha tentate tutte per portare a termine questa faticosa legislatura. Nessun rimpianto, per quanto mi riguarda. Il punto però è che questo governo cade da destra. Può sembrare un dettaglio, ma non è così, perché da sempre il versante da cui proviene la spinta decisiva per la caduta di un governo, è un elemento qualificante della campagna elettorale che verrà. Infatti Monti appare oggi come una vittima del berlusconismo ed è pronto, non solo lui, a giocarsi questa carta nella imminente competizione. Il che è paradossale, anche se solo apparentemente.
Il governo Monti è riuscito là dove neppure i precedenti governi Berlusconi avevano osato spingersi. Sotto l’aplomb di una indubbia presentabilità internazionale, Mario Monti ha portato in porto il completamento peggiorato della riforma delle pensioni iniziata da Dini nel 1995, la liquidazione dell’articolo 18 dello Statuto dei diritti dei lavoratori, un “accordo” sulla produttività giustamente non firmato dalla Cgil, che derubrica il contratto collettivo nazionale a favore di quello aziendale e/o territoriale, ha fatto votare la ratifica del fiscal compact, ha messo in costituzione il pareggio di bilancio, del quale una legge già pronta per l’aula fisserà le modalità di applicazione, se le attuali camere troveranno ancora il tempo di farlo.
Nichi Vendola, in un’intervista a Repubblica, ha giustamente detto che ci vorrebbe una svolta di tipo keynesiana. Ma ciò entra in aperta contraddizione con quelle norme sul pareggio di bilancio e con il fiscal compact cui la carta di intenti della coalizione giura fedeltà. Tutto questo è avvenuto perché Monti è parte dirigente di quella elite europea che nella logica dell’austerità espansiva, formula criticata persino dal Fmi, sta trascinando l’Europa in una spaventosa recessione. Lo spread è un po’ diminuito – grazie all’azione della Bce convintasi finalmente ad acquistare i titoli dei paesi in difficoltà – ma la disoccupazione è aumentata, soprattutto quella giovanile e femminile e al Sud. I dati forniti dal Censis sono impietosi e perfettamente in sintonia con quelli già resi noti da altri centri di ricerca, come l’Istat. L’incremento delle tassazioni hanno alleggerito le tasche dei non evasori di 726 euro lungo il 2012, secondo il famoso ufficio studi della Cgia di Mestre. Il ceto medio sta concludendo la sua parabola negativa. Le distanze sociali si stanno allungando, la cima della piramide si appuntisce sempre più e la base si allarga. La crisi porta con sé la proletarizzazione dei ceti medi, si sarebbe detto una volta, ma mai come oggi è proprio vero, in Europa e in Italia.
La sostanza dell’attuale situazione politica è dunque che una linea tipica e coerente di una destra liberista e tecnocratica, ben inserita nell’elites europee e mondiali che governano il processo di globalizzazione (Monti), viene contestata, seppure come sappiamo da motivi ancora più ignobili e personali, da una destra che rispolvera il populismo come lancia per ritentare un’improbabile ma non impossibile rivincita e che per fare questo ha bisogno del suo antico cavaliere. Lo scontro che alla vigilia era fra un rissoso berlusconismo in cerca di autore e un chiaro vincente nel proprio campo (Bersani) si complica e muta d’aspetto. La vittimizzazione di Monti, disarcionato proprio a pochi metri dal traguardo, rischia di cambiare il ruolo e il peso dei personaggi in campo. La contesa si colora di un Berlusconi contro Monti e Bersani ne deve tenere conto, al punto che l’idea di nuovi accordi con Casini o di imbarcare direttamente nel suo futuro governo alcuni protagonisti dell’anno montiano diventa allettante. Al contempo Monti stesso è tentato di entrare direttamente nell’agone elettorale, malgrado la sua comoda posizione di senatore a vita o le eventuali prospettive di ascendere al Colle.
Per il bene del paese, in primo luogo, ci sarebbe bisogno di rovesciare un quadro che ci prospetta un altro paradosso. Infatti non solo si riproporrebbe l’eterno scontro contro Berlusconi, con conseguenti ricatti morali e richiami al voto utile, ma questo avverrebbe addirittura nel nome della difesa della bontà risanatrice dell’azione del governo Monti contro la protervia dilapidatrice della destra berlusconiana. L’agenda Monti non solo non verrebbe messa da parte, come trionfalmente è toccato sentire dire durante le primarie, ma diverrebbe addirittura una bandiera. Proprio per questo la logica del fronte antiberlusconiano va respinto fin dal principio. Al contrario la componente di sinistra interna alla coalizione dei progressisti e dei democratici dovrebbe alzare la voce e chi ha scelto di stare fuori da quella coalizione, non per ignavia ma per rifiuto di quella carta di intenti, dovrebbe accelerare il tentativo di dare vita a un’espressione politica e a una possibile rappresentanza di una sinistra plurale, ma unita da un programma antiliberista di uscita dalla crisi.

Fonte: Huffingtonpost.it 

Nessun commento: