di Carlo Lania
«Non credo che il decreto abbia risolto
tutti i problemi, credo però che apra una strada per uscire da questa
drammatica situazione in cui si trovano l'Ilva e Taranto, e che questo
vada fatto nel rispetto del ruolo di tutti. Perché io considero decisivo
il lavoro svolto dalla magistratura». Per Maurizio Landini il
provvedimento varato venerdì dal governo potrebbe essere come il
classico bicchiere mezzo pieno. Un passo in avanti per cercare di
rimettere la più grande acciaieria di Europa in grado di tornare a
produrre, tenendo però alta l'attenzione sulla salute di lavoratori e
abitanti.
Ma c'è il rischio che non basti. Il
segretario della Fiom non nasconde infatti che se fosse dipeso da lui,
avrebbe aggiunto qualcosa al decreto: «Una partecipazione, anche
temporanea, dello Stato nel consiglio di amministrazione dell'azienda,
perché servono garanzie precise sulla possibilità di reperire le risorse
che servono per il risanamento ambientale».
Il decreto la soddisfa dunque solo in parte?
Siamo di fronte a una situazione complessa che richiede equilibrio da parte di tutti, anche per evitare sbagliati e dannosi conflitti istituzionali. Penso che aver trasformato in legge l'Aia sia un fatto importante, ma allo stesso momento occorre trovare la forma e il modo per cui gli interventi previsti siano concretamente realizzati. Penso al rifacimento degli altoforni fin da subito, e penso a garanzie precise rispetto agli investimenti da realizzare, tenendo conto che dentro l'Aia devono essere raccolte tutte le prescrizioni indicate a suo tempo dalla magistratura. Trovo poi importante che venga istituita la figura del Garante e il richiamo agli articoli 41 e 43 della Costituzione, proprio per indicare come non sia possibile produrre inquinando e non rispettando le leggi.
In questi mesi la Fiom ha sempre detto di non voler attaccare la magistratura.
Abbiamo sempre detto che non scioperiamo contro la magistratura
Sì ma la trasformazione dell'Aia in legge di fatto scavalca la procura di Taranto, e c'è il rischio che si apra un conflitto istituzionale.
Non sono un giurista, quindi lo dico con parole da sindacalista. Non credo che la soluzione sia quella di chiudere l'Ilva, penso che il mantenimento dell'attività siderurgica in Italia sia strategico a vada salvaguardato e penso che in questa fase bisogna lavorare perché questo possa avvenire nel rispetto delle leggi. Non c'è un'altra strada. Servono quattro miliardi di euro per la bonifica e per dare garanzie che tutto ciò venga fatto c'è bisogno di un piano industriale e di investimenti. Per questo credo, per fare un esempio, che se c'è un problema di reperimento delle risorse non sarebbe male se venissero sequestrati i beni della famiglia Riva. Che si assumano le loro responsabilità. Io poi continuo a pensare che una presenza diretta, seppure temporanea, dello Stato dentro l'azienda sia oggi un elemento di garanzia fondamentale. Anche e soprattutto per difendere il sistema industriale, perché mantenere un sistema siderurgico efficiente e non inquinante è la condizione per mantenere un sistema industriale nel nostro paese.
Sta pensando a una nazionalizzazione come ha minacciato di fare Hollande in Francia?
Mi pare che la Mittal sia tornata indietro, non chiuda più e addirittura abbia fatto degli investimenti. Quindi la minaccia di Hollande ha portato la multinazionale a cambiare la propria posizione.
Pensa a una nazionalizzazione dell'Ilva?
Io penso solo che l'Ilva in 15 anni ha fatto 4,5 miliardi di euro di investimenti. L'Aia prevede adesso 4 miliardi di investimenti in due anni e mi chiedo le risorse come vengono garantite.
Il decreto non lo spiega.
Esatto, per questo dico che è un punto che va chiarito. Lo devono sapere i lavoratori, i sindacati, la magistratura e i cittadini. Questa è la questione. Non escludo quindi che ci possa essere la presenza del governo nella gestione dell'impresa. Il 20% della azioni della Volkswagen è in possesso della regione in cui si trova la sede della fabbrica. E nessuno si scandalizza.
Il decreto affida l'Ilva all'azienda. Crede che questa volta manterrà fede agli impegni presi?
Non lo so, per questo chiedo di conoscere il piano industriale. Però il decreto istituisce la figura del Garante, che ha tra i suoi poteri anche la possibilità di intervenire fino a decidere per l'amministrazione controllata. Continuo a pensare che sia importante che l'Ilva resti un'impresa italiana.
E infatti a muovere il governo c'è anche la paura di vedere sparire la siderurgia in Italia, con quello che significherebbe in Europa e nel mondo visto gli interessi nel settore di cinesi, russi e anche tedeschi.
Basta un dato: il 70% di ciò che si produce nel gruppo Ilva serve il mercato italiano. Quindi è chiaro che se dovesse venir meno il gruppo Ilva noi saremmo di fronte al fatto che un intero pezzo del sistema industriale del nostro paese rischia di cambiare connotati e natura.
Il decreto la soddisfa dunque solo in parte?
Siamo di fronte a una situazione complessa che richiede equilibrio da parte di tutti, anche per evitare sbagliati e dannosi conflitti istituzionali. Penso che aver trasformato in legge l'Aia sia un fatto importante, ma allo stesso momento occorre trovare la forma e il modo per cui gli interventi previsti siano concretamente realizzati. Penso al rifacimento degli altoforni fin da subito, e penso a garanzie precise rispetto agli investimenti da realizzare, tenendo conto che dentro l'Aia devono essere raccolte tutte le prescrizioni indicate a suo tempo dalla magistratura. Trovo poi importante che venga istituita la figura del Garante e il richiamo agli articoli 41 e 43 della Costituzione, proprio per indicare come non sia possibile produrre inquinando e non rispettando le leggi.
In questi mesi la Fiom ha sempre detto di non voler attaccare la magistratura.
Abbiamo sempre detto che non scioperiamo contro la magistratura
Sì ma la trasformazione dell'Aia in legge di fatto scavalca la procura di Taranto, e c'è il rischio che si apra un conflitto istituzionale.
Non sono un giurista, quindi lo dico con parole da sindacalista. Non credo che la soluzione sia quella di chiudere l'Ilva, penso che il mantenimento dell'attività siderurgica in Italia sia strategico a vada salvaguardato e penso che in questa fase bisogna lavorare perché questo possa avvenire nel rispetto delle leggi. Non c'è un'altra strada. Servono quattro miliardi di euro per la bonifica e per dare garanzie che tutto ciò venga fatto c'è bisogno di un piano industriale e di investimenti. Per questo credo, per fare un esempio, che se c'è un problema di reperimento delle risorse non sarebbe male se venissero sequestrati i beni della famiglia Riva. Che si assumano le loro responsabilità. Io poi continuo a pensare che una presenza diretta, seppure temporanea, dello Stato dentro l'azienda sia oggi un elemento di garanzia fondamentale. Anche e soprattutto per difendere il sistema industriale, perché mantenere un sistema siderurgico efficiente e non inquinante è la condizione per mantenere un sistema industriale nel nostro paese.
Sta pensando a una nazionalizzazione come ha minacciato di fare Hollande in Francia?
Mi pare che la Mittal sia tornata indietro, non chiuda più e addirittura abbia fatto degli investimenti. Quindi la minaccia di Hollande ha portato la multinazionale a cambiare la propria posizione.
Pensa a una nazionalizzazione dell'Ilva?
Io penso solo che l'Ilva in 15 anni ha fatto 4,5 miliardi di euro di investimenti. L'Aia prevede adesso 4 miliardi di investimenti in due anni e mi chiedo le risorse come vengono garantite.
Il decreto non lo spiega.
Esatto, per questo dico che è un punto che va chiarito. Lo devono sapere i lavoratori, i sindacati, la magistratura e i cittadini. Questa è la questione. Non escludo quindi che ci possa essere la presenza del governo nella gestione dell'impresa. Il 20% della azioni della Volkswagen è in possesso della regione in cui si trova la sede della fabbrica. E nessuno si scandalizza.
Il decreto affida l'Ilva all'azienda. Crede che questa volta manterrà fede agli impegni presi?
Non lo so, per questo chiedo di conoscere il piano industriale. Però il decreto istituisce la figura del Garante, che ha tra i suoi poteri anche la possibilità di intervenire fino a decidere per l'amministrazione controllata. Continuo a pensare che sia importante che l'Ilva resti un'impresa italiana.
E infatti a muovere il governo c'è anche la paura di vedere sparire la siderurgia in Italia, con quello che significherebbe in Europa e nel mondo visto gli interessi nel settore di cinesi, russi e anche tedeschi.
Basta un dato: il 70% di ciò che si produce nel gruppo Ilva serve il mercato italiano. Quindi è chiaro che se dovesse venir meno il gruppo Ilva noi saremmo di fronte al fatto che un intero pezzo del sistema industriale del nostro paese rischia di cambiare connotati e natura.
il manifesto 2.12.2012
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